Un reddito garantito ci vuole. Ma che reddito garantito ci vuole? Breve storia dei percorsi per un reddito garantito in Italia degli ultimi anni e le proposte in campo
Principi irrinunciabili
Due iniziative che hanno visto nel corso di 3 anni partecipare decine di migliaia di persone, con una enorme attività di promozione di dibattiti, seminari, pubbliche iniziative in città e paesi dove di reddito minimo garantito non se ne era mai sentito parlare, dove non si era a conoscenza minimamente dei diversi schemi presenti in molti paesi europei, dove nessuno aveva mai posto il tema delle indicazioni sovranazionali.
Due iniziative che hanno avuto la capacità di richiamarsi a vicenda tanto nel coinvolgimento che nella proposta. Infatti, tanto nella prima “proposta di legge di iniziativa popolare” del 2012, quanto nella Piattaforma del cosi detto “reddito di dignità“ della seconda campagna, sono segnalati alcuni principi di base che se elusi, se scavalcati, se non tenuti in considerazione non possono far annoverare alcun altra proposta come un diritto ad un reddito minimo garantito. L’individualità della misura, la non vessazione del beneficiario attraverso stringenti contropartite e forme di condizionamento, l’accessibilità per coloro che ne hanno diritto, la residenza e non la cittadinanza, il diritto a servizi di qualità oltre il beneficio economico, la durata e l’ammontare del beneficio sono stati i punti cardine di tutte e due le proposte, tanto da divenire appunto “un’idea” di quale reddito minimo si intendesse sostenere.
Questi principi di base inoltre non sono stati definiti dentro un mero “libro dei sogni” ma sono stati in parte presi “a prestito” dai principi di base di alcuni schemi di reddito minimo già vigenti in alcuni paesi europei cosi come erano stati proposti nel corso della loro storia; in alcuni passaggi che si trovano nelle indicazioni di alcune leggi regionali italiane; utilizzando alcuni elementi espressi nelle indicazioni delle istituzioni sovranazionali; e ancora di più cercando di comprendere al meglio i nuovi bisogni emergenti nella nuova fase produttiva, nel mondo globalizzato, nella crisi. Furono fatti propri inoltre anche studi11, risoluzioni europee o documenti relativi a Carte12 o Trattati europei.
La questione infatti dell’accessibilità alla misura, cioè di non rendere “difficoltoso” da un punto di vista sia burocratico (nella stesura infinita di prove e contro prove, di documentazioni e certificazioni etc.) che stringente ad obblighi, è stata una delle questioni posta con forza da numerosi attori in campo. Alcuni importanti studi13, proprio sulle trasformazioni dei modelli europei, indicano infatti la questione delle “difficoltà di accesso” per il beneficiario, come uno dei motivi principali per cui, molti pur avendone diritto, si scoraggiano a chiedere il sostegno al reddito. La richiesta continua di produrre “prove di necessità” (means test) ha portato al fatto che chi necessita di un sostegno economico, smettesse ad un certo punto di richiederne l’erogazione. Come se la produzione continua di “prove” determinasse di fatto una sorta di “vessazione” rispetto al soggetto in difficoltà economica trattato a volte o come un “nullafacente” nel migliore dei casi se non direttamente come un “furbacchione”. Questo, come riportato anche dagli studi (menzionati nella precedente nota) sulle trasformazioni ed in particolare sulle restrizioni che gli schemi di reddito minimo in Europa hanno subito nel corso degli ultimi anni e che hanno visto una fetta consistente dei finanziamenti al welfare volgersi verso quel workfare che avrebbe dovuto rilanciare la piena occupazione (e che visti i risultati dell’aumento della disoccupazione e dei nuovi poveri in Europa possiamo definire fallimentare). Quella che sarebbe dovuta essere una “politica per l’inclusione attraverso il lavoro” ha portato al contrario un alta percentuale di soggetti a rischio povertà a non chiedere più l’erogazione del beneficio. I diversi “obblighi” richiesti a partire dalla domanda di ammissione alla misura, ha determinato una difficoltà di accesso denunciata in molti paesi europei, avendo l’effetto cosi di diminuire i beneficiari del reddito minimo e spostando continuamente molti fondi verso il sostegno alle imprese. Inoltre il surplus di documentazione burocratica richiesta ai beneficiari ha determinato al contrario una macchina burocratica ancora più costosa di prima. Anche per questi motivi (e non solo) la questione dell’accessibilità, tenendo ben chiaro il rischio di controllo sociale o di vessazione verso il beneficiario, è stato uno dei punti più importanti espressi in tutte e due le campagne sociali proposte in Italia dal 2012 al 2015.
