Soluzioni “made in Italy” alla non autosufficienza: dall’utopia della de-istituzionalizzazione alla domiciliarità della cura
Introduzione
Nel modello mediterraneo di welfare il sistema dei servizi socio-assistenziali in generale, per la non autosufficienza in particolare, risulta essere carente e inadeguato. Il caso italiano, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, si è caratterizzato per un deciso processo di regionalizzazione delle politiche sociali1 e dei diritti sociali di cittadinanza, nell’ambito di un divario crescente tra il Nord e il Sud del paese (Pugliese 2008). I servizi e le prestazioni per i non autosufficienti si distribuiscono pertanto in modo disomogeneo sul territorio nazionale e sono particolarmente insufficienti nel Mezzogiorno, dove il gap tra domanda e offerta è particolarmente ampio (Pavolini 2004). Il lento sviluppo socio-economico che ha caratterizzato il Sud del paese, infatti, e la fragilità del welfare meridionale costituiscono fattori di rischio ambientale che determinano una maggiore incidenza della non autosufficienza e, in generale, una crescente domanda sociale di cura. Al Nord come al Sud sulla famiglia ricade, prevalentemente, il bisogno di continuità assistenziale dei soggetti non autosufficienti e il lavoro di cura si svolge sempre più in ambito domestico. Tuttavia la cura a domicilio, che pure potrebbe rappresentare il modello chiave di una nuova strategia volta ad accrescere la qualità della salute è comunque dimensione problematica. In primo luogo perché i costi sono quasi esclusivamente a carico della famiglia, in secondo luogo perché la cura a domicilio è condizione potenzialmente vulnerante per il caregiver primario (familiare o badante che sia). Il paper declina il tema della non autosufficienza nei seguenti quattro ambiti di analisi. Nel primo paragrafo si delineano i tratti distintivi del modello di welfare mediterraneo in relazione alla non autosufficienza e si inserisce poi, in tale contesto, il caso italiano con le sue peculiarità. Nel secondo paragrafo si affronta il tema delle diseguaglianze in salute e rischio non autosufficienza. Nel terzo paragrafo si esplora il tema della domiciliarità del lavoro di cura, evidenziando come nel nostro paese, in quest’ultimo quarantennio, l’auspicato sviluppo dei servizi territoriali domiciliari, che pure si è realizzato, non è stato sufficiente a colmare il gap tra domanda e offerta. Nel paragrafo si presta particolare attenzione al fenomeno badanti evidenziando come, tale fenomeno, ponga socialmente il tema della cura e della vulnerabilità di chi cura. Si conclude il paper discutendo di applicazioni di domotica come interventi in grado di sostenere l’autonomia e la domiciliarità degli anziani.
1. Il modello di welfare mediterraneo e il caso italiano
La Commissione Europea ha stimato un incremento della popolazione di età superiore ai 65 anni, entro il 2050, del 44,5% per la popolazione di età compresa tra i 65 e i 79 anni, del 171,6% per la popolazione con più di 80 anni (cfr. COM. 2005, 94, COM. 2006, 571). Dato lo scenario demografico l’agenda di Lisbona ha definito “prioritarie e indispensabili” due linee di azione:
– l’attuazione di politiche volte a promuovere una maggiore partecipazione all’attività lavorativa, soprattutto per le donne ( e le altre fasce più marginali rispetto al mercato del lavoro, ovvero i giovani e le persone in età avanzata) (COM. 2005, 94).
– la modernizzazione (corsivo nostro) dei sistemi di protezione sociale soprattutto attraverso il potenziamento di un sistema integrato di servizi socio-sanitari (ibidem).
Rispetto alla linee guida della strategia di Lisbona i paesi dell’Europa del mediterraneo presentano una condizione alquanto problematica. In primo luogo perché in questi paesi lentamente crescono i tassi di occupazione delle donne2; in secondo luogo perché sono paesi che presentano una ripartizione della spesa sociale fortemente squilibrata a favore della spesa pensionistica e che, conseguentemente, destinano al settore assistenziale risorse scarse (Tab. 1).
