Un reddito garantito ci vuole. Ma che reddito garantito ci vuole? Breve storia dei percorsi per un reddito garantito in Italia degli ultimi anni e le proposte in campo
Non ultima istanza, ma libertà ed autonomia della persona
Quello che emerge dunque dalle due campagne in Italia, cosi come dalle diverse proposte, è che la lotta alla povertà si identifica dentro una necessità immediata (un legge entro 100 giorni) ma al contrario non si identifica dentro una forma di “governance” del problema (povertà) dentro la sfera del “controllo sociale” (cioè dei poveri). Un riconoscimento della dignità della persona a partire non solo dal riconoscimento di una base economica, ma soprattutto al fatto che questa sia strumento di valorizzazione, di autonomia, di autodeterminazione, in una parola che vada nella direzione, sempre, di essere strumento di libertà. E non vi può essere libertà se non quando vi è libertà dal bisogno e dunque libertà di scelta.
Insomma, la questione del contrasto al disagio economico è più complessa che dire “diamo ai poveri qualche soldo” o “ci vuole un reddito minimo garantito”. Come detto, bisogna capire che “reddito garantito ci vuole” e le indicazioni delle due campagne promosse in Italia hanno dato alcuni spunti per iniziare a definire un diritto nuovo in grado di rispondere alle complessità contemporanee.
Sicuramente nella classifica delle disgrazie non vi è mai fine, ma in questa epoca l’ampiezza del disagio dimostra che le forme di “precarizzazione” della vita possono assumere numeri sempre più consistenti e le fasce sociali o i soggetti coinvolti sempre più variegati. Guy Standing nel definire il “denizen”26, il cittadino senza diritti, descrive le forme di precarietà sociale e del rischio di nuove povertà mettendo insieme diversi attori sociali: pensionato, operaio in via di dismissione, i giovani, le donne, i precari del lavoro, gli ex detenuti, i migranti etc. come a raccontare una diversità ampia di figure sociali che vanno “proletarizzandosi” o spesso “sotto proletarizzandosi” a prescindere se hanno un contratto di lavoro o meno27, se vivano in una metropoli o in un piccolo paese etc. Sono figure sociali che tuttavia portano con loro storie ed esperienze che vanno ricostruite, ma soprattutto che vanno sostenute con diritti e strumenti nuovi come quello del reddito garantito. Non si tratta di costruire giustificazioni morali al “perché” c’è bisogno di un certo “tipo di reddito” ( e dunque non di un reddito minimo qualunque) ma bensì si tratta di cogliere le novità che emergono in società complesse come le nostre. L’impennata di conoscenze e socializzazione a partire dal diffondersi delle nuove tecnologie sono un fatto ormai globale cosi come l’aumento sempre più costante della flessibilità del lavoro e della insicurezza sociale nel suo insieme28. Discutere oggi di contrasto alla povertà significa dunque ampliare il discorso alle nuove forme che raccontano il rischio povertà, con l’entrata e l’uscita permanente anche tra lavoro e non lavoro, e comprendere che vi è ormai una certa trasversalità anche nei diversi contesti sociali29. Discutere dunque di reddito come strumento di contrasto alle nuove povertà significa riconoscerlo come strumento di autonomia e valorizzazione della persona. Il senso di un reddito minimo garantito nella società liquida, frammentata, scomposta può ben ritrovarsi se favorisce l’individuo a perseguire i propri interessi (tanto professionali che vitali) e dar seguito alle proprie capacità, a partire dal fatto di non determinare costantemente una pressione economica che lo rende sempre soggetto ricattabile.
Precari, pensionati e futuri poveri?
