QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

4. Sviluppo del sistema finanziario.

There was an explosion in risky subprime lending and securitization, an unsustainable rise in housing prices, widespread reports of egregious and predatory lending practices, dramatic increases in household mortgage debt, and exponential growth in financial firms‟trading activities, unregulated derivatives, and short-term“repo”lending markets, among many other red flags. Yet there was pervasive permissiveness; little meaningful action was taken to quell the threats in a timely manner.

Financial Crisis Inquiry Commission (2011).

4.1 Influenza del settore finanziario e processo di deregulation.

Il sistema finanziario ha assunto un‘influenza sempre maggiore sugli indirizzi della politica americana, in particolare a partire dai primi anni 2000.

Al di là di una sempre maggiore incidenza dei profitti di natura finanziaria sull‘economia (i financial sector profits costituivano nel 2006 il 27% di tutti i profitti d‘impresa statunitensi, contro un‘incidenza del 15% nel 19809), si evidenzia come le società collegate ai mercati finanziari abbiano versato contributi elettorali nell‘ordine di centinaia di milioni di dollari, ottenendo così un‘influenza diretta e indiretta sulle decisioni del sistema politico10.

Tabella 2: Contributi politici del settore finanziario.

Nel periodo 1998-2008, riflettendo le posizioni di forza, i contributi sono stati versati per il 55% in favore dei Repubblicani e per il 45% in favore dei Democratici. Nel 2008, viste le attese di cambiamento politico, si è avuta una inversione di tendenza, con il percepimento da parte dei Democratici di una cifra di poco superione al 50%. A parità di tipologia di ciclo elettorale (elezioni di mid-term contro elezioni presidenziali) è possibile constatare un trend crescente nei contributi alle campagne elettorali. L’anno 2008 presenta valori record, nonostante la situazione di stress finanziario di molte istituzioni.

Fonte: Dati tratti da Centre for Responsive Politics/OpenSecrets.org; Consumer Education Foundation (2009)

In quest‘ottica, i primi vantaggi si sono manifestati nella politica di deregulation, mentre gli ultimi con le scelte inerenti ai salvataggi pubblici. A tutt‘ora, le difficoltà ad implementare interventi incisivi di riforma nel settore finanziario potrebbero essere lette in questo senso.

L‘entità dei finanziamenti provenienti dal mondo finanziario può spiegare la volontà, da parte di chi governa, di non alienarsene le simpatie incidendo sulle retribuzioni dei manager del settore, o con politiche di regolamentazione di tipo più invasivo.

In tema di condizionamento della politica da parte della finanza, molto aspre sono le parole della Financial Crisis Inquiry Commission che in proposito ha affermato11:

Yet we do not accept the view that regulators lacked the power to protect the financial system. […] To give just three examples: the Securities and Exchange Commission could have required more capital and halted risky practices at the big investment banks. It did not. The Federal Reserve Bank of New York and other regulators could have clamped down on Citigroup’s excesses in the run-up to the crisis. They did not. Policy makers and regulators could have stopped the runaway mortgage securitization train. They did not. […] Too often, they lacked the political will [… ] as well as the fortitude to critically challenge the institutions and the entire system they were entrusted to oversee. […] It did not surprise the Commission that an industry of such wealth and power [il settore finanziario] would exert pressure on policy makers and regulators. […] What troubled us was the extent to which the nation was deprived of the necessary strength and independence of the oversight necessary to safeguard financial stability.

Il processo di deregulation (avviato in particolare dalle amministrazioni Reagan), stimolato dagli intermediari finanziari, ha rappresentato una tra le più rilevante tra le cause di origine della crisi.

In sintesi, gli aspetti salienti di tale processo sono stati:

a. Approvazione del “Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act” (1980) e del “Garn–St. Germain Depository Institutions Act” (1982).

L‘approvazione del Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act, avvenuta alcuni mesi prima che il presidente Reagan si insediasse, determinava una maggiore soggezione delle banche alla vigilanza regolamentare della Fed, aumentava la rilevanza dell‘assicurazione sui depositi, deregolamentava in tema di fusioni bancarie, ma soprattutto esentava alcuni finanziamenti dalla soggezione a massimali di tasso, di fatto aprendo alla possibilità di un mercato subprime.

Il Garn-St. Germain Depository Institutions Act (1982) ricomprendeva invece, al Titolo VIII, l‘”Alternative Mortgage Transaction Parity Act”, che deregolamentava le forme tecniche contrattuali dei mutui, rendendo così possibile la sottoscrizione di tipologie di finanziamenti diverse da quelle convenzionali (a tasso fisso). In particolare il riferimento è agli adjustable-rate mortgage loans, caratterizzati da modalità di determinazione delle rate variabili nel tempo. Tale categoria avrebbe connotato, a partire dal 2000, circa il 90% dei mutui subprime.

