QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Introduzione: La vera vecchiaia

Dimensioni e composizione sociale della popolazione anziana dipendente in Italia

La ricerca sociologica ha manifestato, fino ad oggi, un interesse limitato nei confronti della popolazione anziana dipendente. Uniformandosi agli orientamenti delle politiche sociali rivolte a questa fascia di popolazione, la maggior parte delle ricerche sociali su questo terreno si è limitata a quantificare le dimensioni del fenomeno, ad analizzare la sua distribuzione sul territorio, a rilevare la consistenza delle risorse economiche, familiari e abitative, di cui i soggetti dispongono per fronteggiare la condizione di dipendenza. Le ricerche intorno ai fenomeni sopra elencati non sono certamente inutili perché, in un momento di crisi dei sistemi di welfare, contribuiscono a individuare le fasce di popolazione più a rischio, a verificare la tenuta delle reti di solidarietà pubblica e privata all’interno delle quali si colloca l’anziano dipendente e a distribuire equamente i costi della sua assistenza fra soggetti pubblici e privati. Ma senza una più ampia analisi delle concrete condizioni di vita della persona anziana dipendente all’interno della famiglia o delle istituzioni, delle relazioni che essa intrattiene con le altre generazioni all’interno della società, delle possibilità che le sono riconosciute di esercitare i diritti di cittadinanza e di fruire dei sistemi di tutela e di protezione richiesti dal suo stato di fragilità, delle aspettative nei confronti dei servizi che le sono destinati, si rischia di assecondare, sia pure involontariamente, politiche sociali discriminatorie ed emarginanti.

Inspiegabilmente trascurate appaiono le ricerche condotte in una prospettiva longitudinale che potrebbero contribuire a metter in rilievo le profonde differenze che esistono sul piano della scolarità, del reddito, degli stili di vita, dei valori di riferimento tra le varie generazioni di persone anziane dipendenti che si succedono sulla scena pubblica.

Sul ritardo della ricerca sociologica pesano anche le difficoltà metodologiche derivanti dalle caratteristiche di questi soggetti sociali, difficilmente raggiungibili, in quanto confinati in famiglia o in istituzione, o non intervistabili, a causa delle loro condizioni di salute fisica e psichica.

Questo ritardo è aggravato dal fatto che, a differenza di altri Paesi europei, non esiste in l’Italia un istituto pubblico che tratti esclusivamente le tematiche relative alla popolazione anziana raccogliendo ed elaborando dati riguardanti i diversi aspetti delle sue condizioni di vita.

I dati “istituzionali”, raccolti in base a precise direttive di legge o specifiche competenze da enti quali l’ISTAT e altri organi dell’apparato statale, sono rilevati attraverso procedure non omogenee e prestano una difforme attenzione alla loro qualità rendendo in questo modo difficile la loro comparazione (Facchini,2001).

Ancora scarsamente diffuso è l’orientamento ad aggregare i dati demografici tenendo conto delle sempre più evidenti differenze che, all’interno della popolazione anziana, intercorrono tra i cosiddetti “senior” (65-79 anni) e i “grandi anziani” (over 80). I pochi dati disponibili, disaggregati per fasce di età all’interno della popolazione anziana, forniti dalle fonti statistiche “istituzionali”, accorpano generalmente i dati in base a una classificazione statistica fondata sulla bipartizione tra 66-75enni e over 75enni.

In assenza di analisi sociologiche mirate è tuttavia possibile delineare alcuni tratti distintivi di questa fascia di popolazione ricorrendo ad altre fonti, come ad esempio i risultati della ricerca che il Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (CAAP) ha condotto nel 2004 attingendo ai dati dell’indagine multiscopo dell’Istat incrociati con i dati dell’indagine della Banca d’Italia sulle condizioni economiche delle famiglie italiane.

I dati conducono una ricognizione del fenomeno della non autosufficienza in Italia con riferimento alla sua composizione per condizioni di disabilità, alla sua distribuzione territoriale, alle condizioni

familiari ed economiche. La ricerca ha preso in considerazione la popolazione non autosufficiente dai 6 anni di età in avanti. Noi ci soffermeremo in particolare su quelli che riguardano le persone anziane (over 65enni ).

La condizione di non autosufficienza è stata rilevata secondo il noto criterio di classificazione internazionale basato sulle Activities of Daily Living (ADL) mancanti. La condizione di disabilità risulta di gravità crescente al passare da 1 ADL mancante (lieve), a 2 ADL mancanti (media), a 3 ADL mancanti (grave).

Le persone non autosufficienti dai 6 anni di età in su ammontano a 2.623.227, il 73% dei quali (1.914.754) è in età anziana. Poco più della metà delle persone non autosufficienti (1.470.468 – 56.0%) è ancora in grado di fruire dell’ambiente extradomestico, mentre nel 44% dei casi (1.152.759 persone) risulta confinata in casa. Fra queste ultime le persone anziane ammontano a 883.978. Confrontando il loro grado di disabilità notiamo che il 9.8% presenta un grado di disabilità lieve (1 ADL mancante), il 12.6% un grado di disabilità media (2 ADL mancanti), il 34.3% un grado di disabilità grave (3 ADL mancanti), il 43.3% è “costretta in poltrona o a letto”.