Un altro dei punti qualificanti posti sia nella Piattaforma che nella proposta di legge di iniziativa popolare è stata la questione della residenza e non della cittadinanza. Il punto di partenza è stata la “non discriminazione” verso il beneficiario. Non si possono infatti discriminare coloro i quali non hanno ancora ricevuto un riconoscimento di cittadinanza (ancor più in Italia dove non vi è come in altri paesi una legge sullo ius solis) tra due soggetti egualmente in difficoltà economica. In questo senso, ad esempio, in molti hanno contestato la proposta del cosi detto “Reddito di Autonomia” della Giunta regionale a guida leghista in Lombardia14 perché appunto a rischio discriminazione.
Un altro dei concetti di base posto come centrale nelle due campagne è stata anche la questione della “temporalità e dell’ammontare” del beneficio. Concetti di base che vanno resi meno stringenti perché non si può definire a tavolino quando il beneficiario sarà in grado di uscire da una condizione specifica di difficoltà economica. Per questo “il tempo” del beneficio è un “tempo di garanzia del diritto e dunque della dignità della persona”. Questo d’altronde è definito proprio in alcuni degli schemi di reddito minimo delle esperienze europee quando si dice che l’erogazione del reddito minimo deve considerarsi valida “fino al miglioramento della propria condizione economica”15 e non al contrario come definito in alcune proposte, come quella del reddito minimo della Regione Puglia che addirittura pensa di fare un turn over dei beneficiari16 quasi a difendere la condizione di dignità come fosse a tempo. Cosi come nelle proposte delle due campagne si sono richiamati alcuni concetti esposti in alcune risoluzioni europee a partire dalla definizione di una “somma necessaria”, un ammontare, affinchè si possa definire una sorta di “minimo garantito”, cioè una base economica, sotto la quale nessun individuo deve scivolare. L’Europa in questo senso ricorda che i sistemi di “reddito minimo adeguati debbono stabilirsi almeno al 60% del reddito mediano dello Stato membro interessato”17.
Sicuramente, però, tra i nodi più spinosi sui quali spesso le diverse proposte di legge si impegnano a trovare le soluzioni più stringenti e condizionanti verso l’eventuale richiedente, è quello del legame tra il reddito minimo e il lavoro. La cosi detta “condizionatezza” all’obbligo di accettare un lavoro qualsiasi altrimenti vi è la perdita del beneficio. Come un contrappasso la questione della condizionatezza al lavoro si è andata facendo sempre più pressante anche nelle diverse misure di reddito minimo in Europa con l’idea, come dicevamo sopra, di una “inclusione attiva” che però sembra non aver avuto l’effetto desiderato ed allo stesso tempo ha aumentato i tagli proprio alle misure di welfare, reddito minimo garantito compreso. L’idea che in fondo il beneficiario sia una sorta di “parassita” sociale al quale va chiesta la continua disponibilità pare rimanere ferma in molti approcci al tema, alle esperienze delle poor laws inglesi di metà ‘80018. Anche in questo caso le proposte avanzate dalle due campagne hanno voluto studiare non solo le forme di reddito minimo presenti in Europa, ma comprendere anche le trasformazioni che queste, cosi come in generale tutto l’istituto del welfare, hanno subito nel corso del tempo. Il passaggio tra welfare e workfare in tutta Europa, con la conseguente erosione del finanziamento del primo a favore del secondo (dai cittadini alle imprese per favorire una maggiore occupabilità) è stato abbastanza significativo. I tagli al welfare cosi come le restrizioni proprio nelle misure di reddito minimo garantito, si sono avute in tanti paesi europei. In alcuni casi con effetti poco positivi come ad esempio la nota riforma Hartz IV19 in Germania che ha determinato di fatto un pezzo di società “obbligato” a dover fare spesso lavori insignificanti e sottopagati per non perdere il sussidio. In molte di queste riforme si è modificato anche il ruolo degli istituti del “mercato pubblico dell’offerta” di lavoro, trasformando in molti casi i centri per l’impiego pubblici, non più in luoghi di matching tra domanda e offerta, ma piuttosto in costose macchine burocratiche di controllo verso i beneficiari del reddito minimo, chiedendo loro di adoperarsi ad ogni richiesta con il permanente ricatto di perdere il beneficio in caso di rifiuto.