Di fatto, i due provvedimenti citati hanno rappresentato presupposti fondamentali all’espansione del sistema dei finanziamenti di qualità secondaria.

b. Accettazione della contabilità fuori bilancio (Off-Balance Sheet Accounting).

Il bilancio dovrebbe essere una rappresentazione veritiera e corretta dello stato di un’impresa; nonostante ciò, a partire dal 1983, le autorità statali statunitensi hanno accettato lo sviluppo di un sistema di contabilità fuori bilancio, che di fatto può produrre una distorsione nei valori ufficiali, rendendo possibile l’occultamento delle perdite di fronte agli investitori e alle autorità di vigilanza. D’altro lato, la possibilità di espandere il credito bypassando gli obblighi di accantonamento prudenziale, rende, per gli intermediari finanziari, tale pratica conveniente anche in presenza di condizioni di contesto favorevoli (ad es, cedendo mutui a società veicolo). Il tutto, naturalmente, presenta vantaggi in una logica di breve periodo, stante il fatto che nel medio/lungo termine le perdite emergono, e parimenti le conseguenze di accantonamenti inadeguati. Il fenomeno ha comunque una notevole rilevanza, testimoniata dal fatto che, se nel periodo 1992-2007 le attività iscritte a bilancio sono cresciute del 200%, quelle fuori bilancio hanno avuto un incremento del 1518%12. In materia, la Sec ha l’autorità di definire gli standard contabili e di comunicazione, che delega al Financial Accounting Standards Board (FASB – autorità indipendente composta da sette membri). Il FASB 140, in materia di cartolarizzazione e scorporo dal bilancio dei finanziamenti, stabilisce, in sintesi, la possibilità per gli intermediari di vendere portafogli di finanziamenti a società veicolo da essi create, senza sottostare all’obbligo di riportarli a bilancio, a condizione dell’esistenza di una certificazione di “true sale”, comprovante l’autonomia del portafoglio in parola. Di fatto questa impostazione presenta una serie di problematiche, riassumibili nella difficoltà di stabilire la reale separatezza di tale portafoglio dalle vicende dell’intermediario. Tale aspetto si è proposto in maniera rilevante al verificarsi della crisi e, per certi versi, già con lo scandalo Enron. Il frutto di quest’ultimo scandalo è stato il “Sarbanes-Oxley Act” (2002), provvedimento legislativo teso a migliorare la governance e la trasparenza, che, tra le altre cose, mirava ad incrementare l’informazione sull’utilizzo delle società veicolo fuori bilancio.

In tema è possibile citare il giudizio di Bill Fleckenstein, manager nel settore della finanza, che ha indicato il Sarbanes-Oxley Act come un provvedimento inefficace in termini di tutela, con principali riscontri in soli termini di “huge increase in paperwork and costs”13.

c. Abolizione della separatezza tra banche commerciali e d’affari e concentrazione del sistema.

La separatezza tra commercial e investment banks era prevista dal Glass-Steagall Act del 1933, ed era tesa ad evitare conflitti d’interesse ed eccessivi rischi in capo ai soggetti che raccoglievano fondi presso il pubblico. L’abrogazione di tale misura, avvenuta nel 1999, ha determinato in primo luogo una mentalità meno avversa al rischio e desiderosa di sfruttare i nuovi spazi di operatività (ad es. speculazione nell’ambito dei derivati) e in secondo luogo un sistema bancario più concentrato, interrelato e con soggetti di maggiori dimensioni.

In questo senso, dai dati dell’Office of the Comptroller of the Currency14 è possibile rilevare che, se nel primo trimestre 1999 il volume nozionale dei derivati in gestione alle 25 maggiori banche commerciali ammontava a 32.315 mld di dollari, lo stesso, al quarto trimestre 2006, segnava un valore di 131.044 mld di dollari. Su tali valori, è notevole il peso dei derivati creditizi, la cui rilevanza è passata da 191 mld di dollari a 9.010 mld di dollari.

In tema di concentrazione è poi possibile registrare come nel 2005 le cinque maggiori banche commerciali detenessero più del 55% degli asset del settore, percentuale più che raddoppiata rispetto al livello registrato nel 199015. È possibile inoltre notare come la quota di mercato delle cinque maggiori banche sia passata dall’8% del 1995 al 30% del 200916.

