Un reddito garantito ci vuole. Ma che reddito garantito ci vuole? Breve storia dei percorsi per un reddito garantito in Italia degli ultimi anni e le proposte in campo
Presentazione di Aldo Dobrina
Auspicabilmente provocatorio appare il prezioso aticolo di Sandro Gobetti che pubblichiamo su questo numero di Quaderni Europei sul Nuovo Wellfare. Invero, la nostra rivista è maggiormente avvezza a considerare i costi crescenti del wellfare nelle attuali impostazioni. Si tratta qui invece di cambiare atteggiamento culturale nei confronti della macchina economica. Da spesa, da aiuto economico ai meno abbienti, un “reddito garantito” che raggiunga un’adeguata consistenza rappresenta un potenziale motore di domanda interna, di solvibilità nelle contrattazioni di mutui e altri presupposti essenziali della crescita economica. Evidentemente la sfida mette alla prova le reali capacità e competenza di chi gestisce il pubblico denaro. D’altra parte, non si tratta di un esperimento, quanto è vero che il reddito garantito già rappresenta un’esperienza ormai consolidata in altri paesi europei.
Una spinta che viene da lontano
Mai come negli anni che vanno dal 2012 al 2015, in Italia, si è stati cosi vicini alla possibilità di introdurre una (seppur iniziale) misura di reddito garantito, cioè di un diritto ad avere un beneficio economico che rendesse possibile il fatto che “sotto di una certa soglia economica” nessun essere umano può “scivolare”. Un principio di base che avrebbe imposto in uno dei paesi europei a maggior rischio esclusione sociale e disoccupazione giovanile un concetto semplice, ancor più se in una società a capitalismo avanzato, che introducesse una nuova garanzia di dignità della persona dentro la sfera dei diritti sociali ed economici. Seppur in forme diverse rispetto ad un dibattito e ad alcune esperienze di carattere internazionale1, che in alcuni casi spinge più in avanti la proposta di un diritto al reddito come il reddito di base incondizionato ed universale (cioè un diritto di esistenza erogato a tutti a prescindere dalla condizione lavorativa o patrimoniale etc.), in Italia si è imposto quantomeno un dibattito che facesse del “reddito minimo garantito” una opzione possibile, praticabile, urgente e necessaria.
Le proposte avanzate, senza soffermarci sulla storia del dibattito in Italia più lunga di quanto si creda, possiamo dire che si basano su una serie di analisi che partono già negli anni ’90 dello scorso secolo a partire dal legame tra le trasformazioni produttive e la necessità di individuare nuovi strumenti di tutela e redistribuzione2. Dopo anche i diversi studi (come quello noto della cosi detta Commissione Onofri)3, a partire da dopo la metà degli anni ’90, si sono avute alcune sperimentazioni e proposte più o meno interessanti che andavano in qualche modo nella direzione di modernizzare lo stato sociale o quantomeno di porre lo strumento del reddito minimo garantito come necessario. Seppur con molti limiti e critiche che si possono fare, vi sono state alcune esperienze che segnano anche la “storia” delle esperienze in Italia in merito a questo nuovo diritto. Sono un esempio le sperimentazioni di carattere nazionale (come il Reddito Minimo di Inserimento), le proposte delle tante e diverse leggi regionali (in particolare la legge del Lazio che può essere annoverata tra le migliori proposte emerse), l’intenso dibattito che ha interessato prima i movimenti sociali, poi le nuove figure lavorative (con le grandi manifestazioni del mondo della precarietà della cosi detta May Day fin dai primi anni 20004), fino ad arrivare alle proposte di alcune forze politiche, da Rifondazione Comunista a SEL al M5S che hanno inserito nei loro programmi politici, ed elettorali, proposte simili5. Il dibattito ha attraversato anche il mondo culturale ed accademico, con la presa di posizione forte di giuristi e giuslavoristi, costituzionalisti, sociologi ed economisti6, cosi come ha visto dei sostenitori anche tra molte personalità del mondo della politica che non necessariamente trovavano nel loro partito altrettanto interesse (ad esempio alcuni esponenti del Partito Democratico che hanno presentato, durante le scorse legislature, proposte di legge)7. Insomma questo per dire che in questi ultimi 25 anni sicuramente il tema del diritto ad un reddito garantito si è fatto largo, si è imposto sempre più prepotentemente nel dibattito e nell’agenda politica e sociale del nostro paese come mai prima.