Oggi, anche in relazione ai tagli subiti dal welfare e sulle politiche restrittive di accesso al reddito minimo possiamo dire che le politiche di workfare non hanno avuto un gran successo e che al contrario per sostenere queste politiche si è eroso molto, tanto nei finanziamenti quanto nei concetti basici e nelle finalità il precedente sistema di welfare. In molti paesi europei infatti da qualche anno stanno avanzando diverse proposte di rilancio della misura del reddito garantito. Quelle più interessanti sono relative alla definizione di un reddito minimo con forme di condizionatezza meno stringenti come nella proposta della Regione francese dell’Acquitania20, nelle proposte di numerosi Comuni in Olanda21 su un reddito minimo incondizionato, o le proposte provenienti dalla Finlandia22. Addirittura in alcuni paesi vi sono proposte ancora più radicali come quella del referendum in Svizzera che chiede un reddito di base incondizionato da destinare a tutti i cittadini che abbiano sopra i 25 anni23 a dimostrazione di un dibattito molto più ampio in merito al reddito garantito.
In questo senso le due proposte avanzate dalle due campagne italiane hanno individuato una sorta di “opzione mediatoria” , tra reddito e lavoro, nel concetto della “congruità” del lavoro. Cioè il fatto che il lavoro offerto non sia “un lavoro qualsiasi” ma che sia congruo in relazione alle esperienze, alla formazione, ed anche alle competenze informali del beneficiario del reddito minimo garantito come forma di valorizzazione dell’individuo e non, al contrario, come “obbligo” con la conseguente “punizione” della perdita del beneficio in caso di rifiuto. Inoltre ridona un senso agli strumenti pubblici del mondo del lavoro come l’ufficio per l’impiego che dovrà esso stesso adoperasi al meglio affinchè il beneficiario possa trovare un lavoro “congruo”.
Porre l’accento sulla valorizzazione della persona piuttosto che obbligarlo a qualsiasi lavoro, ha portato i proponenti delle due campagne a definire il concetto di “congruità”. Questo anche perché se si vuole evitare di determinare “obblighi vessatori” quello della condizionatezza a qualsiasi lavoro significava al contrario operare per riconoscere le competenze formali ed informali, la capacità che il soggetto inevitabilmente porta con se e che diventa ricchezza sociale, un capitale umano più ampio che non può essere disperso.
La questione della congruità, cioè di un lavoro congruo da offrire cosi esposto nelle due campagne, pone la questione della “condizionatezza” al lavoro sotto un’altra luce. La logica dovrebbe essere quella che lega il beneficiario del reddito minimo al lavoro attraverso una idea di “libertà di scelta” del lavoro. Ancor più se si vuole dare a questo un senso “emancipatorio” cosi come sostenuto dalle tesi dei cosi detti “lavoristi”. Il concetto di non contrapporre il reddito minimo e la garanzia ad una vita dignitosa attraverso l’obbligo all’integrazione lavorativa è anche in questo caso mutuato dalle indicazioni sovranazionali in cui si dice che: “Il coinvolgimento attivo non deve sostituirsi all’inclusione sociale e chiunque deve poter disporre di un Reddito Minimo, e di servizi sociali di qualità a prescindere dalla propria partecipazione al mercato del lavoro”24.
Come detto, diversi studi internazionali pongono l’attenzione sul rischio che corrono gli attuali schemi di reddito minimo in Europa che se troppo condizionanti (da tutti i punti di vista) rischiano al contrario di incentivare lavori dequalificanti, di essere di difficile accesso, di durare poco nel tempo e soprattutto, visti i troppi vincoli richiesti, di essere al contrario strumento che aumentano la platea degli esclusi perché aumentano la platea dei non richiedenti. Il fatto di aver perso un lavoro o di passare da un lavoro ad un altro, come accade ai lavoratori precari e flessibili, non fa di questo soggetto un “fannulone” perché chiede un reddito minimo, ma al contrario va riconosciuto nella sua complessità. Se non si persegue questa strada si rischia di aprire ad un percorso di ulteriore impoverimento delle competenze dell’individuo e dunque di una società nel suo complesso. Il reddito minimo garantito va sempre compreso dentro la sfera della valorizzazione dell’individuo e non il contrario.
Anche in questo caso ci vengono in soccorso di nuovo le esperienze europee o meglio le critiche ai tagli di questi ultimi anni, e soprattutto le istituzioni europee quando dicono che “la causa di un’apparente esclusione dal mondo del lavoro può risiedere nella mancanza di sufficienti opportunità occupazionali dignitose piuttosto che nella mancanza di sforzi individuali”25.
11 In particolare la ricerca ed il successivo libro a cura del BIN Italia, “Reddito minimo garantito, un progetto necessario e possibile” Edizioni Gruppo Abele, 2012.
