L’ospedalizzazione degli anziani in Italia: disparità territoriali e di genere
Note introduttive
Secondo le stime dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), nel 2014, il numero di persone con 65 anni o più ammontava a circa 13 milioni (il 21,4 % della popolazione italiana).
Le cause della progressiva senescenza della popolazione sono sostanzialmente riconducibili a un duplice ordine di fattori: anzitutto l’insufficiente livello della natalità, nonché, secondariamente, l’allungamento della durata media della vita.
Se la longevità, in buona misura determinata dai progressi in campo culturale e igienico-sanitario, è di per sé un evidente fattore positivo, l’invecchiamento demografico costituisce tuttavia una sua conseguenza inevitabile, che pone i ben noti e gravi problemi principalmente rappresentati dai forti costi in termini sociali e assistenziali (Bartoli, Palombo, Salvatore, 2013).
Dai dati del Rapporto Annuale del Ministero della Salute, si evince che nel 2000 la popolazione anziana determinava il 37% dei ricoveri ospedalieri “per acuti”1. Considerando i dati delle dimissioni ospedaliere relativi al 2014, queste percentuali sono aumentate in misura considerevole, così da raggiungere all’incirca il 42%.
Le conseguenze sociali e sanitarie, legate ad una presenza sempre più consistente di anziani, richiedono attente analisi del fenomeno e delle trasformazioni che esso induce nei bisogni e quindi sulla domanda e sull’offerta dei servizi, al fine di disporre interventi tempestivi ed efficaci, sia pure nell’ambito delle ben note recenti politiche di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica e di quella sanitaria in particolare.
Contenuto della ricerca e fonti dei dati presentati
In questo lavoro viene effettuata un’analisi delle principali caratteristiche del ricorso ai servizi ospedalieri della popolazione anziana, esaminando il fenomeno attraverso lo studio di una serie di indicatori specificati per sesso, classi di età e tipologia della causa del ricovero. Le fonti informative utilizzate per l’elaborazione degli indicatori qui presentati sono le schede di “dimissione ospedaliera” (Ministero della Salute, 2000-2015), che forniscono le informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di cura pubblici e privati su tutto il territorio nazionale. Inoltre, quale popolazione di riferimento si è considerata quella fornita delle rilevazioni Istat in materia di “popolazione residente” (Istat, 2000-2015). Il fenomeno è stato esaminato in corrispondenza agli anni 2000 e 2014, sia su scala nazionale che regionale.
I Principali risultati
Prima di esaminare gli aspetti specifici della morbosità ospedaliera degli anziani è opportuno considerare taluni dati di carattere generale, quali quelli riportati nella tavola 1, riguardanti i valori di alcuni tassi di ospedalizzazione italiani.
Detto indicatore fornisce una misura sintetica circa la “propensione” al ricovero ospedaliero della popolazione allo studio: esso viene ottenuto come rapporto (riportato a 1000) tra il numero annuale dei dimessi dagli istituti di cura di un certo ambito territoriale e il corrispondente ammontare della popolazione che vi risiede. Il tasso di ospedalizzazione viene solitamente elaborato distintamente per le diverse modalità di ricovero, cioè sia per il ricovero ordinario che per quello diurno, comprensivo del day hospital; pertanto, l’indicatore consente di descrivere il ricorso alle diverse modalità di erogazione dell’assistenza ospedaliera e di cogliere, nelle analisi temporali, gli spostamenti della casistica trattata da un setting assistenziale all’altro, ottenendo in tal modo indicazioni sulla struttura dell’offerta e sulle sue modificazioni.
Tavola 1 – Tassi di ospedalizzazione (per 1000 residenti) per classe d’età e sesso. Ricoveri per acuti in regime ordinario e diurno.
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati del Ministero della Salute e dell’Istat.
Esaminando i valori degli indicatori di ospedalizzazione (tassi per 1000 residenti) contenuti nella tavola 1, si nota che il valore più elevato è riferito al ricoveri per acuti in regime ordinario per entrambi i sessi, seguito a notevole distanza dal valore dell’indicatore in regime diurno. Inoltre i tassi di ospedalizzazione della popolazione maschile sono sempre superiori a quelli femminili: rispettivamente, al 2014 risultano pari a 205,5 e 332,7 per 1000 per il sesso maschile nelle due classi di età considerate, cui fanno riscontro quelli notevolmente più bassi, nell’ordine 138,1 e 239,5 per il sesso femmine. Si osserva d’altro canto che, nelle età anziane, il ricorso ospedaliero della popolazione maschile, in regime ordinario, è risultato di circa il 35 % superiore rispetto a quello femminile. L’analisi del trend mette chiaramente in evidenza una costante e generale riduzione dei tassi di ospedalizzazione: difatti, rispetto al 2000, il valore più recente dell’indicatore, in regime ordinario e per entrambi i sessi, ha subito una diminuzione all’incirca del 40 %. Questo processo di deospedalizzazione è stato più forte con riguardo ai pazienti in età da 65 a 74 anni. La transizione dai ricoveri in degenza ordinaria a quelli in day hospital negli anni più recenti trova in parte spiegazione nell’attuale tendenza a trasferire alcuni interventi chirurgici, quali ad esempio la cataratta oculistica e il “tunnel carpale”, dall’ospedale all’ambulatorio (Lega, Mauri, Prenestini, 2010).
