QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Stato di salute e “lavoro di cura” della popolazione anziana in Italia: aspetti quantitativi ed evolutivi

Note introduttive e fonti statistiche
E’ generalmente noto che, in conseguenza del prolungato calo della mortalità e della natalità, il fenomeno dell’invecchiamento interessa da tempo gran parte delle popolazioni mondiali, risultando particolarmente intenso nei paesi ad avanzato sviluppo economico e tecnologico, così da determinare l’insorgere di preoccupanti problematiche di natura sociologica, sanitaria ed assistenziale. In Italia in particolare, e segnatamente in alcune regioni del Centro-nord, stante il perdurare oramai da lungo tempo di livelli di fecondità tra i più bassi in assoluto, il fenomeno mostra caratteristiche che qualcuno, forse non a torto, definisce “patologiche”, con prospettive nel medio e lungo periodo quanto mai allarmanti, evidentemente determinate da un sempre più marcato squilibrio numerico tra la popolazione in età lavorativa e quella in età anziana.
Negli ultimi due decenni l’impiego di lavoratori immigrati presso le famiglie con anziani ha rappresentato la principale risposta al considerevole aumento del fabbisogno di cure non-specialistiche e all’inadeguatezza dei servizi socio-assistenziali destinati alle fasce di popolazione in età avanzata.
Pur con i limiti legati alle difficoltà di rilevazione della popolazione immigrata irregolare con indagini campionarie, le stime che se ne ricavano mostrano che si tratta di un fenomeno che, pur con caratteristiche alquanto diverse, è del pari diffuso in molti altri paesi europei.
Questo lavoro nella prima parte analizza la struttura demografica e il processo di invecchiamento dell’ultimo decennio della popolazione italiana attraverso l’analisi di una serie di indicatori demografici che consentono di sintetizzarne la struttura per età e lo stato di salute della popolazione anziana, rendendo possibili confronti territoriali e temporali. La seconda parte dello studio fornisce un’analisi descrittiva di un segmento del mercato del lavoro, quale quello dei servizi agli anziani e alla famiglia: ciò anche per mostrare come l’immigrazione possa far fronte a particolari necessità in relazione a tipologie lavorative non gradite alla generalità degli italiani.
Per quanto riguarda le fonti statistiche, si è fatto ricorso sistematico ai dati dell’Indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” eseguita dall’ISTAT e alla “Banca Dati e Statistiche” dell’INPS, mentre quale popolazione di riferimento è stata considerata quella delle rilevazioni ISTAT in materia di “popolazione residente”.

