L’attività come promozione e garanzia della longevità
“Affinché la vecchiaia non sia una comica parodia
della nostra esistenza precedente non v’è che una soluzione
e cioè continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita:
dedizione ad altre persone, ad una collettività, a una qualche causa,
al lavoro sociale, o politico, o intellettuale, o creativo”
Simone de Beauvoir (La Terza Età, Einaudi, 2002)
1. Introduzione
Oggi si vive sempre più a lungo e in condizioni migliori. L’allungamento della vita infatti è tale, da dover riconsiderare anche i termini legati alle varie fasce d’età. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, definisce in modo nuovo le seguenti fasce d’età: l’età media diventa quella fra 45 e 59 anni, l’età anziana fra 60 e 74, l’età vecchia fra 75 e 90 e oltre 90 anni si parla di grandi vecchi. Si può constatare che i sessantenni di oggi hanno un’età mentale e fisica di coloro che avevano fra 40 e 50 anni appena un secolo fa. Inoltre l’età media diventa sempre più alta ed è spesso legata ad una buona qualità di vita. La popolazione anziana diventa sempre più estesa e perciò la longevità non dovrebbe più essere considerata solo come un semplice fenomeno dell’invecchiamento, ma dovrebbe essere riconsiderata e soprattutto riconosciuta come una risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
La società attuale ha una natura estremamente dinamica, si trasforma continuamente e in modo sempre più rapido e tutti noi abbiamo la netta percezione di questo cambiamento, ma la percezione di un fenomeno non implica la comprensione dei processi che sottendono al fenomeno stesso. Questa consapevolezza ha dunque bisogno di sempre maggiori informazioni organizzate, ovvero necessita di conoscenza.
Infatti se molti sono concordi nell’affermare che le persone anziane rappresentano un patrimonio civile e una risorsa decisiva per lo sviluppo sostenibile e responsabile della società, non tutti sono a conoscenza dei processi che portano all’invecchiamento e al “sentirsi vecchi”
Dal momento che ogni persona invecchia con ritmi e modalità del tutto individuali, non è possibile definire i confini cronologici o biologici della senilità ma è possibile delineare una senescenza inscrivibile nell’ambito delle categorie dell’esistenziale, del sociale, del culturale e, purtroppo, anche nell’ambito della considerazione che l’anziano ha di sé stesso, schiacciato com’è dalla pressione degli altri, condizionato da stereotipati modelli giovanilistici che lo giudicano vecchio.
Compito della ricerca psicologica, tesa ad interrogarsi sul significato della cosiddetta terza età, è la definizione del nuovo ruolo dell’anziano all’interno della globalità del ciclo di vita. Secondo questa prospettiva, detta psicologia dell’arco della vita, lo sviluppo è un processo che, con successivi adattamenti, dura tutta l’esistenza con acquisizioni derivate da esperienze che si accumulano e dall’apprendimento di nuove competenze. Dunque ogni età, compresa quella dell’invecchiamento, è caratterizzata da varie acquisizioni cognitive e affettive, da influenze sociali e da una plasticità, all’interno di ogni individuo, di adattare le proprie risorse fisiche e psichiche alle condizioni di vita determinate dall’ambiente esterno.
La psicologia che studia l’invecchiamento sta cercando quindi di definire l’identità dell’anziano in relazione sia all’ambiente socio-culturale nel quale si trova inserito sia in relazione alla tipologia dei rapporti interpersonali.
L’identità è il senso del nostro essere, il senso della nostra continuità attraverso il tempo, il senso della nostra unicità rispetto a tutti gli altri. Il senso di identità si forma, si costruisce e si modifica con le esperienze, le prove, le conferme con la consapevolezza che i nostri vissuti appartengono a noi stessi e che possediamo abilità cognitive ed emozionali.
La formazione dell’identità, nei diversi stadi della vita, è quindi un processo di scambio che avviene con e tramite il confronto con il “sociale”.
L’identità allora è ciò che ci fa sentire simili o diversi dagli altri, che ci fa sentire di esistere come persone aventi un particolare ruolo sociale, ci dà il senso di appartenenza ad un gruppo e ad una cultura e ci consente di rimanere noi stessi nonostante i cambiamenti delle situazioni.
Secondo E. Erikson (2000), ogni età della vita è caratterizzata da una “crisi” psicosociale propria di quella determinata età, in cui sono possibili due esiti diversi: uno positivo che porta verso la costruzione e il mantenimento dell’identità personale e uno negativo che porta verso la disintegrazione.
Ora appare evidente che nella persona anziana, causa il pensionamento, l’identità professionale non esiste più e l’identità sociale viene intaccata dal fatto di appartenere a un gruppo (i vecchi) che non viene stimato da una società giovanilista che fa dell’efficienza, della produttività e dell’apparire i suoi valori prioritari.