La situazione purtroppo non è lì a divenire migliore. Malgrado le due campagne di raccolta firme, o il fatto che siano state avanzate alcune proposte di legge, al momento in Italia non vi è alcuna misura di reddito minimo garantito ne tantomeno il Parlamento italiano si sta predisponendo verso un dibattito serio che vada in questa direzione. Anzi al contrario si continuano a proporre ricette opposte come ad esempio la cosi detta Social Card30 oppure il SIA (Sotegno all’Inclusione Attiva)31 o del REIS (Reddito di Inclusione Sociale)32 che dimostrano ancora una idea frammentaria di come dovrebbe essere un nuovo diritto sociale ed economico. Infatti le due proposte di legge sul reddito minimo garantito sono ferme in Commissione Lavoro al Senato, l’iter legislativo stenta a prendere il via e gli emendamenti in favore di un reddito minimo garantito presentati durante la fase di discussione della legge finanziaria non sono stati presi in considerazioni dalle forze politiche di maggioranza. Questo anche se l’Istat ha pubblicato lo studio di fattibilità economica in merito alle proposte in campo (in particolare quella del Movimento 5 stelle e quella di Sinistra Ecologia e Libertà)33. La stessa INPS (l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) ha richiamato più volte la necessità di un diritto al reddito minimo almeno per la fascia degli over 55 anni che sarebbero, secondo tutti i dati, la prossima e prima generazione a non avere accumulato una pensione per i prossimi anni. Una generazione, che tempo fa in un articolo con Luca Santini34, definimmo, la prima generazione precaria35. La generalizzazione della condizione di precarietà ha indotto sul piano soggettivo una mutazione, il passare degli anni e dei decenni ha contribuito a modificare la percezione, a costruire forme adattive e risposte soggettive alla deregolamentazione del rapporto lavorativo. Trasformazioni oggettive e scarti sul piano soggettivo ci portano a intravedere diverse tipologie di soggetto precario: di prima, di seconda generazione fino alla generazione dei cosi detti neet (Not in Employ Education Training) passando inoltre per una precarizzazione sociale diffusa che coinvolge soggetti anche oltre la condizione strettamente lavorativa. Lontani dai comuni strumenti delle politiche del lavoro e poco coinvolti nelle iniziative organizzate dalle rappresentanze sindacali, tutti questi soggetti fronteggiano da soli questa sorta di «privatizzazione dei rischi sociali» verso cui si esprime tutto il disorientamento e la difficoltà di reazione. Quando Il 3 ottobre del 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per le popolazioni europee, tra queste l’Italia si presentava con un dato previsionale spaventoso: con il rischio povertà che avrebbe potuto coinvolgere negli anni a venire il 42,5% della popolazione36. A distanza di 10 anni da quella nota tutti i dati sulla povertà, sul rischio esclusione sociale etc. sono in costante aumento ed in tutta Europa e purtroppo con molta probabilità gli anni a venire si presenteranno con tutta la loro drammaticità. Oggi coesistono più generazioni vittime delle forme di precarizzazione sociale. Potremmo dire infatti che tale trasversalità generazionale ha una condizione comune che va aumentando, cioè la
totale mancanza di diritti e protezioni sociali ed economiche. Se pensiamo alla “prima generazione” dei precari, quella entrata nel mondo del lavoro nei primi anni ’90 e che oggi ha intorno ai 50\55 anni, possiamo dire che ci troviamo a ridosso di un numero di persone in notevole aumento e che se avrà risparmiato qualcosa nel corso della vita forse avrà di che vivere, altrimenti sarà la prima vera generazione di nuovi poveri senza alcuna tutela. Il punto è che essere riusciti a risparmiare, per questa generazione, sarà stato quantomeno poco probabile visto che le condizioni di precarietà non permettono affatto il ricorso al risparmio. Anche Tito Boeri (Presidente dell’INPS) richiama questa fascia generazionale come la prima su cui “avviare” una misura di reddito minimo garantito. Se questa misura non sarà introdotta a questa “prima generazione” di precari verrà richiesta una disponibilità al lavoro permanente e per un lavoro qualsiasi (per pura sopravvivenza) anche in età avanzata.