Si nota pure, in relazione al regime diurno, che la contrazione più forte (circa il 41%) è da attribuire ai pazienti ultra-settantacinquenni di sesso femminile.
E’ anche importante rimarcare come il recente sensibile calo degli indici di propensione al ricovero ospedaliero nel nostro Paese possa in buona misura essere attribuito al processo di “deospedalizzazione” avviato con la riforma sanitaria del 1992, che ha comportato una riorganizzazione e una razionalizzazione del sistema sanitario (Clerico G., 2015).
Per approfondire lo studio della morbosità ospedaliera è anche opportuno considerare i dati relativi alla durata della decenza (tavola 2), precisando che la degenza media è fornita dal rapporto tra il numero complessivo delle giornate di degenza nell’anno di riferimento e quello dei ricoveri riscontrati nell’anno stesso.
Tavola 2 – Degenza media annuale (giorni) per classe d’età e sesso. Ricovero per acuti in regime ordinario. Italia
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati del Ministero della Salute e dell’Istat.
Tavola 3 – Tassi di ospedalizzazione (per 1000 residenti) per classe di età e sesso. Ricoveri per acuti in regime ordinario e diurno. Italia, anno 2014
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati del Ministero della Salute.
Dal 2000 al 2014, la degenza media per infermità acute, a livello nazionale, si mantiene quasi costante, con durate intorno agli 8-9 giorni, con una contrazione massima (12% circa) per il sesso femminile, nella classe di età da 65 a 74 anni. Il raffronto tra i sessi evidenzia che la degenza media delle donne è generalmente più prolungata, in tutti gli anni esaminati, rispetto a quella degli uomini, riscontrandosi inoltre differenze più marcate in relazione alle età oltre i 75 anni.
Ulteriori elementi da prendere in esame per meglio valutare le dinamiche dell’utilizzo ospedaliero da parte degli anziani vengono forniti dai dati regionali, riguardanti il solo anno 2014, contenuti nella tavola 3. I tassi di ospedalizzazione per ricovero ordinario variano tra il valore massimo riguardante la Valle d’Aosta (in particolare la P. A. di Bolzano) e i maschi nelle età più elevate (442,6 per 1.000), e quello minimo del Veneto (121,7) riferito alle femmine nella classe da 65 a 74 anni.
Analizzando la situazione del ricovero in regime diurno su scala regionale, i valori più alti si registrano per il sesso maschile nella classe di età 75 e oltre, in Valle d’Aosta (139,5 per 1000), in Campania (127,8) e in Molise (116,7). Valori elevati dell’indicatore competono alle regioni suddette anche con riguardo al sesso femminile della classe di età da 65 a 74 anni.
L’analisi territoriale segnala inoltre, per entrambi i sessi, livelli minimi degl’indici riguardanti il regime diurno della Lombardia, del Veneto e della Sicilia.
La considerevole variabilità degli indicatori regionali potrebbe essere spiegata dalla diversa organizzazione, tra una regione e l’altra, della rete ospedaliera e dell’offerta degli svariati servizi sanitari. Inoltre, nelle valutazioni va tenuto anche in considerazione il fatto che le disparità geografiche dei tassi non sono spiegabili soltanto sulla base della prevalenza e incidenza delle patologie nelle diverse aree, ma possono dipendere dalle circostanze contingenti, dalle modalità e abitudini di ricovero nonché dai percorsi di accesso alle strutture sanitarie interessate.
Tavola 4 – Dimissioni ospedaliere per acuti in regime ordinario e diurno, per classe di età, sesso e diagnosi principale. Valori percentuali. Italia,
anno 2014
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati del Ministero della Salute e dell’Istat.
La tavola 4 che segue evidenzia la distribuzione percentuale delle principali cause del ricorso all’ospedalizzazione, sia in regime ordinario che diurno, per classe di età, sesso e “diagnosi principale”.
L’esame delle differenti forme morbose, mostra come la frequenza di alcune patologie aumenta in misura sensibile al crescere dell’età, mentre ciò non si riscontra in relazione ad altre forme morbose. Tra le malattie di natura cronico-degenerativa, si osserva una crescita, nelle età più avanzate, soprattutto per le patologie del sistema circolatorio (si noti che, nell’ultima classe di età, esse presentano percentuali, rispettivamente, del 29,09 per le femmine e del 28,05 per i maschi).
D’altro canto, aumentano d’importanza al crescere dell’età, con riguardo ad entrambi i sessi, anche le patologie causate da traumatismi e avvelenamenti, nonché le malattie dell’apparato respiratorio. Si osservano, al contrario, sensibili decrementi soprattutto in relazione alle malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, per quelle dell’apparato digerente e per i tumori, i cui valori femminili passano dal 15,43% nelle età 60-69 all’8,98% nella classe di età estrema.
In definitiva, esaminando gli indicatori sopra presentati si osserva con chiara evidenza che la tendenza al ricorso alle cure ospedaliere risulta nettamente più marcata in relazione alla popolazione maschile rispetto a quella femminile. Notevoli differenze si osservano inoltre all’interno della categoria degli ultra-settantacinquenni, stante che all’aumentare dell’età consegue un’accentuazione del ritmo di crescita dell’ospedalizzazione.
Velia Bartoli:Ricercatore di Statistica presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma.
1 Si precisa che sono considerati ricoveri ”acuti”, in conformità alla definizione adottata a livello ministeriale, i casi di competenza da reparti diversi dalle unità di recupero e riabilitazione funzionale e lungodegenza.