QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Finanziare il welfare – Prefazione

Many intellectuals in the US and Asia believe that European social welfare policies should be a blueprint for action in their own countries. But those policies, financed by high taxes and costly mandates on business, are mainly responsible for the enormous increase in European unemployment during the past decade and a half. This ‘European disease’ is hardly a model for other nations.

Gary Becker, 1992 Nobel laureate, Chicago University
Business Week, 8 April 1996

Yet, as the UK and western Europe contemplate adapting more to the ‘American model’ it is worth noticing a more menacing side. Economic inequality has continued to widen. All the rungs on the economic ladder are now further apart than a generation ago, and the space between them continues to spread. This widening of inequality leads to distress and misery for those at or near the bottom and anxiety for those in the middle. Left unchecked it could also undermine the stability and moral authority of the nation.

Robert Reich, former U.S. Secretary of labour, Brandeis University
Financial Times, 3 March 1997

fonte: “Reconciling the Welfare State with sound public finances and high employment”, M. Buti, D. Franco, L. Pench, sta in “The Welfare State in Europe: Challenges and Reforms” (1999)

Ma se è auspicabile che gli Stati Uniti non imitino tout court l’Europa (Gary Becker) e, nel contempo, altrettanto auspicabile che l’Europa non imiti tout court gli Stati Uniti (Robert Reich), allora quale futuro progettare per i welfare system? Quello europeo e quello statunitense sono i due principali (per certi aspetti unici) macro-modelli formalizzati e istituzionalizzati di welfare esistenti al mondo. Se entrambi mostrano dei cedimenti, quale “terza via” tentare di costruire?
Questo volume prova a dare una prima risposta.

Prefazione
Perché un titolo così specifico e diretto? Questa è la prima domanda che può sorgere al lettore. Il volume è dedicato interamente al pay-as-you-go, il criterio di finanziamento a ripartizione su cui sono stati fondati e sviluppati i moderni sistemi di sicurezza sociale in Europa.

Il pay-as-you-go è la chiave per analizzare i welfare system che abbiamo ereditato dal Novecento, e in particolare i loro equilibri finanziari. Il Novecento è stato un secolo importante per il welfare: aveva a sua volta ereditato le prime fondamenta dell’idea stessa di welfare state dall’Ottocento, e le ha fatte crescere, anche grazie alle potenzialità del finanziamento pay-as-you-go che si è incaricato di predisporre le necessarie risorse.

Adesso il pay-as-you-go ha bisogno di una manutenzione straordinaria. Deve adeguarsi ai cambiamenti profondi della demografia (invecchiamento), dei nuovi bisogni (che emergono anche grazie all’avanzare delle capacità terapeutiche), delle economie occidentali (riduzione delle potenzialità di crescita). Tre cambiamenti che interagiscono e si approfondiscono a vicenda. Abbiamo già osservato la velocità con cui si sono espressi negli ultimi decenni (dal Dopoguerra ad oggi), ma sono soprattutto le evoluzioni prospettiche a suonare come campanello di allarme e a sollecitare una visione chiara e concreta per le riforme di policy.

I dati che Nicola descrive per le Regioni italiane e l’Italia in aggregato, i principali Parter europei e l’Europa nel suo complesso, e infine per gli stessi Stati Uniti, lo testimoniano. C’è un fil rouge che lega le Regioni d’Italia all’Europa e agli Stati Uniti. Mondi così diversi lungo tante, tantissime dimensioni, poi si ritrovano collegati da funzionamenti di base che adesso richiederebbero a tutti i medesimi sforzi di cambiamento.

La sfida non è più, come a cavallo tra Ottocento e Novencento, tra modelli à la Bismark e modelli à la Beveridge; l’allargamento sia dei diritti che della platea di riferimento ha reso di fatto superata questa distinzione. Ma la sfida non è neppure più quella che ha percorso internamente tutto il Novecento, tra sistemi a ispirazione pubblica e sistemi a ispirazione privata. I termini, o i paradigmi di lettura che dir si voglia, non sono più questi.

Infatti, Nicola correttamente sottolinea le similitudini esistenti tra, da un lato, il pay-as-you-go nell’alveo pubblico e, dall’altro, la ripartizione nelle associazioni mutualistiche private e il pooling delle assicurazioni private.

Queste similitudini diventano tanto più strette quanto più intensa è la dinamica del fabbisogno da finanziare, e quanto più ampia è la platea coperta. O si dovrebbe meglio dire: quanto più ampia dovrebbe essere la platea coperta, perchè certo la soluzione alla sostenibilità finanziaria non può esser ricercata nel diniego della copertura (screaming) o nell’applicazione totu court di compartecipazioni elevate e crescenti. La soluzione, in altri termini, non può essere quella, banale, della semplice “marcia indietro” rispetto al processo di costruzione del welfare system. Sarebbe una rinuncia, non una soluzione.