Gli anziani possono allora essere considerati come diversi perché il loro modo di essere non viene compreso e le loro abitudini non vengono accettate, perché sono lontani dagli attuali parametri sociali, dai ritmi frenetici della vita, dalle ambiziose aspettative di successo, da tutto ciò che la maggior parte della gente crede dia sicurezza in quanto conosciuto e decifrabile. Vengono ammessi soltanto gli anziani ancora professionalmente produttivi, quelli che ancora si vestono giovanilmente, quelli che, in fondo, cercano di mimetizzare l’avanzare dell’età, mentre sono “fuori” gli anziani non più attivi, non più autonomi, non più capaci.
Dunque una grande influenza nella definizione dell’identità dell’anziano viene da fattori sociali come la perdita di status, la perdita di ruolo e di potere e da altri eventi come le perdite luttuose del partner e degli amici, la perdita dei figli che se ne vanno: tutti fattori di rischio che mettono in discussione l’identità.
Oltre a questi fattori che, pur avendo una notevole influenza sui vissuti della persona anziana, possiamo definire estrinseci, ci sono altri fattori intrinseci che minano l’identità dell’anziano.
Sicuramente la forza muscolare si riduce, le capacità sensoriali perdono d’efficacia, riflessi e movimenti si rallentano, c’è un certo deficit della memoria, della concentrazione e dell’attenzione e tutto ciò porta una grossa ferita al proprio narcisismo. All’anziano viene richiesto un notevole sforzo per una nuova riformulazione di se stesso, un adattamento al cambiamento che è avvenuto.
Di fronte ai fenomeni d’ansia che ogni cambiamento comporta, in quanto bisogna affrontare qualcosa di non conosciuto, scattano dei meccanismi di difesa quali la negazione che si manifesta con un look giovanile, con il dongiovannismo, con il ricorso alla chirurgia estetica, con l’uso di pillole e cosmetici anti-ageing, la regressione vista come una ritirata strategica a livelli di funzionamento inferiore che si esprime con frasi come “non ho più la testa di una volta, non ci vedo più tanto bene, non ho più la forza di prima”, la depressione, cioè una chiusura verso il mondo esterno proteggendosi così dal dover affrontare ulteriori delusioni e perdite.
Inoltre dobbiamo fare i conti con il fantasma del vecchio che alberga in ognuno di noi, con quella angosciosa immagine interna di vecchio non autosufficiente, dipendente da qualcuno, che, alla fine del ciclo della vita, deve ritornare in modo circolare alla dipendenza dell’inizio della vita.
2. La longevità può essere una risorsa?
La longevità non significa soltanto un allungamento della durata della vita dovuta a una favorevole interazione tra fattori genetici ed ambientali, ma anche e soprattutto un miglioramento della qualità di questa vita più lunga. Sicuramente uno stile di vita sano costituito da un’alimentazione equilibrata e varia, da una attività fisica regolare, dall’astensione da fumo, alcol, droghe, da scarsa presenza di stress, ritarda l’invecchiamento e contribuisce a raggiungere la longevità e sappiamo bene come il benessere fisico concorra in modo determinante al mantenimento del benessere psichico.
Ma se è vera l’affermazione che si invecchia come si è vissuto, allora sarebbe importante fare un’opera di prevenzione, a partire dalla mezza età, per creare una rete protettiva all’individuo avviato verso la senescenza perché è nel corso della vita produttiva che l’uomo deve programmare la sua esistenza da persona anziana. Si tratta di una programmazione anticipata del proprio futuro sulla quale svolgono una funzione importante numerosi fattori come gli interessi verso attività extraprofessionali, l’ampiezza della rete dei rapporti sociali e interpersonali, un investimento più estensivo sull’utilizzo del tempo libero, un arricchimento delle motivazioni sul perché si vive.
A livello individuale bisognerebbe mantenere intatti gli interessi personali, impegnarsi in attività mentali che stimolino le capacità cognitive attraverso esercizi di memoria e di apprendimento. Si possono trovare nuove occupazioni soddisfacenti in famiglia o all’esterno, svolgere lavori manuali, lavori creativi mai fatti prima per mancanza di tempo come dipingere o scrivere. Insomma può risultare utile qualsiasi cosa che dia una soddisfazione soggettiva, lasciandosi andare al puro piacere esente da fini produttivistici e da sensi del dovere.
È generalmente riconosciuto come l’invecchiamento comporti una riduzione progressiva nelle funzioni sensoriali, motorie e cognitive variabili nel ritmo e nell’intensità da individuo a individuo. Meno noto è invece che accanto a questa riduzione rimangano integre alcune capacità “globali e di sintesi” che consentono, in svariati casi, la conservazione di un elevato livello percettivo-cognitivo.
Probabilmente allo scopo di compensare la ridotta efficienza dei processi di natura periferica, per un fenomeno di vicarianza, diventa prevalente l’attività dei processi psicofisici di natura centrale. Per esempio, per le funzioni più strettamente cognitive, ad una riduzione dell’ampiezza dei processi disponibili, a volte corrisponde una accentuazione dell’efficienza dei processi rimasti integri: in altri termini la minore rapidità di elaborazione cognitiva o di acuità sensoriale non comporta necessariamente una diminuzione dell’efficacia delle performance perché c’è stato un ulteriore sviluppo di strategie residue vicarianti.