Struttura per età della popolazione residente e condizioni di salute: alcuni indicatori
Per invecchiamento della popolazione si intende l’aumento dell’incidenza della popolazione anziana (65 anni e oltre) rispetto all’ammontare demografico in totale.
Similmente a quanto accade nella generalità degli altri paesi a sviluppo avanzato, l’Italia presenta da diversi anni a questa parte una struttura per età (tavola 1) fortemente squilibrata. Nel 2006 le persone ultra-65enni costituivano il 19,9% della popolazione e quelle fra 0 e 14 anni il 14,1%, sicché la popolazione anziana superava quella dei giovani di 5 punti percentuali. Nel successivo decennio tale disparità si accentua: infatti negli ultimi anni la percentuale di individui di 65 anni e oltre è aumentata fino al 22,0% (2016), mentre nello stesso periodo la quota dei meno che quindicenni scende al 13,7%. Detta riduzione è in parte dovuta alla comparsa nella “piramide delle età” delle più esigue generazioni di neonati mai riscontrate nella storia nazionale. E’ pure da osservare che le perdite riguardanti le fasce di età giovanili sono state solo in parte compensate dall’effetto positivo del saldo migratorio con l’estero.
Anche la popolazione in età attiva (15-64 anni) ha oggi minor peso percentuale rispetto al 2006: il 66,0% contro il 64,3% nel 2016. Particolarmente veloce è stata la crescita della popolazione di 80 anni e oltre. Nel 2006, i cosiddetti “grandi vecchi” erano pari al 5,0% del totale, mentre oggi rappresentano il 6,7 con una crescita del 34%.
Occorre tuttavia sottolineare come tale processo non sia omogeno all’interno del territorio nazionale. Dalla tavola 1 si evince come la quota di popolazione over 80 sia sensibilmente più contenuta nelle regioni del sud Italia che nel resto del Paese. Nel Nord, al contrario, il processo di invecchiamento demografico appare particolarmente accentuato.
Il nostro Paese sconta attualmente un crescente “debito demografico” nei confronti delle generazioni future in termini di “sostenibilità”, previdenza, oneri sanitari, assistenza e welfare. L’indice di dipendenza strutturale (rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva 0-14 anni e 65 anni e più e quella in età attiva 15-64 anni) cresce nel decennio considerato (tabella 2), dal 51,5 al 55,5% (+7,8), mentre quello di dipendenza degli anziani (rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e quella in età attiva 15-64 anni) passa dal 30,1 al 34,3% (+13,9). Nello stesso periodo, l’indice di vecchiaia (rapporto % tra la popolazione di 65 anni e più e quella in età 0-14 anni) aumenta da 140,6 al 161,4% (+14,8%).
In definitiva, i dati fin qui riportati mettono quanto mai in evidenza una crescita più che proporzionale, rispetto alle altre fasce di popolazione, della categoria degli ultra-80enni, segnatamente nel Nord Italia, mentre le proiezioni per gli anni futuri ne stimano una presenza che va ulteriormente rafforzandosi.
È importante rimarcare che ai cambiamenti demografici sin qui illustrati in questo paragrafo si accompagnano mutamenti sociali che implicano, in prospettiva, un impatto significativo sulle “cure informali” delle persone anziane:
– l’aumento dei divorzi e delle separazioni rende più probabile che le persone anziane di domani siano sole, piuttosto che in coppia;
– la diminuzione del numero di figli farà sì che gli anziani potranno contare su un numero molto ristretto di persone potenzialmente in grado di fornire assistenza;
– i figli tendono a rimanere in famiglia più a lungo, quando la salute dei genitori dovrebbe essere ancora relativamente buona, ma una volta usciti di casa tendono più frequentemente che in passato a vivere lontani, rendendo la cura quotidiana impraticabile;
– aumentano rispetto al passato le donne che lavorano, e crescono quelle il cui reddito è il principale sostegno per la famiglia, dunque il tempo che esse potranno dedicare alla cura informale andrà verosimilmente riducendosi;
– le persone sono indotte a lavorare più a lungo, a fronte dell’aumento dell’età pensionabile, dunque la loro disponibilità all’assistenza ancora tende a ridursi rispetto ad oggi.

 

Tavola 1 – Struttura per età della popolazione residente italiana al 1° gennaio degli anni indicati

Fonte: elaborazioni dell’autore su dati ISTAT

Tavola 2 – Indicatori della struttura per età della popolazione italiana al 1° gennaio degli anni indicati

Fonte: elaborazioni dell’autore su dati ISTAT

 

Gli anni futuri, dunque, vedranno verosimilmente crescere la richiesta di assistenza alle persone anziane non autosufficienti, a fronte di risorse di “cure familiari” che tenderanno fatalmente ad assottigliarsi.
La presenza e diffusione di nuove tecnologie applicate alle cure mediche ha comportato un aumento della sopravvivenza, anche se non necessariamente in buone condizioni di salute. Il progressivo allungamento della vita impone infatti alla società di creare le condizioni per assicurare agli anziani di vivere il più a lungo possibile e in assenza di patologie invalidanti. Per raggiungere tale obiettivo è necessario un monitoraggio sempre aggiornato delle condizioni di salute degli anziani mirando gli interventi di policy così da garantir loro, per quanto possibile, una vita sana e attiva.
La diffusione delle malattie croniche tra gli anziani è oggetto dell’Indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”, condotta dall’ISTAT (tavola 3) basata sulle dichiarazioni rese dagli intervistati, negli ultimi giorni precedenti l’intervista. Per una valutazione globale delle condizioni di salute, i dati concernenti la “percezione” dello stato di salute consentono di determinare importanti indicatori di riferimento, molto usati anche in ambito internazionale. Essi infatti consentono di cogliere la “multi-dimensionalità” del concetto di buona salute, da intendere, secondo la definizione dell’O.M.S., come stato di “completo benessere fisico, mentale e sociale”. Inoltre, nel soggetto anziano la percezione che l’individuo ha del proprio stato psico-fisico è un parametro di particolare interesse perché è inversamente correlato alla mortalità.
Nella Multiscopo del 2016, al quesito “come va in generale la sua salute?” il 70,1% degli intervistati ha dato un giudizio positivo sul proprio stato di salute, rispondendo “molto bene” o “bene”. La prevalenza di persone che dichiarano di godere di un buono stato di salute decresce sensibilmente, com’è ovvio, all’aumentare dell’età: scende al 62,3% tra le persone di 55-59 anni, al 54,0% nella successiva classe 60-64, si riduce ulteriormente al 42,6% per le persone con età compresa tra 65 e 74 anni e raggiunge soltanto il 24,0% in relazione agli ultra-75enni.
Alla diffusione delle patologie cronico-degenerative fa riferimento un altro importante indicatore dello stato di salute: molte di dette malattie assai raramente comportano la guarigione e, una volta insorte, condizionano in modo permanente la qualità della vita degli individui che ne sono affetti, compromettendo il loro livello di autonomia e determinando la necessità di assistenza e cura.
Già nella classe 55-59 anni soffre di almeno una patologia cronico-degenerativa il 53,0% della popolazione, e la quota raggiunge ben l’85,3% per le persone ultra-75enni. Nella popolazione anziana aumenta anche la “comorbidità”, che nel caso delle persone di 75 anni e più si attesta al 66,7%. Nella stessa classe di età tra le malattie più diffuse si registrano l’artrosi e l’artrite (56,4%), l’ipertensione arteriosa (54,1%) e l’osteoporosi (32,8%).
E’ infine da rimarcare come con l’invecchiamento aumenti fortemente il numero di persone con limitazioni funzionali legate allo svolgimento delle usuali attività quotidiane. Si tratta di limitazioni che insorgono con il peggioramento delle condizioni di salute generali e riducono sia la mobilità fisica che le capacità sensoriali a causa di malfunzionamenti e patologie raramente letali ma comunque invalidanti come, ad esempio, l’osteoporosi, l’artrosi e l’artrite. Fondamentale sarà in questo caso, concentrare gli interventi assistenziali sulla prevenzione primaria nei confronti delle malattie cronico-degenerative in modo da poter favorire quello che viene definito “invecchiamento attivo”. L’obiettivo diventa individuare l’anziano fragile, in modo da poter da una parte migliorare la sua qualità della vita, e al tempo stesso diminuire i ricoveri impropri, con una conseguente riduzione della spesa socio-sanitaria.