I fenomeni appena esaminati hanno contribuito a determinare un maggiore rischio sistemico, con presenza di soggetti too big to fail il cui dissesto avrebbe avuto forti ripercussioni sul contesto economico complessivo, senza che a questa potenzialità sia corrisposta una correlata opera di vigilanza e regolamentazione17.

La consapevolezza della propria posizione e il contesto di permissivismo possono anzi aver favorito una situazione di Moral Hazard.

d. Assenza di interventi regolativi sui derivati over-the-counter.

Il termine “over the counter” (OTC) trae origine dall’uso di negoziare accordi economici sui banchi (counter) dei bar nei dintorni di Wall Street. Questo stesso termine caratterizza i derivati trattati direttamente tra le parti, al di fuori dei circuiti ufficiali di borsa. L’assenza di regolamentazione per questa categoria (che, a giugno 2008, presentava a livello globale, secondo le stime della Bank for International Settlements, un valore nozionale di 672.558 miliardi di dollari e un valore lordo di mercato di 20.340 miliardi di dollari18), è stata sancita dal “Commodities Futures Modernization Act” del 2000, esito di un processo che ha visto il blocco delle ripetute iniziative di senso contrario. Questo provvedimento ha beneficiato dell’appoggio in particolare dell’allora Segretario al Tesoro Robert Rubin, del Sottosegretario al Tesoro Larry Summers (nel 2009 scelto da Obama per coordinare il suo team economico, in qualità di direttore del National Economic Council) ma, soprattutto, di Alan Greenspan.

In tema, sono note le parole di Warren Buffett19, che nel 2003 definì i derivati finanziari “weapons of mass financial destruction” in quanto “Large amounts of risk have become concentrated in the hands of relatively few derivatives dealers […] which can trigger serious systemic problems”.

La rilevanza di questi aspetti può essere compresa dal fatto che le coperture mediante credit default swap siano trattate al pari di una copertura assicurativa, permettendo alle banche di non allocare capitale prudenziale su finanziamenti coperti da CDS20. E tutto ciò nonostante la presenza di rischio di controparte: in mancanza di regolamentazione a riguardo, in capo a chi s’impegna su credit default swap non è infatti posto l’obbligo di realizzare adeguati accantonamenti. Un esempio chiaro di questo tipo di problematica viene dall’American International Group (AIG), che ha potuto vendere protezioni mediante CDS senza formare un capitale in contropartita, trovandosi così poi a necessitare di un salvataggio pubblico di enormi dimensioni.

La gravità del problema può essere compresa considerando la crescita del mercato dei derivati creditizi: nel nuovo millennio, il valore nozionale dei credit default swap è passato (secondo le stime della Bank for International Settlements) da quasi zero miliardi nel 2001 a 57.325 miliardi di dollari a giugno 2008, per un valore lordo di mercato di 3.172 miliardi di dollari, creando le possibilità di fallimenti sistemici21.

Come ha detto Greg Medcraft, presidente dell’American Securitization Forum: “The subprime-mortgage crisis is far greater in terms of potential losses than anyone expected because it‟s not just the physical loans that are defaulting”22.

e. Regime di monitoraggio interno per le Investment Banks.

In seguito a una serie di crisi di operatori finanziari nel periodo 1967-1970, nel 1975 la Securities and Exchange Commission (SEC – autorità di vigilanza sui mercati) approvò la “net capital rule” (o Rule 15c3-1), uno strumento normativo teso a definire standard minimi di capitale e liquidità per le Investment Banks, al fine di garantirne la solvibilità. Tale strumento prevede la valutazione del livello minimo di “net capital” che un broker-dealer deve mantenere e il confronto con l’effettiva dotazione.

A giugno del 2004, su pressione delle maggiori investment bank (le big five – Goldman Sachs, Morgan Stanley, Merrill Lynch, Lehman Brothers e Bear Stearns – che vi hanno subito aderito) è stato approvato il “Voluntary Regulation Regime”, che modificava la regolamentazione del 1975, permettendo l’adozione di modelli interni, impostati dagli intermediari stessi, per la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale.

Come riportato dal presidente della Sec nel periodo 2005-2009, Christopher Cox23, la riforma fu il frutto di diversi contributi ed ebbe un voto unanime: “In March 2004 […] the SEC adopted rules establishing a voluntary regulatory regime […] The rules were the product of extensive agency analysis and review, public notice and comment, the unqualified recommendation of the agency‟s professional staff, and a unanimous Commission vote.”. Ciò avvenne nonostante fossero chiare le rilevanti implicazioni, come dimostra il commento riportato dal Presidente Christopher Cox: “We are going to depend on the firms […] They’re going to have to develop their entire risk framework. And they’ll have to explain that to us, in a way that makes sense”.

