Finanziare il welfare – 1. La demografia dell’Italia e delle Regioni
Pur con ordini di grandezza diversi, il Centro mostra le stesse dinamiche. Nello scenario basso, la popolazione aumenta di poco nella prima metà dell’orizzonte di proiezione, per poi contrarsi, passando da circa 12 milioni del 2011 a circa 11,5 milioni. Nello scenario centrale la popolazione è in continua e moderata crescita, posizionandosi poco al di sopra dei 13 milioni nel 2065, dopo aver raggiungo livelli un po’ più alti nelle fasi intermedie dell’orizzonte di proiezione. Nello scenario lato la crescita è più forte e senza inversioni, e nel 2015 si superano i 15 milioni di teste.
La demografia del Mezzogiorno si stacca sia dal Nord che dal Centro. Tutti e tre gli scenari sono in sensibile diminuzione. In quello alto, i residenti passano da 21 a 19 milioni. In quello centrale scendono sotto i 17 milioni. I quello basso sotto i 15.
Il Centro-Nord del Paese riesce grossomodo a mantenere la popolosità attuale, mentre per il Mezzogiorno si profila una riduzione significativa: rispettivamente più di 2, più di 4 e più di 7 milioni, partendo dai 21 attuali. Se è necessario interrogarsi sui vincoli e sulle problematicità che possono arrivare da una popolazione stagnante come nel Centro-Nord, a maggior ragione queste domande devono porsi per il Mezzogiorno.
La numerosità dei residenti non è l’unica dimensione. Per avere un quadro completo serve esplorare la composizione per face di età. Il dataset dell’Istat permette di farlo bene, perché riporta il dettaglio per fasce di età annuali.
Grafico 1 – La popolazione residente Italiana
fonte: elaborazioni Ncs su Istat
Tavola 1a – Indici di dipendenza e percentuali delle età avanzate
fonte: elaborazioni Ncs su Istat (click per ingrandire)
Si considerano due indicatori di dipendenza strutturale: nel primo caso, gli attivi sono i residenti di età 15-64 e i non attivi gli appartenenti alle fasce 0-15 e 65+; nel secondo caso, gli attivi sono i residenti di età 25-69, mentre gli inattivi quelli di età 0-24 e 70+. In questo secondo caso, si ipotizza che lungo l’orizzonte di proiezione la formazione universitaria si diffonda maggiormente e, nel contempo, la partecipazione al mercato del lavoro si estenda anche agli anni successivi al 65°, favorendo il prolungamento delle carriere lavorative.
A livello Italia, nello scenario centrale il primo indicatore strutturale passa dal 50% attuale a quasi l’80% nel 2060, dopo un percorso di continua crescita che si attenua solo negli ultimi anni dell’orizzonte. Il secondo indicatore passa da poco meno del 65% a oltre il 95%, con un delta di oltre 30 p.p..
Tavola 1b – Indici di dipendenza e percentuali delle età avanzate
fonte: elaborazioni Ncs su Istat (click per ingrandire)
Sempre nello scenario centrale, gli ultraottantenni vedranno aumentare il loro peso sul totale dei cittadini, da quasi il 6% a quasi il 15% (un più che raddoppio). Gli ultranovantenni da meno dell’1% a quasi il 5%. Gli ultracentenari dallo 0,03% a oltre lo 0,39%. La batteria di indicatori peggiora (nel senso di maggior carico sugli attivi) passando allo scenario alto, e migliora se si considera quello basso, ma gli ordini di grandezza non mutano.
Nelle tavole si riportano, per completezza, anche gli spaccati per sesso. I valori per donne e uomini sono rapportati alla popolazione totale, di modo che la loro somma sia pari al dato complessivo.
Il Nord Est appare avere davanti un processo di invecchiamento solo marginalmente meno intenso dell’aggregato Italia, e gli indicatori strutturali continuano a mostrare gli stessi significativi incrementi. Il primo indicatore passa da circa il 52% attuale a quasi il 77% nel 2060. Il secondo passa da poco meno del 63% a oltre il 93%, anche qui con un delta di oltre 30 p.p..
Gli ultraottantenni vedranno aumentare il loro peso sul totale dei cittadini, da oltre il 6,4% a poco meno del 15% (un più che raddoppio). Gli ultranovantenni da meno dell’1% a quasi il 5%. Gli ultracentenari dallo 0,03% a oltre lo 0,38%.