Il confronto tra la fascia di età 66-75 anni e quella degli over 75enni mette in evidenza una maggiore incidenza della condizione di dipendenza fra questi ultimi. Le persone “costrette in casa” appartenenti alla fascia di età 66-75 anni rappresentano il 25.1% a fronte del 74.9% degli over 75enni; fra le persone che presentano un livello di disabilità grave (3 ADL mancanti) gli appartenenti alla fascia di età 66-75 anni rappresentano il 22.2% mentre fra gli over 75enni ammontano al 77.8%; fra le persone costrette in poltrona o a letto il 22.2% è rappresentato dalla fascia di età 66-75 anni mentre fra gli over 75enni la percentuale sale al 77.8%.

I dati sulla distribuzione dei non autosufficienti in relazione all’ampiezza del nucleo familiare di appartenenza rivelano che più di 28 non autosufficienti su 100 vivono da soli e 35 su 100 vivono in nuclei familiari di due persone (nella maggioranza dei casi con il coniuge).

L’analisi del nesso solitudine-disabilità evidenzia che il 15% delle persone che vivono sole presenta una qualche forma di disabilità e il 7% è costretto in casa.

Tra le coorti più attempate (over 75enni), quelle dove è più diffuso il rischio di non autosufficienza, la famiglia unipersonale raggiunge il 36%. Fra gli over 75enni ammonta al 43% la quota di coloro che, oltre a vivere soli, non dispongono di alcuna rete di sostegno, vuoi per la mancanza di figli, vuoi per la loro lontananza o indisponibilità (IRES,2007).

L’incrocio tra lo stato civile e la condizione familiare di residenza, consente di tracciare una distinzione tra quelle che sono state chiamate le «famiglie di o con anziani». Questo incrocio, muovendo dal dato che poco meno di due terzi degli over 65enni continuano ad avere un coniuge convivente, mentre la restante parte è single (in quanto vedovo/a, celibe/nubile, separato/a o divorziato/a), consente di distinguere tre “stati di famiglia”:

– le famiglie di anziani, cioè quelle composte da tutti membri ultra 65enni (37,5%), per lo più basate sulla coppia di coniugi anziani conviventi;

– le famiglie con anziani, in cui si ritrova la coabitazione di uno o più figli con la coppia di genitori anziani (20,8%), oppure di un/a anziano/a rimasto solo con i figli e la loro eventuale famiglia (18,1%);

– gli anziani che vivono soli (23,6%).

Prendendo in considerazione la situazione economica in cui versano i non autosufficienti,

la loro distribuzione in relazione alla ripartizione della popolazione italiana per decili di reddito pro-capite equivalente (il reddito del nucleo familiare è ripartito sul numero dei componenti pesato per la scala di equivalenza ISEE) mostra un certo addensamento dei non autosufficienti sui primi

tre decili, quelli cioè a reddito più basso. In altri termini, fra i disabili più poveri (30%) poco meno della metà (42%) è rappresenta da persone anziane. Si registra una certa concentrazione di non autosufficienti sui redditi bassi, anche se il fenomeno della non autosufficienza riguarda comunque tutta la popolazione, compresa quella a reddito alto.

Scomponendo la distribuzione dei disabili sui decili di reddito pro-capite equivalente in base all’età, distinguendo tra soggetti “non anziani” (meno di 65 anni di età) e soggetti “anziani” (a partire dai 65 anni di età), si rileva che la concentrazione di disabili nei decili più bassi riguarda soprattutto gli anziani, mentre i disabili “non anziani” si distribuiscono in modo abbastanza regolare su tutti i decili (CAAP, 2004).

Non va dimenticato che la maggioranza degli anziani dipendenti è rappresentata da vedove la cui situazione economica è molto più precaria di quella dei coetanei maschi per varie ragioni: molte sono titolari della sola pensione di reversibilità (più bassa perciò di quella percepita dal marito quando era in vita); altre sono prive di pensione in quanto mai entrate nel mondo del lavoro; altre ancora percepiscono pensioni inadeguate (per aver lavorato pochi anni, poiché impegnate nella gestione della famiglia o per aver occupato posizioni meno retribuite e ai livelli medio/bassi della gerarchia organizzativa) (Townsend,1981).

In sintesi, la distribuzione dei non autosufficienti per livelli di reddito mette in evidenza che, pur essendo presente anche nelle fasce medie e alte, si concentra soprattutto fra gli anziani più poveri. L’andamento lievemente decrescente della distribuzione dei non autosufficienti che si registra ai livelli più elevati di reddito, si può spiegare con il fatto che in questa fascia di popolazione sono più diffusi stili di vita personali e livelli di istruzione più funzionali al mantenimento di un soddisfacente stato di salute.