Oltre che le trasformazioni sociali e del mondo del lavoro che attraversavano l’Italia e che hanno reso sicuramente il tema del reddito una delle proposte più calzanti per rispondere a tali trasformazioni, sicuramente l’elemento delle best practice o per meglio dire delle esperienze già esistenti in tema di “reddito minimo garantito” presenti da tempo negli schemi di welfare di molti paesi europei, ha reso il tema ancora più percorribile dal punto di vista della fattibilità della proposta. La chiave dei “modelli europei” è stata un ottima “chiave” per raccontare questa proposta e da destinare anche ai più scettici rispetto alla possibilità di definire un sistema di garanzia del reddito. Le esperienze dei paesi del nord Europa (e non solo) cosi come le diverse “indicazioni” delle istituzioni sovranazionali, che davano con alcune risoluzioni un preciso ruolo allo strumento del reddito minimo garantito, hanno sicuramente reso “più comprensibile” il tema e hanno sicuramente avuto un ruolo di convincimento per la praticabilità, oltre che della giustezza, di una misura di garanzia del reddito. Le esperienze europee e le indicazioni sovranazionali hanno creato anche l’effetto positivo sul fatto che il tema potesse emergere dalle rivendicazioni sociali e dal dibattito teorico generale e finire cosi nelle agende istituzionali. A un certo punto le esperienze europee cosi come le indicazioni sovranazionali sono diventate una sorta di “guida” per definire alcune proposte di legge, anche se, va detto, spesso rimaneggiate per essere “offerte e giustificate” all’opinione pubblica italiana.
2012 e 2015 per il diritto al reddito la società ci mette la firma
Sicuramente il periodo più prolifico rispetto alla possibilità di definire e introdurre finalmente una misura di tipo legislativo possiamo inserirlo negli anni tra il 2012 ed il 2015. Per molti la percezione che il tema potesse effettivamente arrivare a un articolato di legge definito, così da poter essere introdotta una misura di reddito minimo garantito, sembrava essere li a venire. Le condizione sociali e l’aggravarsi del disagio economico di ampi strati della società italiana richiedevano e, oggi con maggiore urgenza, richiedono una misura del genere. E’ stata proprio questa complessità di connessioni sociali e culturali messa in campo negli anni precedenti, che ha permesso di introdurre il tema con maggiore forza ed interesse, tanto da arrivare a due importantissime esperienze, come le campagne di raccolta firme, prima nel 2012 e successivamente nel 2015 per definire finalmente una proposta di legge possibile.
