Invecchiamento attivo e depressione: una riflessione clinica sulla psicoterapia domiciliare con anziani depressi
1. Introduzione
In psicogeriatria la sintomatologia depressiva, nello spettro che va dai disturbi affettivi alla vera e propria patologia, è da tempo studiata1. È noto oggi che la depressione nella terza età è rilevante quantitativamente, si associa ad una più alta morbilità, interferisce con i percorsi riabilitativi e con il funzionamento cognitivo, ed è predittiva di una minore aspettativa di vita2.
Negli ultimi anni, in letteratura è presente una riflessione critica riguardo ad un approccio esclusivamente farmacologico alla depressione, visti anche l’attuale elevato consumo di antidepressivi e la loro efficacia reale3.
Nell’ottica della promozione di una vecchiaia il più possibile libera da patologie invalidanti, costose per le famiglie e per la società nel complesso4, cercare nuove e più efficaci strategie per affrontare la depressione assume quindi il più generale significato di operare a favore di un buon invecchiamento.
In questo articolo di riflessione clinica si intendono presentare alcuni aspetti di una esperienza di consulenza psicologica e di psicoterapia con persone depresse in età senile, e proporre, in specifico, un esempio di psicoterapia domiciliare con un soggetto anziano.
2. La depressione nella terza età
Nella mia esperienza, ho incontrato professionalmente anziani che presentavano una sintomatologia depressiva, e che spesso assumevano già una terapia, ansiolitica o antidepressiva, anche da diversi anni. Frequentemente venivano accompagnati alla consultazione da familiari (figli, nuore, nipoti..), testimoniando quanto la depressione incida nella possibilità stessa di cercare attivamente una soluzione al proprio malessere.
Trovo interessante, nella valutazione della richiesta, utilizzare un approccio flessibile, che si adatti al modo di presentarsi delle persone depresse. Se vengono accompagnati dai familiari, chiedo se desiderano la loro presenza nella stanza di consultazione. Al di là delle risposte che gli anziani forniscono (e che sono utili per una comprensione delle dinamiche familiari), ho sempre trovato importante restituire loro, in quel momento, l’iniziativa nella richiesta, lanciare subito un aggancio per una futura alleanza di lavoro con il paziente. La condizione depressiva infatti rende spesso le persone molto passive, incapaci di accettare e di utilizzare l’aiuto che può essere loro fornito, ma se almeno una parte di loro desidera stare meglio, la si può ingaggiare, rendendosela quindi alleata in consultazione e in terapia.
Essere depressi, per un anziano, significa spesso stare male fisicamente: dolori addominali, difficoltà digestive, mal di schiena, mal di ossa. Le somatizzazioni, in età geriatrica, sono molto frequenti. Alle volte sono gli unici sintomi, e ciò spesso mette in crisi il medico di famiglia, a cui la persona anziana si rivolge. A volte gli anziani stanno male emotivamente in seguito ad un problema fisico, più o meno repentino: una caduta, un intervento chirurgico programmato, una alterazione funzionale. Altre volte, un anziano sta male perché ha cambiato casa, o perché un suo familiare si è trasferito. I fattori sociali ed esistenziali mi sono sempre sembrati rilevanti per la comprensione di uno stato depressivo e per la progettazione di un intervento, di consulenza o terapeutico: è importante chiedersi perché la persona che abbiamo di fronte, in quel momento della sua vita, non è serena.
Alcune volte, la sintomatologia depressiva si ridimensiona nello spazio di una consultazione, di quattro o cinque incontri. Strano, si dirà. Ma le persone anziane non sono più rigide mentalmente, meno disponibili al cambiamento? Va detto che l’anziano, rispetto all’adulto o alla persona giovane, può essere maggiormente consapevole di avere poco tempo per stare bene, per godersi la sua vita in serenità. Ci sono quindi persone che contattano uno psicologo, un terapeuta per “vuotare il sacco”, perché “c’è una cosa che non ho mai detto a nessuno”: fatta la comunicazione in un contesto protetto, non giudicante, la tristezza se ne va. E anche loro se ne vanno, quasi un po’ di fretta.
Altre volte, lo stato depressivo è veramente marcato, tanto che il paziente non arriva in consultazione: sono i suoi familiari che contattano lo psicologo, chiedendo informazioni, aiuto per gestire una situazione difficile. Sono i casi in cui l’anziano, a un certo punto, non esce più di casa, pur essendo in condizione di farlo. Con una scusa o con l’altra, mette tutti alla porta, non fa entrare più nulla o nessuno, tranne ciò che concretamente gli permette di proseguire il suo isolamento: denaro, vestiti, pasti a domicilio. È veramente complesso poter affrontare simili situazioni con gli abituali strumenti psicologici e psicoterapeutici. Anzitutto, perché per l’anziano è più giustificabile, accettabile socialmente essere triste, non sentirsi in grado di vedere gente, non uscire di casa. In secondo luogo, la persona non si reca in un ambulatorio. Inoltre i suoi familiari, se ne ha, sono spesso in scacco, vengono accolti solo se non fanno nulla per stimolare la persona ad uscire dal suo stato. Non è un caso che proprio le persone più disponibili, generose, stimolanti e allegre vengano tenute a distanza da una persona depressa. Nella mia esperienza, ho spesso potuto notare che la depressione è una patologia che possiede una grande forza autoconservativa, che impegna molte delle risorse mentali di un soggetto nello sforzo di mantenere la situazione che consente alla malattia di proseguire. In questi casi, la domiciliarità della cura psicologica può essere indicata.
Roberta Portelli: Psicologa, psicoterapeuta, esperta in psicologia gerontologica – Via Gabriele Camozzi, 19 – 25100 Brescia – roberta.portelli@inwind.it .
1 Gori, G. (1993): Conservare la felicità. I disturbi affettivi nella terza età, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
2 Colombo, M. (2011): “Sindromi depressive e processi riabilitativi”, in: Cristini et al., La capacità di recupero dell’anziano, Franco Angeli, Milano.
3 Migone, P. (2005): “Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale”, Psicoterapia e scienze umane, XXXIX, 3: pagg. 312-322. Andolfi, M.; Loriedo, C; Ugazio, V.; (a cura di) (2011): Depressioni e sistemi. Il peso della relazione, Franco Angeli editore, Milano.
4 Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (2010): Rapporto sulla non autosufficienza – 2010, Ministero del lavoro e delle politiche sociali.