Tabella 1- Spesa sociale per settori in percentuale della spesa sociale totale nel 2004. Valori %
Fonte: Eurostat in Ponzini 2008
Nello specifico, tenuta in debito conto la difficoltà di reperire dati affidabili e comparabili per i diversi paesi (Anttonen e Sipilä, 2001), è possibile affermare che il quadro dell’offerta nei paesi del mediterraneo è caratterizzato da una sorta di “ritardo comune” nell’assistenza agli anziani. Pesaresi e Gori3 (2005), considerando gli indici di copertura dell’assistenza domiciliare e di quella residenziale, asseriscono che i paesi del mediterraneo risultano essere quelli che hanno l’organizzazione dei servizi per anziani meno sviluppata rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea4 (Tab.2).
Tabella 2 – Percentuale di anziani assistiti per paese, anno e tipologia di servizio
Fonte: Pesaresi, Gori (2005)
All’anno 1998 si riferisce la percentuale di anziani che hanno usufruito di assistenza domiciliare, al 1991 quelli che hanno usufruito di strutture residenziali
E questo a fronte di una domanda di cura tutt’altro che trascurabile. La tabella seguente (Tab. 3) ci permette di quantificare, per fasce di età e grado di disabilità, la domanda di assistenza degli anziani in tutti i paesi europei.
Tabella 3 – Popolazione anziana non autosufficiente per grado di non autosufficienza e fasce di età. Paesi dell’Europa del Sud, anno 1999
Fonte: Libro Blanco de dependencia
Nei paesi del mediterraneo dunque ben un terzo degli anziani, per così dire più giovani, e quasi la metà dei grandi anziani è affetto da disabilità (grave o moderata). Di loro si occupano prevalentemente le reti familiari. Alla famiglia è riservato un ruolo fondamentale nella produzione di welfare informale (tra gli altri Naldini, 2006). Nel contesto mediterraneo è particolarmente diffuso un modello familiare caratterizzato dalla solidarietà intergenerazionale (tra genitori e figli), ovvero dall’ esistenza di forti relazioni e scambi tra genitori e figli per tutto il corso di vita. A fronte di ciò il tema della cura ha trovato spazio in ambito europeo in relazione all’aspetto della conciliazione Nell’ottica della valorizzazione delle risorse familiari l’agenda di Lisbona, non a caso, impegna i governi a più efficaci politiche di ri-conciliazione tra vita lavorativa e vita privata attraverso la messa a disposizione di servizi per l’infanzia e la cura delle persone non autosufficienti (COM 2005, 141). In merito al tema della conciliazione nella consultazione formale delle parti sociali (SEC 2006, 1245) la Commissione Europea ha messo a tema un’eventuale revisione delle disposizioni esistenti per quanto riguarda il congedo di maternità e il congedo parentale nei paesi membri; ha anche sollecitato (COM 2007, 49) la creazione di “congedi filiali” che permettano di occuparsi di genitori anziani, e che siano “attraenti” tanto per gli uomini quanto per le donne”5. In questa prospettiva, almeno sul piano del dibattito in corso, si sta assistendo ad un processo convergente di progressiva definizione della non autosufficienza come nuovo rischio sociale. In merito la legge spagnola (che in questa sede brevemente richiamiamo) “Ley de promoción de la autonomía personal y atención a las personas en situación de dependencia” (Per la promozione dell’autonomia personale e la cura delle persone non autosufficienti)” rappresenta un’esperienza unica e innovativa. Il 21 aprile 2006 il governo ha presentato in parlamento una proposta di legge che regola il sistema nazionale di tutela per i non autosufficienti, approvato il 30 novembre ed entrato in vigore il 1 gennaio 20076. La legge sposa la filosofia universalistica7, dal momento che riconosce il diritto all’assistenza per tutti i cittadini non autosufficienti indipendentemente dall’età e dalle condizioni di reddito8. Così facendo il legislatore legittima la fruibilità del diritto sociale di assistenza basandosi unicamente sulla verifica della condizione di bisogno, non tenendo conto di altri fattori. Considera altresì quella condizione una condizione che, di per se stessa, dà diritto a prestazioni e servizi. In tal senso la normativa spagnola riconosce alla non autosufficienza la dignità di nuovo rischio sociale, superando, nell’ambito dell’assistenza agli anziani, la filosofia tradizionale che ancora prevalentemente tutela questa fascia della popolazione dai rischi legati alla carriera lavorativa, attraverso appunto i benefici previdenziali. La legge prevede la creazione di un sistema ad hoc, ovvero il Sistema per l’autonomia e la cura della non autosufficienza (SAAD) (Cap.II, Art. 14, 15 e 16), finalizzato all’offerta integrata di servizi, anche attraverso il riconoscimento e l’incentivazione dell’offerta privata e del terzo settore; prevede una consistente incentivazione di interventi di prevenzione e di riabilitazione e, al contempo, l’incremento di prestazioni monetarie9 finalizzate a favorire l’accesso ai servizi. Solo nei casi in cui il soggetto fosse impossibilitato ad accedere ad un qualunque servizio, la normativa riconosce “eccezionalmente” la possibilità di impiegare la prestazione per usufruire di un’assistenza privata, erogata da un familiare o da un assistente privato (Art.17 e Art.18 comma 1). Obiettivo della legge è dunque quello di potenziare e riordinare il sistema dell’offerta dei servizi per gli anziani ancora insufficiente nel paese (Tab. 4).