Di fatto, tale provvedimento ha avuto ricadute negative. Nonostante il relativo contributo all’aumento della leva finanziaria sia questione controversa, è in ogni caso possibile affermare che tale regime di monitoraggio interno ha contribuito alla situazione di sottostima del rischio. In proposito, può essere citato il rapporto dell’ispettore Sec David Kotz (settembre 2008) sulla vicenda Bear Stearns, dove si conclude quanto segue24: “it is undisputable” che la Sec “failed to carry out its mission in its oversight of Bear Stearns”, constatando come il “risk management of mortgages at Bear Stearns had numerous shortcomings, including lack of expertise by risk managers in mortgagebacked Securities, […] persistent understaffing; a proximity of risk managers to traders suggesting a lack of independence; turnover of key personnel during times of crisis; and the inability or unwillingness to update models to reflect changing circumstances”.

Ad ogni modo, è possibile registrare le ammissione del presidente della Sec che, il 26 settembre 2008, ha affermato: “the last six months have made it abundantly clear that voluntary regulation does not work”25, definendo poi l’impostazione “fundamentally flawed from the beginning”26.

f. Mancato contrasto al predatory lending.

Evitare il rigonfiamento della bolla immobiliare non sarebbe stato comunque un compito facile, anche se se ne fosse riconosciuta l’esistenza. Più semplice sarebbe stato invece un intervento contro il predatory lending, data l’evidenza del fenomeno. Tuttavia le autorità federali, in nome della deregulation e nel timore di ostacolare l’espansione del mercato immobiliare, rifiutarono l’approvazione di norme restrittive e di tutela dei contraenti deboli, salvo operare in questo senso dopo lo scoppio della bolla immobiliare, nel 2008. Gli interventi a livello federale hanno anzi in alcuni casi favorito il fenomeno, come ad es. nella pronuncia del Comptroller of the Currency J. D. Hawk Jr. (2003), che in materia di protezione del consumatore stabiliva la prevalenza degli standard federali, rispetto agli interventi normativi dei singoli Stati dell’Unione. Tale pronuncia favoriva le politiche degli intermediari finanziari in Stati come ad es. Ohio e Georgia, che avevano realizzato interventi restrittivi contro politiche di concessione vessatorie.

In tema è possibile inoltre osservare come, sulla base dell’Home Ownership and Equity Protection Act (1994), tranne contenute eccezioni, sussista una limitata responsabilità del cessionario dei crediti a fini di cartolarizzazione. Sulla base di questa, i soggetti che abbiano acquisito portafogli di crediti viziati in origine da pratiche predatorie (ad es. investment bank) non possono essere chiamati a risponderne, permanendo la responsabilità in capo ai finanziatori originari. Quest’ultimo aspetto ha contribuito a determinare un rilevante disinteresse da parte degli intermediari (ad es. investment bank) che svolgevano attività di acquisizione dei crediti da altri originator per venderne le cartolarizzazioni sul mercato.

g. Proibizione ad intervenire sulle metodologie di rating.

Come è noto, le Credit Rating Agencies (di seguito CRAs) sono società private finalizzate al profitto, ancorché incaricate di svolgere una funzione quasi pubblica: diversi provvedimenti legislativi fanno infatti riferimento alle valutazioni assegnate in termini di rating27. La Sec è state tra le prime autorità pubbliche a realizzare questi tipi di rimandi, modello che ha poi trovato rilevanti riscontri, dalla regolamentazione di Basilea II ai vincoli di mandato per i fondi pensione.

A seguito dei giudizi errati delle CRAs nei casi Enron e WorldCom28, nel 2006 il Congresso approvò il Credit Rating Agency Reform Act. È però possibile constatare come, se tale riforma da un lato ha imposto più ampi obblighi di trasparenza nei confronti della Sec (anche in termini di illustrazione delle procedure e metodologie adottate nella determinazione dei rating), dall’altro la stessa ha sancito espressamente che “neither the Commission nor any State (or political subdivision thereof) may regulate the substance of credit ratings or the procedures and methodologies by which any nationally recognized statistical rating organization determines credit ratings”29. Quest’ultimo aspetto, evidentemente ispirato dalla volontà di garantire l’indipendenza delle CRAs da influenze istituzionali, presenta tuttavia una criticità molto rilevante: la mancanza di un potere di controllo pubblico incisivo a contrappeso di una funzione d’interesse pubblico. A corredo di quanto appena affermato, è possibile affermare che le agenzie di rating detengono tre tipi di poteri non adeguatamente controbilanciati dalle autorità pubbliche: il potere di definire il significato di un rating, e la possibilità di modificarlo; il potere di definire la metodologia di attribuzione di tale rating, e la possibilità di variarla; il potere di implementare tali metodologie e di realizzare il processo di valutazione30. E tutto questo in un contesto di forte interesse economico e di controllo non pervasivo, oltre che in un processo di progressiva concentrazione degli attori nell’ambito del sistema finanziario.


