QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Conclusioni

Longevità fisica e morte sociale prematura

Il ritardo con cui il nostro Paese sta affrontando la travolgente espansione della domanda di cure a lungo termine indotta dall’esplosivo incremento delle persone anziane non autosufficienti fa tornare alla mente un aneddoto che Federico Caffè, il grande economista misteriosamente scomparso nel 1987, raccontava a un suo vecchio allievo.

“(…) ti racconto un aneddoto che mi è stato riferito da un giovane diplomatico con notevoli inclinazioni per l’antropologia. In una tribù africana le persone anziane diventate incapaci di dare qualsiasi contributo alla comunità vengono portate sulla riva di un fiume profondo e spinte, dolcemente ma inflessibilmente, con lunghe pertiche verso il punto del non ritorno”.

“Mi pare un costume barbaro” (commenta il vecchio allievo).

“Io non ne sono altrettanto sicuro. In ogni caso questa “barbarie”, come la chiami tu, non è senza ragione. Lo scopo è di mantenere un equilibrio demografico all’interno della collettività la cui vita, per altro, presenta aspetti di forte coesione e solidarietà tra i gruppi. Sempre secondo le osservazioni di questo mio giovane amico diplomatico, che ha assolto il suo obbligo di soggiorno in residenza disagiata appunto in Africa, nella tribù di cui parliamo non ci si preoccupa soltanto di mandare a morte i vecchi inabili; ci si preoccupa anche di assicurare la sussistenza, poniamo, ai familiari di una persona prematuramente scomparsa o divenuta per infortunio inabile al lavoro. Rifletti. In Italia, in conseguenza del prolungarsi della vita media degli uomini, e soprattutto delle donne, nel 2025 i due terzi della spesa sociale saranno assorbiti dall’onere pensionistico. Temo che l’alternativa delle pertiche, se non cambieranno molte cose, dovrà essere presa in seria considerazione” (Rea,1992).

A volte verrebbe da pensare che, nella nostra società, l’ingrato compito di sospingere i vecchi inabili verso il punto di non ritorno sia tacitamente affidato ai servizi di cura a lungo termine. Con la differenza che, in questo caso, lo strumento per liberarsi del pesante fardello degli anziani cronici non è una lunga pertica, ma un più insidioso e sofisticato sistema di esclusione e di cancellazione sociale della persona. Un sistema che facendo ricorso al “terrorismo contabile dei disavanzi catastrofici degli istituti previdenziali” rischia di negare al singolo anziano dipendente il diritto di continuare a condurre una vita dignitosa e a morire al momento giusto. Di fronte a questo atteggiamento Caffè si chiedeva se anche la nostra società stesse pensando, come la tribù africana di cui abbiamo parlato, a una qualche “soluzione finale” (eutanasia morbida; Pellissier,2007) per porre rimedio agli squilibri originati da una eccessiva longevità.

Come abbiamo cercato di dimostrare, a livello individuale la perdita dell’autonomia fisica e funzionale innesca un processo di disgregazione dell’identità che viene rafforzato dall’immagine di sé difettosa e svalutata che gli altri rinviano al soggetto anziano, considerato come un mero fruitore di prestazioni previdenziali e sanitarie.

L’impoverimento degli scambi relazionali derivante dal prolungato e sempre più intenso contatto con gli operatori dei servizi di cure a lungo termine, unito al vissuto colpevolizzante di rappresentare un peso economicamente insostenibile per la famiglia e la società, alimenta la tendenza alla chiusura in se stessi e alla regressione.

Mano a mano che l’età avanza la società non solo smette di considerare la persona nei termini di ciò che ancora potrebbe essere, negandole un futuro, ma cancella anche il suo passato, dimenticandosi di ciò che sul piano sociale è stata. Invecchiando essa riceve dalla società un messaggio contraddittorio e confuso, poiché se da una lato le si assicura, attraverso il miglioramento delle condizioni materiali di vita e dell’assistenza, una più lunga sopravvivenza fisica, nello stesso tempo la si fa sentire un peso e la si sospinge gradualmente ai margini della vita sociale condannandola a una sorta di morte sociale precoce.