Fra i 345.093 anziani ospiti nelle strutture residenziali nel 2005 gli anziani non autosufficienti rappresentano il 70.3%. L’analisi delle caratteristiche anagrafiche rivela una riduzione costante degli anziani con meno di 75 anni di età, che in soli cinque anni sono passati dal 18,4% del 2000 al 13,7% del 2005, mentre gli ultraottantenni sono costantemente aumentati fino a raggiungere oltre i due terzi (68,8%) degli ospiti. Stabile e largamente maggioritario è il numero delle donne che, nel 2005, costituivano il 76,4% del totale, a prova di una maggiore longevità e di un maggior rischio di vedovanza e di istituzionalizzazione rispetto ai maschi che, disponendo generalmente del supporto di mogli più giovani, possono permanere più a lungo in famiglia.

L’ospite-tipo di una struttura residenziale è dunque ben definito: si tratta di una donna ultraottantenne non autosufficiente.

Il 56,5% del totale degli anziani ospitati paga interamente (anche con l’aiuto della famiglia) i costi del soggiorno che generalmente superano i 1.000 euro al mese; mentre il 35,5% paga solo una parte dei costi versando generalmente somme inferiori ai 1.000 euro mensili. Il restante 8% non paga nulla perché non ha mezzi sufficienti.

Prendendo in considerazione le singole strutture è possibile evidenziare che il Servizio sanitario si fa carico della spesa per il 52,5% nelle RSA, per il 42,2% nelle residenze sociosanitarie e per il 26% della spesa nelle residenze assistenziali a cui corrisponde un crescente onere a carico dell’assistito rispettivamente del 39,6%, del 48,6% e del 60,8%.

I Comuni intervengono o per pagare interamente le rette di coloro che non hanno risorse economiche (il 7,7% dei ricoverati) o per integrare le rette di coloro le cui risorse non sono sufficienti. Nel complesso i Comuni contribuiscono al pagamento della retta nel 43,5% dei casi con importi che nella stragrande maggioranza non superano i 1.000 euro mensili.

Rispetto all’Europa, l’Italia si colloca tra le Regioni con il più basso numero di anziani ricoverati nelle strutture residenziali, superiore solo alla Grecia. Nell’Unione europea (dei quindici) la media non ponderata degli anziani ospitati nelle strutture residenziali è del 5,1%. Si registra però una tendenza dei paesi del centro e nord Europa (Belgio, Svezia, Olanda, Francia) a collocarsi al di sopra del 6% ed una corrispondente tendenza dei paesi del sud d’Europa (Grecia, Italia, Spagna) a collocarsi ad un livello di sviluppo della residenzialità collettiva per anziani pari o inferiore al 4,0%.

In Italia, il contenimento della istituzionalizzazione è dovuto soprattutto al fenomeno delle assistenti familiari (“badanti”) che ha permesso a migliaia di anziani non autosufficienti di rimanere al proprio domicilio. Parliamo di numeri straordinari. Infatti, sono state stimate in 760.000 circa le assistenti familiari che si occupano di non autosufficienti, quasi tutti anziani(Di Rosa, Melchiorre, Lamura,2010). Più del doppio degli anziani ospitati nelle strutture residenziali. Il successo di questa soluzione assistenziale è dovuto alla possibilità di convivenza dell’assistente familiare con l’anziano, alla flessibilità del lavoro e anche a un costo sicuramente competitivo con le strutture residenziali (tanto più in un mercato irregolare).

In questo quadro a tinte contrastanti, le famiglie continuano a farsi carico della metà (47%) delle spese per l’assistenza residenziale, mentre il Servizio Sanitario Nazionale fornisce un contributo ancora insufficiente creando una situazione economicamente insostenibile se si considera che, nella maggior parte dei casi, le rette di degenza superano l’importo delle pensioni degli anziani ricoverati.

I tratti distintivi della popolazione anziana dipendente italiana possono essere così riassunti:

  1. I livelli di disabilità grave e l’immobilità in poltrona o a letto si concentrano sulle fasce di età più avanzata (over 75enni) con un incidenza di tre volte superiore a quella che si registra nella fascia di età 66 e 75 anni;
  2. Le persone anziane dipendenti sono in larghissima parte donne;
  3. La condizione di dipendenza è spesso associata a una situazione di isolamento familiare e sociale;
  4. Il numero di persone che non dispongono di un reddito adeguato a fronteggiare i problemi posti dal peggioramento delle condizioni di salute e dalla perdita dell’autonomia fisica e funzionale è molto elevato;
  5. Il ricovero in una struttura per anziani, le cui rette sono nettamente superiori all’ammontare delle pensioni, rafforza la dipendenza economica dell’anziano dalla famiglia e dalla stato.

 

Il peggioramento delle condizioni di salute e l’aumento delle disabilità si manifestano in un contesto di fragilità sociale all’interno del quale la persona, disponendo raramente delle risorse materiali e relazionali necessarie a fronteggiarli, si trova esposta a una molteplicità di svantaggi che si accumulano (svantaggio cumulativo-Rosenmayr,1984) e che facilitano processi di emarginazione e di esclusione sociale.


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