Questi aspetti di vicarianza nelle modificazioni psichiche legate all’invecchiamento possono essere ricollegati alla dinamica della “ plasticità cerebrale” sulla quale concordano la maggior parte degli orientamenti recenti sia genetici, sia neurochimici, sia neurofisiologici. Oltre alla dinamica della plasticità cerebrale, un altro fattore che può limitare il deficit senile è il mantenimento dell’investimento affettivo, considerato come una matrice di pensiero.
Per quanto riguarda la memoria, siamo a conoscenza che le acquisizioni più recenti sono le prime a scomparire, per cui l’anziano cerca di attaccarsi ai suoi ricordi affettivi antichi per conservare un senso di continuità esistenziale e di identità di pensiero.
Questa operazione di ripresa del passato, di ritorno al trascorso, oltre al significato compensatorio di rivivere nel passato ciò che sembra di non poter essere vissuto nel presente, si dimostra un mezzo difensivo per trasformare la realtà degli anni andati in uno spazio per le illusioni, spazio prima occupato dalle speranze sul futuro, dunque uno spazio illusionale di cui l’essere umano ha sempre bisogno.
In una persona anziana che sente l’impossibilità di proiettarsi nel futuro e di fare progetti a lungo termine, la vita passata si ripresenta astoricamente ed acriticamente, facendo crollare ogni scansione temporale. Così quest’anziano si trova immerso in un mondo a cui manca la dimensione del tempo perché passato, presente e futuro si sovrappongono e riportano ad una monotona quotidianità tutta la variabilità di una vita intera. Compare allora la ripetitività e la piatta fissità di comportamenti ed espressioni di tipo ipocondriaco e somatoforme quasi che la fatica del vivere venga meglio comunicata con richieste di aiuto dirette più al corpo che alla mente.
Ma come abbiamo già sottolineato, si incomincia a invecchiare agli occhi degli altri e poi, poco alla volta, si arriva a condividerne il giudizio, ma gli anziani devono attivare un tempo soggettivo (Kairòs deve contrapporsi a Kronos che trascorre inesorabilmente) e devono percepire il loro valore personale. È inevitabile che, nei diversi stadi della vita, l’individuo debba abbandonare quell’immagine di sé che si era costruito precedentemente e debba crearsene un’altra, elaborando il lutto rispetto a quelle parti di sé che ritiene di aver perso.
Soltanto se l’anziano riuscirà a riconoscere e a superare l’imposizione sociale e culturale che qualsiasi suo progetto è inutile, egli potrà ritrovare un nuovo investimento emotivo sul mondo e sulle relazioni interpersonali e considerarsi una persona che sente e che desidera ancora qualcosa. Anche il corpo potrà allora assumere nuovamente il significato di essere un testimone simbolico di un tempo vissuto, un contenitore di tutte le esperienze, emozioni ed affetti connessi al tempo impiegato dall’evolversi di un processo di sviluppo.
In questo caso anche il guardare al passato, interrogandosi sul percorso compiuto, con l’intenzione di fare il bilancio della propria esistenza può risultare utile per rivedere o integrare i propri conflitti irrisolti, riformulare e accettare parti di sé negate fino a questo momento.
Così il periodo della vecchiaia diventa il tempo in cui è possibile ritrovare tutto, in cui è possibile godere del patrimonio esperienziale acquisito. È la fase della vita in cui l’individuo può smettere di essere ossessionato per il tempo che sta passando ed imparare a vivere pienamente il tempo nel quale egli è, in cui può possedere il senso del presente e la capacità di vivere l’hic et nunc: importante è che avvenga un’accettazione del fatto che parti di sé, relative a ciò che si era un tempo o che si sperava di poter essere, non sono più realizzabili.
Tramite l’elaborazione del lutto per un’immagine di se che è cambiata, per tutte quelle speranze ed aspirazioni che sono rimaste insoddisfatte, per i sentimenti riguardanti le perdite subite, aumenta la capacità di affrontare la realtà così com’è e si attua una sorta di liberazione dal passato e da ciò che non si può ottenere. Il passato diventa effettivamente passato, distinto dal presente e dal futuro. Possono nascere così nuovi interessi, nuove attività e sublimazioni. L’età stessa potrebbe suscitare nuove risorse e capacità che non erano disponibili negli stadi di vita precedenti. Ci potrebbe essere più saggezza, più libertà, più onestà verso se stessi.
Il segreto dell’esistenza consiste nell’alimentare continuamente le forze della vitalità, della creatività e della progettazione contro le spinte distruttive dell’inerzia, del disfacimento e dell’angoscia.
La vecchiaia può diventare così un’esperienza intensa e varia, qualcosa da portare con orgoglio, una specie di vittoria pur nella sconfitta di un corpo che si deteriora.
Mauro Cauzer: Psicoterapeuta, Trieste.
Laura Redolfi: Psicologa – Trieste