Nella prima campagna di raccolta firme per “una legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito”8, iniziata nel giugno 2012, ben oltre 60 mila firme furono consegnate nelle mani della Presidente della Camera Boldrini, che nell’aprile 2013 incontrò gli stessi proponenti dicendosi non solo a favore di una proposta simile ma che avrebbe fatto si che l’aula parlamentare la discutesse anche a prescindere dal numero di firme raccolte. Ma a prescindere dal numero delle firme, fu altrettanto interessante il fatto che la campagna attraversò per sei mesi l’intero paese coinvolgendo centinaia di associazioni e realtà sociali che organizzarono oltre 250 iniziative pubbliche. La campagna di raccolta firme e dunque le tante iniziative sociali, furono sostenute anche da alcuni partiti politici che pochi anni prima erano avulsi al tema se non, in alcuni casi, addirittura contrari. Cosi come tante furono le personalità della cultura che sostennero la campagna e dunque la proposta di legge popolare segnando cosi un’altra novità e cioè una trasversalità ancora più ampia nei diversi territori e settori sociali del paese. Il caso poi in certi momenti della storia sembra “non venire per caso”. Infatti durante la campagna di raccolta firme, con sorpresa, si ebbero anche le elezioni politiche e più di un partito o movimento parlò apertamente della necessità di introdurre un diritto al reddito garantito (anche se utilizzando spesso nomi diversi e a volte fuorvianti) e questo segnò sicuramente una delle novità più interessanti, rispetto al nostro paese, in cui spesso questo tema veniva relegato in nicchie culturali o politiche come fosse una sorta di “strana idea”. La proposta di legge di iniziativa popolare (nel suo articolato) fu successivamente “fatta propria” dal partito di Sinistra Ecologia Libertà per “aggirare” le lungaggini burocratiche (che solitamente incontrano le proposte di iniziativa popolare) e fu cosi portata in discussione alla Commissione Lavoro del Senato per avviarsi al dibattito parlamentare.
Nella primavera del 2015 prese corpo una seconda campagna sociale, con un’altra raccolta firme (oltre 80mila), definita: “100 giorni per un Reddito di Dignità”9. Questa volta non solo si segnalava l’aggravarsi delle condizioni sociali ed economiche per strati ancora più ampi della società italiana a causa anche dei risultati dell’aggravarsi della crisi, ma ancor più si segnalava l’urgenza dell’introduzione di una misura simile. Questa campagna pose con forza la questione del tempo entro cui si sarebbe dovuta fare una legge per il reddito minimo garantito:100 giorni. Determinata a chiedere dunque alle istituzioni un tempo entro cui dibattere e definire una legge sul reddito minimo garantito. In questa seconda campagna sociale la platea dei partecipanti alla raccolta firme divenne ancora più ampia della prima. A partire dall’esperienza di “Miseria Ladra”, una rete contro la povertà molto ampia, parteciparono non solo centinaia di associazioni, ma anche enti locali, sindaci, giunte comunali sparse in tutto il paese, ma anche sindacati e studenti. L’iniziativa, che vide il ruolo principale e trainante dell’ ”Associazione Libera contro le mafie” ebbe la partecipazione di un mondo di realtà sociali ancora più trasversale. Dai cattolici di base agli studenti, dalle realtà di lotta per i diritti sociali alle associazioni di contrasto alla povertà, dai partiti agli enti locali. Insomma una trasversalità “popolare” oseremo dire, che funzionò anche da termometro delle condizioni di difficoltà economica nel nostro paese che di volta in volta venivano denunciate, ma anche di quanto il tema del reddito minimo garantito fosse stato “fatto proprio” da migliaia di persone che risposero mobilitandosi per questa campagna.
Se nel 2012 la casualità fu quella di trovarsi nel bel mezzo di una campagna elettorale per le elezioni politiche, nella seconda, del 2015, la determinazione superò la casualità e puntò subito a coinvolgere le forze politiche chiedendo, o meglio, indicando loro un tempo certo per una misura certa: 100 giorni per una legge! In questa seconda campagna non fu realizzato un articolato di legge, ma bensì fu definita una piattaforma di 10 punti in cui i proponenti esprimevano con chiarezza alcuni concetti di base per definire una legge sul reddito minimo garantito al passo con i tempi. Un “Manifesto Piattaforma” come fosse una “guida ai principi irrinunciabili” utile per un eventuale articolato di legge da proporre in Parlamento. Un modo inoltre per dire “che non tutte le proposte sono uguali” e che indicava dunque dei concetti di base su cui doversi muovere. Si chiese inoltre un impegno ad personam ai diversi parlamentari a partire dalla loro firma come sostegno a questa Piattaforma e dunque ai concetti li espressi. Questa operazione intendeva, come poi richiesto ufficialmente anche attraverso numerose “lettere aperte” e articoli pubblicati su diversi quotidiani, di “mettere insieme” le diverse proposte in campo10 cosi da poter “unire” le forze politiche (e parlamentari) intorno ad un’unica proposta di legge cosi da poter essere approvata. In questo senso la campagna dei “100 giorni per un reddito di dignità” ha voluto segnare il passo, tentare un allungo, definire una proposta ed arrivare ad avere finalmente un nuovo diritto nel nostro paese.