12 In particolare la Carta di Nizza.
13 Vedi anche lo studio prodotto dalla rete EMIN “Analisi di uno schema di reddito minimo in cinque stati membri” oppure dagli studi di H. Frazer ed E. Marlier “Minimum income schemes across EU member” European Commission Dg Employment, Social Affairs and Equal opportunities, 2009
14 Questa è stata fatta oggetto di richiami da alcuni organismi come l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) che ha fatto ricorso proprio sulla base del rischio di discriminazione in merito alla proposta perché assegnerebbe punteggi maggiori a partire dalla nazionalità del richiedente.
15 Vedi le schede sugli schemi di reddito minimo nei diversi paesi europei pubblicati nella ricerca “Reddito Garantito e nuovi diritti sociali, i sistemi di protezione sociale in Europa a confronto per una legge nella regione Lazio” Assessorato al Lavoro, Regione Lazio, 2006.
16 L’idea della Regione Puglia sarebbe quella di intervenire con un reddito minimo su una platea ampia dei beneficiari a partire non dal finanziamento della legge ma da una turnazione degli aventi diritti. Come dire, la dignità può durare al massimo il periodo di erogazione del beneficio dopodiché se non sono stati fatti progressi per uscire dalla condizione di esclusione sociale, terminato il turno, il soggetto beneficiario torna nella condizione di povertà dalla quale proveniva senza più alcun riconoscimento.
17 Risoluzione del 20 ottobre 2010 sul ruolo del Reddito Minimo, nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa
18 Nel XVII secolo tre erano i capisaldi del sistema: la Poor Law, che affidava l’assistenza dei poveri alle parrocchie e istituiva le poorhouses[1]; lo Statute of Artificers che prevedeva l’imposizione del lavoro, regolava apprendistato e tariffe salariali e prevedeva controlli salariali annuali da parte di pubblici ufficiali; Nel XVIII secolo le poorhouses cominciarono ad essere affiancate dalle workhouses. Con la legge elisabettiana [la Poor Law del 1601] i poveri erano costretti a lavorare per qualunque salario essi potessero ottenere
19 Consigliamo di vedere l’interessante video documentario prodotto dalla Rai dal titolo “L’inferno della Hartz IV”. Il piano Hartz è la definizione dell’insieme di proposte della Commissione “Servizi moderni al mercato del lavoro”, che in Germania ha lavorato sotto la guida di Peter Hartz ed ha presentato la propria relazione nell’agosto 2002. Unificazione dell’indennità di disoccupazione (Arbeitslosenhilfe) e sussidio sociale (Sozialhilfe (Hilfe zum Lebensunterhalt)) per persone idonee al lavoro nell’indennità di disoccupazione II (Arbeitslosengeld II (ALGII)) in parte ad un livello inferiore del preesistente sussidio sociale.
20 Il Consiglio Regionale Aquitania ha approvato progetti pilota per testare l’introduzione di una “RSA incondizionato”. Il Revenu de Solidarité Active o RSA, è l’attuale strumento presente in Francia di reddito minimo garantito che prevede un means test per potervi accedere. L’incondizionalità proposta su questa misura del RSA comporterebbe di fatto la fine della condizionalità al lavoro come requisito per poter accedere a ricevere il reddito minimo e renderebbe dunque questa misura meno discriminatoria e meno burocratica. (Tratto da www.bin-italia.org)
21 In Olanda stanno aumentando i progetti pilota di numerosi enti locali per prendere in considerazione l’introduzione di una misura di reddito minimo garantito ed incondizionato. Sono oltre 30 comuni olandesi che stanno valutando questa ipotesi. In particolare la città di Utrecht, la quarta città più popolata dei Paesi Bassi, ha infatti attirato una forte attenzione di recente – anche a livello internazionale – con l’annuncio di volere lanciare un progetto pilota entro la fine dell’anno per garantire un reddito di base incondizionato ai suoi residenti. (tratto da www.bin-italia.org)
22 Prima delle elezioni politiche del 2015 vi era stato un forte dibattito da parte di tutte le forze politiche finlandesi per arrivare a definire una proposta di reddito minimo incondizionato nel paese. Tale proposta è ora parte del programma di governo. (tratto da www.bin-italia.org)
23 130mila firme per un referendum a favore di un reddito di base incondizionato da erogare a tutti i cittadini svizzeri, lavoratori e non, di 2500 franchi pari a 2000 euro mensili. (tratto da www.bin-italia.org)
24 come recita la Relazione per Risoluzione europea sul Coinvolgimento delle persone escluse dal mercato del lavoro (2009)
25 Risoluzione sul Coinvolgimento delle persone escluse dal mercato del lavoro (2009)