Tabella 4 – Spagna, numero utenti10 e indice di copertura dei Servizi Sociali per tipologia
Fonte: Libro Blanco de dependencia
*Indice di copertura: utenti/totale della popolazione anziana x 100
1.1 Le peculiarità del caso italiano
Il fenomeno invecchiamento può essere considerato uno spaccato attraverso cui leggere la tipicità del welfare italiano che risponde ai bisogni prioritariamente attraverso trasferimenti al reddito e relega l’assistenza in un ruolo residuale. Sebbene la nostra costituzione all’articolo 38 sancisca il diritto alla previdenza e all’assistenza, riconoscendo attraverso la previdenza, il diritto alla prestazione come contropartita di una precedente contribuzione, e attraverso l’assistenza, il diritto al soccorso per chiunque si trovi in condizione di bisogno, di fatto nel nostro paese l’assistenza, che avrebbe dovuto mettere tutti i cittadini sullo stesso piano attraverso l’offerta di servizi in chiave universalistica, continua ad avere un ruolo residuale nelle politiche sociali, schiacciata da un sistema pensionistico ingombrante e costoso. Le risorse dedicate all’assistenza in generale restano esigue. In particolare la spesa per l’assistenza continuativa rappresenta l’1,13% del Pil. Di questa voce di spesa solo il 4% è destinato al Long-Term Care, il 2% se si considerano esclusivamente i servizi (Gori, Lamura 2009). Sebbene l’assistenza continuativa a titolarità pubblica13 (Long-Term Care) abbia avuto un costante sviluppo dagli anni ’70 ad oggi, la componente relativa all’offerta dei servizi resta carente e disomogenea sul territorio nazionale come mostra la Tab. 5, evidenziando le basse percentuali di anziani utenti dei servizi, delle strutture e dell’ADI, la disponibilità dei posti letto e le ore medie annuali di ADI.
Tabella 5 – L’assistenza continuativa nelle Regioni 2005-2007
Fonte: Network Non Autosufficienza
Di contro all’auspicato sviluppo di un sistema dei servizi (di cui già la Commissione Onori 1997) si è assistito a un progressivo rafforzamento della logica della monetarizzazione delle prestazioni. Nel nostro paese i percettori dell’indennità di accompagnamento costituiscono il 9,5% degli anziani (Network Non Autosufficienza 2009) percentuale che sopravanza di gran lunga il complesso degli utenti dei servizi domiciliari e residenziali. Si assiste poi contestualmente al riemergere della filosofia della beneficenza che si credeva ormai appartenere al passato. Il Libro Bianco sembra avallare per lo più un sostanziale arretramento nei fatti sul piano dei diritti di cittadinanza, in particolar dei diritti sociali. Wilensky sosteneva che l’essenza del welfare state consiste nel garantire a tutti i cittadini standard minimi di reddito, istruzione, salute, abitazione, non per carità ma per diritto politico. Sta proprio in questa sostituzione della rete della beneficenza con la solidarietà istituzionalizzata il punto di svolta della condizione di suddito a quella di cittadino. Il Libro Bianco invece, ripropone la logica della beneficienza e di fatto un modello di welfare residuale in base al quale lo Stato si occupa solo ed esclusivamente degli ultimi, degli out, lasciando il resto dei cittadini a se stessi (E. Granaglia, P. Di Nicola, S. Toso, C. Gori, Ranci Ortigosa, in Prospettive Sociali e Sanitarie, 15 giugno 2009)14. La social card è un esempio illuminante a tal proposito. Attraverso la Carta acquisti15 (il cui costo è stato stimato in 450 milioni di euro) si fa sostanzialmente “la carità” ai cittadini con un buono di 40 euro mensili, contestualmente riducendo il Fondo Nazionale per le politiche sociali di ulteriori 271 milioni di euro, sottraendo così risorse al finanziamento della spesa sociale destinata ai Comuni (Mazzaferro, Toso 2009).