Tavola 3 – Popolazione residente per condizioni di salute e malattie croniche dichiarate. Valori percentuali per classe di età *. Anno 2016

Fonte: ISTAT, Indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”
*Gli anziani cumulano più tipi di limitazioni funzionali, quindi il totale non corrisponde alle singole voci

Le prestazioni professionali individuali per l’assistenza agli anziani
In Italia, in base a una indagine Censis, circa il 7,8 % degli anziani ultra-75enni si avvale dell’ausilio di una/un “badante”; tale percentuale si presenta più elevata nelle regioni del Nord: è questa la forma più diffusa di assistenza, dopo quella, ovviamente, fornita dagli stessi familiari.
I dati dell’Osservatorio sui lavoratori domestici dell’INPS mostrano che dal 2006 al 2016 le persone regolarmente occupate in questo settore sono quasi raddoppiate, anche se il fenomeno, negli ultimi anni, ha rallentato la sua corsa e sembra tendere a stabilizzarsi. A tale andamento certo contribuiscono le spese non irrilevanti che gravano sulle famiglie, i cui bilanci sempre più spesso risultano in stato di “sofferenza”.
Nel corso del 2016 i lavoratori domestici che avevano ricevuto almeno un versamento contributivo erano 866.747, di cui solo il 43,7% occupati in qualità di “badante” (379.046). Si tratta, evidentemente, di dati che sottostimano la reale diffusione del lavoro privato di cura, principalmente in ragione delle motivazioni che seguono:
• sono esclusi dal computo i lavoratori impiegati irregolarmente, quelli cioè a cui il datore di lavoro non versa gli oneri contributivi;
• alcuni dei lavoratori classificati come “colf” possono in realtà svolgere anche attività di cura e assistenza alle persone anziane; in effetti, la distinzione che sussiste dal punto di vista del contratto di lavoro può non comportare una suddivisione univoca tra le due mansioni, laddove i confini delle stesse diventino nella pratica piuttosto indefiniti.
Osservando i dati della serie storica, negli ultimi dieci anni, riguardanti i lavoratori domestici (tavola 4), emerge che il numero di lavoratori maschi ha un andamento temporale simile a quello dell’insieme dei due sessi, mentre il numero delle femmine cresce fino al 2012 per poi calare leggermente. La distinzione per sesso evidenzia inoltre una netta prevalenza di lavoratrici, la cui incidenza sul totale raggiunge nel 2016 il valore massimo della serie presentata, pari all’88,1%.

 

Dr. Velia Bartoli: Ricercatore di Statistica presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma.


Pagine: 1 2