Sandro Gobetti: Coordinatore BIN Italia (www.bin-italia.org)
1 Vedi il dibattito e le proposte avanzate dalla rete mondiale BIEN e dalla rete europea UBIE nonché dei progetti pilota di reddito minimo incondizionato in alcuni paesi europei e del reddito di base universale nelle esperienze in India e Namibia e non ultima l’esperienza della Bolsa Familia in Brasile.
2 A tal proposito, solo per citarne alcuni, si possono consultare: Autori Vari “La democrazia del reddito universale” Manifesto Libri 1996; “A. Tiddi e A. Mantegna “Reddito di cittadinanza, verso la società del non lavoro” Infoxoatools 1999; A. Fumagalli e M. Lazzarato “Tute Bianche, disoccupazione di massa e reddito di cittadinanza” Derive Approdi 1999; A. Tiddi “Precari” Derive Approdi 2002; La rivista Infoxoa e la rivista Derive Approdi; ed anche i numerosi testi di autori internazionali come J. Rifkin “La fine del lavoro” Oscar Mondadori 2002; U. Beck “La società del rischio” Carocci 2000; etc. E negli anni successivi: Autori Vari “Reddito per tutti, un’utopia concreta nell’era globale” a cura del BIN Italia, Manifesto Libri 2009 etc.
3 I lavori della “Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale”, più nota come Commissione Onofri, si sono conclusi nel 1997 con una proposta di riforma organica dello stato sociale italiano. Sul tema degli ammortizzatori sociali, la Commissione aveva formulato un progetto universalistico di protezione in caso di sospensione temporanea del lavoro e perdita del posto. La proposta includeva l’istituzione di un “reddito minimo vitale”.
4 La cosi detta May Day riuscì a raccogliere nel corso degli anni, nella giornata del primo maggio, decine di migliaia di lavoratori precari e non solo. In alcune di queste manifestazioni, che si tenevano a Milano, la presenza dei partecipanti arrivò a superare anche le 100mila persone. Tanto che la stessa May Day divenne per alcuni anni Euro May Day con la partecipazione al “primo maggio dei precari” di numerose città e capitali europee. La May Day si caratterizzò subito con la rivendicazione di un reddito di base o un reddito minimo garantito a partire proprio dalla trasformazione del mondo del lavoro con l’avvento delle nuove tecnologie e della flessibilità del lavoro.
5 Al momento in cui vi scriviamo vi sono due proposte di legge per il “reddito di cittadinanza”, a firma Movimento 5 Stelle, ed una per il “reddito minimo garantito” a firma Sinistra Ecologia Libertà, che sono in discussione alla Commissione Lavoro del Senato.
6 In buona parte molti di questi studiosi sono soci o sostenitori proprio dell’Associazione italiana per il reddito garantito, Bin Italia.
7 Ad esempio la proposta di legge sul “Reddito minimo di Cittadinanza” del Senatore del Partito Democratico Roberto Di Giovan Paolo.
8 Si può visitare il sito www.redditogarantito.it oppure il sito www.bin-italia.org in cui è possibile trovare sia l’elenco delle associazioni aderenti, sia le tante iniziative realizzate, sia l’articolato della proposta di legge.
9 Per maggiori informazioni visitare il sito www.campagnareddito.eu oppure www.bin-italia.org oppure sul sito www.libera.it
10 In quella fase ben due erano le proposte di legge in discussione alla Commissione Lavoro del Senato, una a firma Movimento 5 Stelle ed una a firma Sinistra Ecologia Liberà