La condizione della donna tra conciliazione e flessibilità
Le difficoltà delle madri lavoratrici
Le donne italiane che lavorano riducono in misura minima il tempo dedicato alle attività di svago, anche familiari, perché spesso i loro partner non partecipano né contribuiscono alle attività necessarie alla vita domestica 1. Infatti, benché tra le giovani generazioni si rilevino significativi mutamenti, i maschi italiani sono ancora quelli che dedicano minor tempo alle attività casalinghe 2. Per evitare che il tempo dedicato al sonno e alla cura di sé non si riduca eccessivamente, è indispensabile che per le donne lavoratrici l’aggravio dovuto ai figli sia almeno in parte compensato dal ricorso ad aiuti esterni, siano essi servizi pubblici o privati, o anche aiuti intergenerazionali 3.
In Italia i servizi di cura per i bambini piccolissimi sono scarsi. Nel Centro-Nord, le domande di iscrizione agli asili nido sono molto superiori ai posti disponibili e per di più è probabile che i genitori siano scoraggiati dalla scarsità dei posti, dalle lunghe liste di attesa e dai costi, che anche per gli asili pubblici sono sempre più alti, in quanto il loro finanziamento grava su enti locali con bilanci sempre più difficili 4. Altro aspetto che frena il ricorso agli asili pubblici è la rigidità degli orari (un problema molto serio anche per le scuole materne ed elementari), mentre l’alto costo limita l’uso di strutture private.
Gran parte dell’aiuto per la cura dei figli è prestato dalle reti parentali, in particolare dalle nonne, che vivono spesso vicino ai figli e alle figlie. L’aiuto delle giovani nonne, che negli ultimi anni è stato fondamentale, è però destinato ad esaurirsi. In primo luogo, una percentuale crescente di donne ultra-cinquantenni sarà ancora al lavoro quando le loro figlie diverranno madri e non avranno quindi molto tempo da dedicare ai nipoti. Inoltre, sulle donne in questa fascia di età graverà sempre più il faticoso compito di assistere la crescente fascia dei genitori ultra-ottantenni. Infatti, ancor meno che per i bambini piccoli, i servizi non ospedalieri di cura e assistenza per gli anziani fragili e non autosufficienti sono largamente al di sotto delle crescenti necessità, in quanto si stima che la percentuale di ultra-settantacinquenni residenti in casa di riposo non raggiunga il 3% e non presenti alcun segnale di aumento, anche perché negli ultimi quindici anni si è diffusa una particolare forma di assistenza domiciliare privata, svolta dalle migliaia di donne immigrate che lavorano come badanti 5. Alcune donne italiane spesso non riescono ad assolvere a quel ruolo di caregiver che ci si attende da loro, e non avendo alcun sostegno concreto e reale nella gestione delle persone anziane o disabili, che gravano su di loro, sono costrette a coinvolgere delle figure esterne alla famiglia, soprattutto straniere, per riuscire a gestire la situazione, senza essere costrette a lasciare il lavoro 6.
Se esistesse un sistema di welfare efficiente per l’assistenza agli anziani, non ci sarebbe la necessità di precettare donne immigrate con la funzione di badanti, che spesso lavorano in nero 7. Un anziano su dieci viene assistito a domicilio da una persona immigrata, per lo più donna e nella maggior parte dei casi non risulta essere registrata presso gli istituti previdenziali 8.
Il costo che le famiglie devono sostenere per una prestazione che di fatto copre l’intera giornata per l’intera settimana è inferiore a quello del ricovero presso una casa di riposo, la cui frequenza perciò è andata addirittura diminuendo negli ultimi anni 9. Questa forma di assistenza per gli anziani è stata agevolata, oltre che dall’ampia offerta di donne immigrate disposte a svolgerla a condizioni economiche e di lavoro non conformi, anche dalla grande diffusione dell’assegno di accompagnamento, al quale la famiglia dovrebbe rinunciare, nel caso in cui decidesse di affidare l’anziano ad una casa di cura 10. Tuttavia, le centinaia di migliaia di immigrate che lavorano presso le famiglie italiane, spesso senza contratto di lavoro e quindi a costi ridotti, ha sicuramente dato un importante contributo all’aumento della partecipazione al lavoro delle donne italiane.
Tutto questo dimostra quanti interventi dovrebbero essere fatti in Italia al fine di migliorare i servizi di assistenza per l’infanzia e per gli anziani 11. Qualcosa sembra stia realmente cambiando, perché la società contemporanea «privilegia la prontezza e la flessibilità, la disponibilità ad adattarsi e a piegarsi a un passaggio economico che muta rapidamente, l’essere sensibili agli spunti della società. […] è possibile che la Donna Plastica abbia delle qualità innate che la rendono più adatta al mondo di oggi, ma è anche possibile che, dopo essere rimasta dietro agli uomini per molti anni, abbia semplicemente la tipica energia dello sfavorito. O forse secoli passati ad allevare bambini l’hanno resa un’esperta nel fare più cose contemporaneamente» 12.