Questo paradosso tocca il suo apice nel momento in cui, entrata nello stadio della dipendenza fisica, si trova costretta a ricorrere a un sistema di cure che, assumendo come unico fondamento il corpo che invecchia, finisce col sottoporla a un processo di oggettualizzazione (Molinatto, 2004) che crea le premesse per la sua esclusione.

Lo strumento adottato per perseguire questo obiettivo è il paradigma bio-medico dell’invecchiamento che rappresenta a tutt’oggi il cardine delle politiche sociali rivolte a questa fascia di popolazione. Riducendo la dipendenza all’incapacità di compiere da soli i principali atti della vita quotidiana e ignorando l’impatto che questa condizione esercita sulla possibilità di continuare a governare autonomamente la propria persona e la propria vita, il paradigma bio-medico dell’invecchiamento crea i presupposti per la progressiva cancellazione sociale dell’individuo.

Così come era accaduto ai medici igienisti all’inizio del Secolo scorso, i medici geriatri sono diventati i naturali alleati del potere politico, aiutandolo a gestire i complessi e preoccupanti problemi economici e sociali creati dall’aumento di persone anziane dipendenti attraverso il loro incanalamento all’interno di percorsi tecnici rigidamente strutturati.

Se da un lato va riconosciuto che il paradigma bio-medico della dipendenza contribuisce a contenere e razionalizzare la spesa sanitaria, non si può dall’altro lato sottacere che esso pone in atto processi di discriminazione e di emarginazione sociale che Zygmunt Bauman definisce smaltimento di corpi superflui (Bauman,2005).

Poiché nella società contemporanea lo smaltimento di colui che si vuole escludere non può essere più attuato con la sua uccisione, la forma di esclusione più vicina alla morte è quella che passa attraverso la sua riduzione a corpo, cosa, animalità, facendo risalire alla natura l’origine della diversità che può giustificarne l’esclusione. “Il processo di individuazione dell’altro come corpo, passività, inerzia, oggettualità o pura irrazionalità, continua a ricalcare quello arcaico della proiezione nel capro dei propri mali e delle proprie colpe (…), ma – questa volta –passando attraverso una mediazione che serva a deresponsabilizzare la collettività e a trasferire nel singolo la “colpa” della propria diversità. Se la scelta biblica del capro poteva garantire lo scarico delle colpe sull’animale, la scelta di gruppi di individui da allontanare e da escludere dal banchetto, pur essendo membri di una società che dichiara l’uguaglianza di tutti gli uomini, ha bisogno di essere razionalizzata attraverso processi ideologici che la facciano apparire ciò che non è” (Ongaro Basaglia,1978) .

Se si vogliono riformulare in termini più inclusivi le politiche sociali per le persone anziane dipendenti, è necessario muovere dal presupposto che il diritto a ricevere cure e assistenza non può essere disgiunto dal diritto di continuare a governare la propria vita, di essere rispettati dai propri simili e di partecipare alla vita della comunità. Al pari di tutte le persone svantaggiate giovani e adulte, anche gli anziani dipendenti aspirano a condurre una vita normale.

Sebbene anche in campo geriatrico si sia andata facendo strada la consapevolezza che la costruzione di mondi artificiali concepiti per contrastare le perdite inevitabili causate dall’invecchiamento sia inadatta a riconoscere e rispettare l’aspirazione alla normalità che ogni persona anziana, consciamente o inconsciamente, continua a conservare dentro di sè (Spagnoli,2005,Guaita,2001), fatica ad affermarsi un modello di cura che, muovendo dal riconoscimento che l’assistenza all’anziano fragile è principalmente una vicenda umana, di umani che si prendono cura di umani (Trabucchi,2003), sappia coniugare sostenibilità economica (contenimento dei costi dei servizi) e sostenibilità sociale (rispetto della persona e della sua vita).

