Un modello d’intervento per la formazione degli adulti
Grazie per questo invito e grazie alla ricercatrice Tiziana Tesauro per motivi diversi. Perché ci sono molti motivi per ringraziarla.
Grazie innanzitutto perché questa ricerca riprende una tradizione, che è quella della ricerca-azione, che nel nostro paese ha avuto esponenti d’eccezione quali Danilo Dolci che con i contadini e i pescatori della Sicilia occidentale svolgeva un vero e proprio lavoro di “capacitazione” (empowerment) di persone generalmente escluse dal potere e dalle decisioni. Nell’idea che nessun vero cambiamento potesse prescindere dal coinvolgimento e dalla partecipazione diretta degli interessati e collegando la sua modalità di operare alla maieutica socratica, Dolci animava riunioni in cui ciascuno si interrogava e imparava a confrontarsi con gli altri, ascoltando e decidendo.
Collocherei il progetto Memory: il laboratorio narrativo in questa tradizione sociologica e lo identificherei come una ricerca trasformativa esemplare. Il cambiamento è la chiave per comprendere questa ricerca e questo libro. Come si legge infatti queste donne cambiano: escono dalla condizione di tacitazione in cui normalmente vivono e producono parole che diventano sempre più numerose. Escono dalla condizione di invisibilità e diventano protagoniste. Escono dalla condizione di assoluta staticità. Vivono di fatto un’esperienza di apprendimento trasformativo che, secondo la teorizzazione di Mezirow (2003), porta a una nuova comprensione del sé, alla revisione delle proprie convinzioni e dei propri comportamenti.
Costruendo dunque un contesto di rivisitazione del sapere, attraverso la narrazione, questa ricerca si colloca senz’altro in un panorama nazionale e internazionale perché propone un modello, un vero modello di intervento per la formazione degli adulti e per l’attivazione di risorse che consentono agli anziani di resistere ai drammi dell’invecchiamento. La narrazione si riconferma così come una vera e propria risorsa pedagogica.
Grazie perché questa ricerca dimostra, ancora una volta, che abbiamo bisogno della nostra memoria, abbiamo bisogno di una narrazione che recupera la corporeità e il contatto fisico. Perché la narrazione ci cura. Questo è il punto. L’emergere del pensiero autobiografico non è il piacere di parlare di sé, fra sé e sé, a se stessi, o la necessità di ritrovare qualche sperduto ricordo, è invece l’insieme di ciò che si è stati e si è fatto, è quindi una presenza che a un certo punto ci accompagna e si muta in un progetto narrativo.
Ritrovarsi con se stessi come autori del teatro esistenziale cui si partecipa equivale a vivere un’emozione adulta compiuta. È anche un’emozione del pensiero, poiché la mente, facendo autobiografia, attendendo alle sue cuciture, a quell’accostamento fra i frammenti inconciliabili, genera quel momento coscienziale indispensabile a prendere le distanze da se stessi, mentre si rivive se stessi. Le parti sparse del nostro essere adulti o che ci hanno consentito di diventarlo, esigendo tale esercizio rendono ancora più adulta la nostra mente: nonostante tutti gli infantilismi, le ingenuità, le manifestazioni immature di cui continuiamo a essere capaci e che si materializzano in quegli io che non osiamo confessare. C’è un’adultità cognitiva quando, insomma, ci guardiamo dall’alto: ci osserviamo come un paesaggio affatto ordinato dove stabiliamo simmetrie e asimmetrie, zone oscure o chiarificate. Non è questo ovviamente un rassicurante mosaico; non sempre le figure appaiono evidenti. È però un tentativo della mente di trovare, in questi paesaggi, un punto, un’ansa, un miscuglio (anche) al quale ancorarsi. Almeno per qualche istante, tra giochi della memoria e riflessioni sul senso degli accadimenti.
Come appunto è accaduto a queste donne, grazie a questa ricerca. E allora l’importanza di Memory e di una ricercatrice formatrice che ha dato voce ai ricordi. Queste donne hanno potuto raccontare. A chi altri avrebbero potuto raccontare se non ci fosse stata questa équipe di ricerca che è entrata dentro questa struttura e con consapevolezza e professionalità ha ri-acceso i ricordi?
Siamo a Napoli e al Pio Monte della Misericordia è conservato il dipinto di Caravaggio le Sette opere di Misericordia. Credo che la narrazione dovrebbe essere considerata l’ottava opera di misericordia perché è una necessità indispensabile allo sviluppo di se stessi ed è una facoltà che può mancare più del pane. E purtroppo troppo spesso manca in realtà come quelle descritte in questo libro. Strutture totalizzanti che impongono il silenzio e inabilitano il soggetto a parlare di sé.
Nella geografia delle iniziative svolte nelle strutture residenziali per anziani oggi si possono trovare fondamentalmente quattro modalità di lavoro.
Pratiche di attivazione conversazionali sui temi di vita. Si tratta di laboratori auto-narrativi che prevedono appunto la narrazione orale attraverso sollecitatori visivi, verbali e anche oggettuali. Il progetto Memory è riconducibile a questa tipologia d’intervento. Pratiche di scrittura di sé guidate ad personam. In questo caso il ricercatore è un facilitatore di un gruppo che si impegna nel racconto di sé per iscritto. In questa modalità il facilitatore è un consulente autobiografico che organizza un percorso d’incontri. A partire dai ricordi dell’infanzia, che sono quelli cosiddetti di radice, fino ad arrivare alle diverse tappe della vita. La scrittura svolge in questi laboratori una funzione riparatoria perché si mettono insieme i cocci della propria vita.
Pratica di scrittura condivisa dove il facilitatore è un tutor di scambi e messaggi che poi vengono consegnati al diario. E questa pratica consente di raccogliere diari che diventano un patrimonio sociale fondamentale come quello dell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano che raccoglie i diari di persone comuni per tramandarli agli studiosi di scienze sociali e agli storici del futuro. E infine Pratiche di mediazione amanuense. Il volontario si occupa di farsi raccontare una storia che poi ri- trascrive, migliorandola anche dal punto di vista letterario.
Tutte queste forme d’intervento promuovono nei soggetti anziani l’attivazione di risorse che sono le risorse della mente.
E qui devo ancora una volta ringraziare la ricercatrice Tiziana Tesauro per le chiarificazioni concettuali che ci offre in questo libro, chiarendo finalmente la suggestiva dizione di Invecchiamento Attivo. Questa dizione evoca la necessità di riattivare, reinserire nel mondo del lavoro ma, come si dice nel libro stesso, lascia in ombra altre dimensioni dell’attivazione che riguardano l’attività della mente, la riattivazione interiore. E non sono da trascurare.
Grazie allora a questo libro che ci offre un’altra visione di Invecchiamento Attivo che ha incoraggiato queste donne, e incoraggia noi, a continuare a rubare altri giorni al futuro.