11 Cfr. Financial Crisis Inquiry Commission (2011).
12 Mason J. (2008), “Off-balance Sheet Accounting and Monetary Policy Ineffectiveness”.
13 Cfr. Fleckenstein B. (2009), “Blame Reagan for our financial mess?”.
14 Tratti dagli “OCC Bank Derivatives Report” sui periodi indicati.
15 Cfr. Financial Crisis Inquiry Commission (2011a) “Conclusions of the Financial Crisis Inquiry Commission”.
16Cfr. Federal Deposit Insurance Corporation (2009), “Summary of Deposits”.
17 Il tutto si inserisce in un processo di aggregazione già presente nel sistema bancario: nel 1985 il numero di banche commerciali negli Stati Uniti era di circa 14.000, nel 2005 il numero era sceso a circa 7.500. Cfr. Mester L. J. (2007) “Some Thoughts on the Evolution of the Banking System and the Process of Financial Intermediation”. A maggior ragione ciò avrebbe dovuto disincentivare l‘apertura di ultiriori spazi di operatività (peraltro connotati da elevato rischio) e suggerire piuttosto una vigilanza più incisiva.
18 Cfr. Bank for International Settlements (2010),
BIS Quarterly Review, dicembre 2010. Come precedentemente accennato, i valori nozionali esprimono il valore dell’attività finanziaria cui si commisura il valore del contratto derivato, i valori lordi di mercato misurano invece il costo di rimpiazzo dei contratti in essere, qualora questi ultimi fossero regolati il giorno della rilevazione.
19 Cfr. BBC News (2003)
Buffett warns on investment ‘time bomb’.
20 Cfr. Zingales L. (2008),
Testimony of Luigi Zingales Before the Committee on Oversight and Government Reform. Il successivo grafico è tratto dalla stessa fonte.
21 Cfr. Bank for International Settlements,
OTC derivatives market activity in the first half of 2008, novembre 2008.
22 Mollenkamp C. (2007)
Wall Street Wizardry Amplified Credit Crisis.
23 Cox, C., (2010)
Testimony of Christopher Cox before the Financial Crisis Inquiry Commission.
24 Cfr. Securities and Exchange Commission – Office of the Inspector General (2008),
SEC‘s Oversight of Bear Stearns and Related Entities e Westbrook J. (2008), SEC `Failed’ in Bear Stearns Oversight, Report Says.
25 Cfr. The Washington Post (2008),
The Crash: What Went Wrong. Lo stesso aveva dichiarato, poco prima del salvataggio di Bear Stearns sei mesi prima, che la situazione di solvibilità complessiva era buona, confermando l‘adeguatezza del nuovo sistema. Cfr. Labaton S. (2008), Agency‘s ‘04 Rule Let Banks Pile Up New Debt.
26 Cfr. Financial Crisis Inquiry Commission (2011b),
Final Report of the National Commission on the Causes of the Financial and Economic Crisis in the United States.
27 In genere perché tali valutazioni siano riconosciute a fini regolamentari è necessaria la qualifica di National Recognized Statistical Ratings Organizations (NRSROs), concessa mediante autorizzazione dalla Sec. A inizi anni ‘80 vi erano sette agenzie riconosciute, poi, in seguito a fusioni, durante gli anni ‘90 sono rimaste in tre: Standard & Poor‘s, Moody‘s e Fitch. A partire dal 2003 la qualifica è stata estesa gradualmente ad altre società, anche se di base le principali rimangono quelle già citate.
28 Il default di Enron è avvenuto il 2 dicembre 2001. Fino al 28 novembre dello stesso anno Moody‘s attribuiva alla società un rating Baa1; successivamente a quella data il giudizio è stato degradato a Baa2, ancora investment grade. Il caso di WorldCom è meno eclatante, anche se la società è stata valutata a livello investment grade fino a 42 giorni prima dell‘istanza di fallimento, presentata il 21 luglio 2002.
29 Cfr. US Code Title 15 Section 78o-7 (c) (2), o Credit Rating Agency Reform Act – SEC. 15E. – (c) Accountability for Ratings Procedures. – (2) Limitation.
30 Cfr. Cifuentes A. (2008),
Turmoil in U.S. Credit Markets: The Role of the Credit Rating Agencies.


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