Tra conciliazione e flessibilità
Per far sì che la donna riesca a lavorare senza ulteriori complicazioni è importante che si pratichi la conciliazione. Un concetto concreto, mediante il quale si può giungere ad un equilibrio tra la vita lavorativa e quella familiare 13. La Commissione Europea descrive la conciliazione tra famiglia e lavoro come un insieme di sistemi che valutano e considerano i bisogni familiari 14, i congedi dal lavoro da parte dei genitori e l’ottimizzazione del tempo lavorativo per agevolare la concertazione degli impegni familiari con quelli lavorativi 15. Il punto di partenza per trattare il problema è l’individuazione della variabile politica e culturale della società considerata. Questo è fondamentale perché ogni governo che programma interventi risolutivi si poggia su tradizioni e modelli welfare differenti e, purtroppo, questo non agevola il raggiungimento di una soluzione a breve termine 16. Dovrebbe essere attuata una «conciliazione intesa come nuova relazionalità reciprocamente sussidiaria fra lavoro e famiglia. Una sussidiarietà che attribuisca la dignità che compete sia alla famiglia che al lavoro e che armonizzi i loro contributi specifici allo sviluppo civile della società. Ciò implica riconoscere le funzioni sociali della famiglia come insostituibili e come prioritarie dal punto di vista esistenziale» 17.
Le donne nella vita quotidiana hanno capacità organizzative che permettono di conciliare i tempi e gli spazi, in modo che i ritmi familiari restino immutati pur gestendo un doppio lavoro. Ma quanto riescano a fare le donne lavoratrici è soprattutto una pratica rappresentazione di quel processo di flessibilità, che oggi sembra essere molto in voga. Anche là dove la flessibilità per le donne significa accettare diversi tipi di lavoro o di orari che meglio si conciliano con la famiglia, cosa che richiede di dover accettare percorsi lavorativi anche discontinui 18.
Le politiche per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro sono il terreno sul quale s’incontrano le politiche attive per il lavoro e le misure e la creazione di servizi che aiutano le famiglie nella gestione dei tempi. Le politiche di conciliazione coinvolgono il lavoro, le politiche sociali, la famiglia, le pari opportunità, l’economia, e devono essere in grado di disegnare un nuovo assetto sociale. «Esse interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all’interno della coppia, sull’organizzazione del lavoro e dei tempi delle città nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico» 19.
William Faulkner scriveva che le donne lavorano secondo le circostanze mentre gli uomini secondo le leggi e le regole. Lavorare secondo le circostanze significa adattare il proprio lavoro a eventi che impongono tempi, ritmi, luoghi e ruoli lavorativi mutevoli, mentre, invece, lavorare secondo le regole e le leggi significa attenersi rigorosamente alla regolarità disciplinata della prestazione 20.
Perché vi sia flessibilità è necessario che anche i carichi familiari non siano solo femminili, ma che ci sia una divisione delle responsabilità in modo equo, e questo rappresenta un altro modo di interpretare ed intendere la conciliazione 21.
Con il termine flessibilità si fa anche riferimento ad un lavoratore, che non rimane costantemente ancorato al proprio posto di lavoro, ma più volte nell’arco della propria vita cambia sia la tipologia della propria attività occupazionale che il datore di lavoro.
In America, e non solo, i mariti, falciati dai licenziamenti della crisi, girano a vuoto depressi e si ritrovano mantenuti da mogli intraprendenti, che diventano imprenditrici innovative e non esitano a riqualificarsi per trovare un impiego. Ci sono esempi di madri autonome che preferiscono allevare da sole i propri figli piuttosto che legarsi a un compagno ‘peso morto’. Anche nelle università è sempre più in voga la cosiddetta hook-up culture, secondo la quale le studentesse non sembrano più essere attratte da relazioni sentimentali che, anzi, potrebbero rallentarle negli studi, pertanto, vanno a caccia di avventure di una notte, spesso ubriache e molto più disinibite dei loro colleghi maschi 22.