E allora è necessario fare esattamente quello su cui il volume si impegna: interrogarsi su quali siano gli snodi strutturali all’origine dei problemi, e quali riforme di struttura siano utili per migliorare la nostra capacità di governare e conciliare dinamiche del fabbisogno e dinamiche delle risorse disponibili. Ed è importante sottolineare un altro aspetto: l’interrogativo è del tutto “laico”, e questa stessa affermazione non è un a-priori ma un risultato interno all’analisi analisi condotta nel volume. I dati (gli indici di dipendenza strutturale, gli indicatori ottenuti integrando nella dipendenza strutturale l’occupazione e la produttività, le elaborazioni sui Programmi di Stabilità Ue e sui documenti del Budget Office per gli Us, etc.) portano in luce i medesimi fattori di criticità dapperutto, senza distinzione tra radici bismarkiane o beverigiane, tra pay-as-you-go pubblico o pay-as-you-go privato, tra natura pubblica o privata delle Istituzioni operanti nel welfare system, tra prevalenza dei rapporti tra cittadino e Stato – Pubblica Amministrazione o delle relazioni private volontarie sul mercato. Insomma, non si sta discutendo della supremazia tra gli assetti già esistenti. Si cerca una nuova visione.

La diagnosi di Nicola è che il pay-as-you-go, per continuare a svolgere le sue essenziali funzioni, non deve essere “abusato”, deve manteneresi al di sotto di una soglia critica di scala. Non solo il pay-as-you-go pubblico, ma l’insieme, la “sommatoria” dei pay-as-you-go (pubblici e privati) in azione in un Paese o in un sistema economico-sociale. Le evidenze riportate nei primi capitoli del volume mostrano come questa soglia critica sia già stata raggiunta, o ci si muova ormai al suo ridosso, sia in Europa che negli Stati Uniti. Se non ci si vuol trovare costretti a ridurre le prestazioni del welfare system di pari passo con riduzioni obbligate nella scala di funzionamento del pay-as-you-go (finora il dilemma è stato per lo più affrontato in questa prospettiva negativa), è necessario progettare iniezioni di accumulazione reale, per cercare nuove risorse nei frutti di investimenti produttivi sui mercati.

L’idea dei Fondi Welfare – funzionanti ad accumulazione reale a collegati a polizze assicurative collettive per la copertura dei grandi eventi – è nuova e promettente. L’ultima parte del volume ne descrive le proprietà e arriva a tratteggiarne un disegno che, con l’aggiunta di qualche altro dettaglio, potrebbe in sè per sè avere avere già vesti operative. Sarebbe interessante discuterne direttamente con gli operatori di mercato, con le unità di sviluppo delle compagnie assicurative e con i principali fondi pensione.

Ma gli scogli più difficili a me non sembrano riguardare il disegno dello strumento (già chiaro e convincente nell’analisi di Nicola). Le difficoltà maggiori riguardano tutto ciò che sta attorno al Fondo Welfare a cui il Fondo Welfare va raccordato: i cambiamenti nell’assetto corrente dei welfare system, il ribilanciamento tra le loro voci di spesa, la riforma della fiscalità dei pilastri di welfare privati con impegni alla convergenza tra Partner Ue (Nicola ne parla), la cornice regolatoria con particolare attenzione alla governance del Fondo Welfare (trasparenza, solidità della gestione finanziaria, economicità dell’amministrazione, vigilanza prudenziale e preventiva), il coordinamento internazionale nella regolazione e supervisione.

Se l’obiettivo è quello di massimizzare i frutti di investimenti produttivi su orizzonti medio-lunghi (la definizione di gestione patrimoniale previdenziale per antonomasia), il “campo di azione” dei Fondi Welfare non può di sicuro esser relegato nei confini nazionali. La prospettiva deve essere europea o, meglio ancora, globale, per riuscire a guardare alle realtà mondiali che hanno davanti le potenzialità di crescita più elevate, che spesso sono le stesse realtà che hanno solo in tempi relativamente recenti avviato processi di industrializzazione, e che si trovano a vivere fasi demografiche diverse dall’Occidente (sono più giovani dell’Occidente per varie ragioni).

Ma quanto più ampio il “campo di azione”, tanto più urgente, anzi obbligatoria, l’esigenza del coordinamento sovranazionale della cornice regolatoria e delle pratiche di sorveglianza. Ed è soprattutto su queste mie ultime riflessioni che spero, e mi aspetto, che Nicola continui il suo lavoro di analisi e di proposta, sia nel nuovo spazio che ha di recente inaugurato (Reforming.it), sia attraverso le collaborazioni che lo vedono protagonista già da tempo, a cominciare da quella con l’Associazione Europea del Nuovo Welfare di cui mi fregio di esser direttore.

Orio Giarini
Direttore di ‘the Risk Institute – Geneve’
Editor dei Quaderni Europei del Nuovo Welfare