Sulla necessità di “de-medicalizzare” le politiche sociali destinate agli anziani dipendenti insiste anche il “Comitato Nazionale di Bioetica” che, uniformandosi alle sollecitazioni di importanti istituzioni europee, in un suo documento riconosce loro il diritto ad ‘invecchiare vivendo’, godendo, cioè, di una qualità di vita che corrisponda al più alto livello di benessere possibile. Spostando l’attenzione dalla disabilità all’ “autonomia sociale della persona il processo di invecchiamento corre meno il rischio di essere medicalizzato e identificato con il profilo del disagio psico-fisico. (…) La predisposizione di un piano di cure individualizzato non può prescindere da un’analisi del profilo psico-sociale della persona fondato sulla ricostruzione delle tappe della sua attività professionale e socio-familiare, al fine di reperire le competenze, i centri di interesse e le motivazioni acquisite collocandole in una dimensione prospettica, che le consenta di formulare realisticamente nuove scelte, prendendo le decisioni adeguate” (Comitato nazionale di Bioetica,2006).

L’assunzione di uno sguardo meno medicalizzato e più creativo sulla vecchiaia dipendente, oltre a contribuire al miglioramento della qualità di vita della persona, può condurre a scoprire una possibile funzione sociale di questa età della vita. “Quale può essere – si chiede, ad esempio, Michel Billé – la funzione sociale di questo vecchio allettato, incontinente, demente, prostrato o agitato, preso in carico nel migliore o nel peggiore senso del termine in qualche casa di riposo? Quale è la sua funzione, che cosa ci aspettiamo da lui, che cosa rappresenta per noi? Quale ruolo ci aspettiamo che assuma? Quale status siamo disposti a riconoscergli, noi collettivamente (è troppo facile scaricarlo nelle mani dei professionisti della cura), noi cittadini di questa società?” (Billé, 2004). Questi interrogativi possono aiutarci a trovare loro una funzione sociale che può essere assai simile a quella del filosofo, poiché con la sua semplice presenza l’anziano dipendente ci interroga senza sosta sul senso che attribuiamo alla vita, alla vecchiaia, alla morte, a ciò che è un essere umano, a ciò che è l’umanità.

Negli ultimi anni gli organismi internazionali e nazionali preposti alla tutela della salute fisica, psichica e sociale della popolazione hanno promosso un vasto piano di umanizzazione dei servizi sanitari definendo i diritti della persona anziana non autosufficiente e fornendo alle istituzioni e agli operatori gli orientamenti cui uniformarsi per soddisfarli 1.

Sebbene le Carte dei servizi riconoscano con grande enfasi i diritti degli utenti, è illusorio pensare che un problema radicale e di enorme rilevanza economica come quello dell’assistenza agli anziani non autosufficienti possa trovare una soluzione sul piano del diritto in una società come quella post-moderna che esclude o rimuove dal proprio orizzonte cognitivo e culturale il confronto con l’incertezza e con la sofferenza, rifugiandosi nel narcisismo e nell’esaltazione di sé.

Oggi più che mai le soluzioni ai problemi estremi possono essere trovate solo facendo ricorso alla forza morale e allo spirito di solidarietà. Valori quanto mai scarseggianti in tempi in cui la morale privata prevale su quella pubblica, ponendo a fondamento degli scambi interpersonali le regole del mercato.

Come scrive Norberto Bobbio: “Se si ritiene che la società debba essere guidata dalle regole del mercato, per coloro che non rendono non c’è più scampo. Se la regola fondamentale di una società è quella della domanda e dell’offerta, vale a dire che tutto si può offrire se viene domandato, ma bisogna che sia domandato e viceversa, il problema di coloro che non rendono, il problema di coloro che sono al di fuori del mercato, diventa sempre più difficile” (Bobbio, 1988).

Sebbene la congiuntura economica che stiamo attraversando sia poco favorevole alla soluzione di una questione complessa come quella degli anziani dipendenti, non vanno abbandonati gli sforzi per alimentare un pensiero creativo e innovativo che si ponga alla ricerca di politiche sociali capaci di offrire un sistema di cure a lungo termine rispettoso dell’identità della persona anziana e compatibile con la continuità della sua vita.

 

1 Si veda il documento “Carta Europea dei diritti e delle responsabilità delle persone anziane bisognose di cure ed assistenza a lungo termine”, Unione Europea, Giugno 2010.


Pagine: 1 2