Ma c’è di più. Ad un certo punto, ci troveremo a fare i conti anche con un altro elemento, cioè la fine del cosi detto welfare familistico, tipico del nostro paese, e cioè al fatto che il gravame della mancanza di tutele sociali sia stato di fatto demandato nel corso del tempo, ad un redistribuzione economica intra-familiare. Il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega alla famiglia di occuparsi delle difficoltà economiche, dimostra di nuovo come il rischio povertà possa ampliarsi costantemente. Per intenderci, quel risparmio accumulato nei precedenti anni, in particolare dalle generazioni dal dopoguerra in poi, sarà definitivamente eroso, e la redistribuzione intra-familiare subirà una crisi senza precedenti. Figli e nipoti non potranno più contare su quel minimo indispensabile “donato” dai familiari più anziani quando i tempi si fanno duri e viceversa gli stessi figli e nipoti (precari o neet che siano) non saranno in grado di sostenere i familiari più anziani. I precari di prima generazione (50\55 anni oggi) non avranno più aiuti dalla famiglia di origine perché non vi saranno più i componenti di quella famiglia, allo stesso tempo gli stessi non saranno in grado di sostenere i propri figli e questi ultimi (precari di future generazioni) non potranno sostenere i loro genitori (oggi over 55). Ed ancora, le mutazioni della composizione della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familiare. Il rischio di ritrovarsi di fronte ad una “folla solitaria” di nuovi poveri è già oggi presente e dove non presente è in allestimento: pensionati o anziani di oggi, i precari di prima generazione (quelli che oggi hanno tra i 45\55 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 25\45 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate etc. stanno alimentando l’esercito dei senza diritti e rischiano di rendere veritieri gli allarmi lanciati da Eurostat nel 2005.
Il punto è, come si intenderà governare questo rischio di generalizzazione della povertà? Lasceremo che si creino nuove “enclave” di ceti permanentemente dentro la sfera della povertà? Governeremo queste enclave con la sola forza dell’ordine? Vi saranno permanenti guerre tra poveri? Con ghetti sempre più grandi ai bordi delle grandi metropoli? Oppure al contrario vi sarà la lungimiranza di definire nuovi diritti per costruire un nuovo senso di cittadinanza?
Il tema dunque rimane: che vi sia la necessità di individuare una misura come il reddito minimo garantito è ormai ben diffusa convinzione, comprendere quale tipo di reddito garantito comporta uno sforzo in più. Le indicazioni che sono arrivate dalle due campagne sociali promosse da centinaia di associazioni, il dibattito internazionale cosi come gli studi e la letteratura in merito hanno dato il loro ricco contributo, la proposta di un nuovo diritto sociale ed economico (ancor più nell’era della finanziarizzazione dell’economia) trova sempre nuovi consensi, quello che manca è incamminarsi verso esperienze fondative, sentieri praticabili, percorsi possibili per arrivare, a partire da un reddito minimo garantito come diritto di dignità, ad un reddito di base incondizionato come garanzia di libertà.
SI può pensare di attendere ancora, ma le alternative a questa proposta sono sempre di meno.
26 Guy Standing, The Precariat the new dangerous class, Bloomsbury 2011
27 Solo in Italia, nel 2014, si contavano 4 milioni di working poor. Senza calcolare il numero di quelli che sono i cosi detti “lavoratori in nero”.
28 Come ben descritto nel libro di Robert Castel, L’insicurezza sociale, che significa essere protetti?, Piccola Biblioteca Einaudi 2011
29 Sempre più spesso sono in molti a dire che vi è un maggior accesso alle mense per i poveri in cui si incontrano persone che sono al lavoro o fino a qualche tempo prima erano al lavoro. E queste includono persone di ogni età, sesso, nazionalità e religione che sia.
30 Una “carta acquisti” di poche decine di euro destinata agli “estremamenti poveri” da usare in negozi convenzionati!
31 Nel 2013 con l’adozione del Decreto 10 gennaio 2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha preso il via la sperimentazione di una nuova social card sperimentale di lotta alla povertà con la partecipazione diretta dei beneficiari in 12 città italiane con più di 250mila abitanti con un impegno economico di soli 50 milioni di euro.
32 Una proposta che arriva dall’Alleanza contro la povertà e che somiglia in buona parte al SIA con l’introduzione però di un concetto come la “cittadinanza attiva” e cioè con l’obbligo dei beneficiari a svolgere qualsiasi mansione richiesta in particolare dagli enti locali o dal mondo del terzo settore e delle cooperative sociali.
33 La memoria ISTAT al Senato per un reddito minimo garantito in Italia presentata in audizione alla Commissione Lavoro al Senato il 11 giugno 2015 in occasione della discussione sulle proposte di legge del reddito minimo garantito. Il documento ISTAT si può trovare sul sito www.bin-italia.org .
34 Presidente del BIN Italia
35 Luca Santini e Sandro Gobetti La necessità dell’alternativa: il precario della crisi ed il reddito garantito , su “Reddito per tutti, un’utopia concreta nell’era globale” Manifesto Libri, Roma, 2009.
36 Eurostat 3 ottobre 2005