La donna (tartaruga) è al centro di un fenomeno di ascesa che la vede prevalere in numero tra i laureati, nelle posizioni prima occupate da uomini (lepre), e con salari in crescita vorticosa rispetto al passato. La favola non si attaglia del tutto poiché la donna non ha dalla sua unicamente una cocciuta costanza, ma una peculiarità che più delle altre la sta differenziando dall’uomo, la sta sostenendo e la sta facendo avanzare: la flessibilità appunto. La donna di plastica, è duttile, ed è riuscita nel corso del tempo ad adattarsi alla dimensione sociale e culturale in continua evoluzione e mutamento; lo ha fatto molto più dell’uomo di cartone, che, incapace di uscire dal ruolo atavico che la vecchia struttura della società gli aveva dato, è rimasto intrappolato in un retaggio che rimanda ad un ruolo che ormai non esiste più. L’uomo di cartone vuole essere, e sente di dover essere, capofamiglia, sostegno economico unico o quantomeno preponderante, del suo nucleo familiare e tuttavia, in un momento storico che vede i settori maggiormente ‘testosteronici’ in crisi, rifiuta di adattarsi alla nuova realtà 23, e appare incapace di far leva sulle risorse della flessibilità assumendo un ruolo proattivo nel contesto sociale e, soprattutto, in quello familiare.
Dr. Michela Luzi: Ricercatore in Sociologia dei processi economici e del lavoro – Università Unicusano – Roma
1 L. Todesco, Quello che gli uomini non fanno, Roma, Carocci, 2013.
2 S. Meggiolaro, Household labor allocating among married and cohabiting couplet in Italy, in “Journal of Family Issues”, 6, 2014, pp. 851-876.
3 M. Santoro, Coppie conviventi e divisione dei compiti domestici, in “Sociologia Italiana. AIS Journal of Sociology”, 8, 2016, pp. 79-98.
4 D. Del Boca, A. Rosina, Famiglie sole. Sopravvivere con un welfare insufficiente, Bologna, Il Mulino, 2009.
5 R. Deluigi, Legami di cura. Badanti, anziani e famiglie, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 58-92.
6 A. Rosina, C. Saraceno, Interferenze Asimmetriche. Uno studio sulla discontinuità lavorativa femminile, in “Economia e Lavoro”, 42, 2008, pp. 149-167.
7 D. Flynn, E. Kofman, Women, trade, and migration, in “Gender & Development”, 12, 2004, pp. 66-72.
8 C. Tomassini, G. Lamura, Struttura familiare e assistenza formale e informale, in A Golini, A. Rosina (a cura di), Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 73-95.
9 C. Saraceno, Welfare State Studies in European Sociology, in S. Koniordos, A.A. Kyrtsis (eds.), Routledge Handbook of European Sociology, New York, Routledge, pp. 238-251.
10 C. Ranci, E. Pavolini, Le politiche di welfare, Bologna, Il Mulino, 2014.
11 F. Vitali, I luoghi della partecipazione, Milano, FreancoAngeli, 2009, p. 193
12 H. Rosin, The End of Ma: And the Rise of Woman, New York, Penguin Group. 2012; trad. It., La fine del maschio e l’ascesa delle donne, Roma, Cavallo di ferro, 2013, p. 303.
13 F. Deriu, Donne, occupazione e fecondità: nuova prospettive nelle politiche di conciliazione, in E. Pföstl (a cura di), Condizione femminile e welfare, Roma, Apes, 2011, pp. 129-166.
14 S. Molendini, Conciliazione vita/lavoro: le donne nella ricerca, in A.M. Cherubini, P. Colella, C. Mangia, Empowerment e orientamento di genere nella scienza. Dalla teoria alle buone pratiche, Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 101-102.
15 Q.M. Zabarino, M. Fortunato, La conciliazione famiglia-lavoro in Italia e in Europa, Compendio di documentazione, Torino, Centro Risorse Servizi, 2008, p. 40.
16 L. Pelamatti, A. Peluso, Gonna e pantaloni. Maschile e femminile nella coppia, Milano, Edizioni San Paolo, 2004.
17 P. Donati, Ripensare la conciliazione famiglia-lavoro nell’ottica della sussidiarietà, Postfazione in G. Faldetta, Corporate family responsabilità e work-life balance, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 107.
18 E. Riva, L. Zanfrini (a cura di), Non è un problema delle donne. La conciliazione lavorativa come chiave della qualità della vita sociale, Milano, FrancoAngeli, 2010.
19 Art. 9 L 53/2000, Le politiche di conciliazione, Governo italiano, 2011, (http:www.politichefamiglia.it)
20 M.L. Pruna, Donne al lavoro, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 102
21 R. Sennet, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Editore Feltrinelli Universale Economica, 2001, p. 34 – 65.
22 P.N.E. Roberson, S.B. Olmstead, F.D. Fincham, Hooking up during the college years: is there a pattern?, in “Culture, Health & Sexuality”, 17, 2015, pp. 576-591.
23 H. Rosin, La fine del maschio e l’ascesa delle donne, op. cit., p. 87.