Paper presentato al convegno “Senza Welfare? Federalismo e diritti di cittadinanza nel modello mediterraneo” ESPAnet Italia, 2010, Università di Napoli “Federico II”.
Mara Tagliabue: Research Manager, Macros Research; mara.tagliabue@macrosresearch.it ; www.newwelfare.org www.macrosgroup.it .
Tiziana Tesauro: Ricercatrice IRPPS-CNR; www.irpps.cnr.it t.tesauro@irpps.cnr.it
1 L’ambito di attuazione per via legislativa del diritto all’assistenza sociale viene in pratica regionalizzato e spetta esclusivamente alle regioni la predisposizione di quelle strutture normative e organizzative indispensabili per l’erogazione delle prestazioni assistenziali. Di qui un conseguente ridimensionamento della portata della stessa legge 328/2000 dell’assistenza Alla legge 328/00 dovrebbe riconoscersi una natura per così dire cedevole nel senso che essa continuerà ad applicarsi in quelle regioni che non provvederanno ad approvare nuove normative in materia di servizi socio-assistenziali, mentre nei casi in cui il legislatore regionale adotti una nuova disciplina dai contenuti diversi e comunque incompatibili, prevarrà l’applicazione di quest’ultima sulle disposizioni della legge 328/00 (Ferioli, 2004).
2 La commissione ha sottolineato come, sebbene il tasso di occupazione femminile sia in crescita in tutta Europa (56,3% nel 2005), rimane il fatto che la condizione delle donne resta più sfavorevole rispetto a quella degli uomini (COM 7 2007, 49). I tassi di occupazione delle donne dei paesi del mediterraneo oscillano (anno 2005) dal 45,3% dell’Italia al 61,7% del Portogallo (cfr. Ponzini 2008).
3 Lo studio prende in esame i quindici paesi che costituivano l’Unione fino al 2003, prima dell’entrata di dieci nuovi paesi avvenuta nel 2004. Nell’ambito di tale studio definiscono tre approcci di assistenza agli anziani non autosufficienti: il primo, tipico dei paesi del Nord Europa – Danimarca, Svezia, Finlandia, Regno Unito, Irlanda – che si realizza nella presa in carico della non autosufficienza attraverso una fitta rete di servizi territoriali sociali e sanitari, il secondo, proprio dei paesi dell’Europa centrale – Germania, Austria, Lussemburgo, Francia – che è mutualistico, ovvero si caratterizza per la creazione di un sistema di assicurazione specifico per la non autosufficienza, infine il terzo, che è appunto quello dei paesi mediterranei – Italia, Grecia, Spagna, Portogallo – dove lo sviluppo dei servizi territoriali è ancora residuale e centrale è invece nella cura degli anziani non autosufficienti l’assistenza informale di tipo familiare.
4 Secondo stime presentate dagli stessi autori le nazioni del nord Europa assistono a domicilio un alto numero di anziani (il 24,6% in Danimarca, il 15,7% in Norvegia, il 12% in Olanda) attraverso prestazioni integrate sociali e sanitarie, erogate ventiquattro ore su ventiquattro con l’ausilio di tecnologie telematiche; altri paesi come il Regno Unito, la Francia e la Germania assistono un discreto numero di anziani compreso tra il 3% e il 10%, attraverso la costruzione di mercati sociali, senza per altro essere riusciti a risolvere il nodo dell’integrazione sociale e sanitaria.
5 Attualmente in Italia, per l’accudimento del coniuge o altro parente anziano non autosufficiente, i dipendenti sia privati che pubblici possono accedere a un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, non retribuito e senza il versamento dei contributi previdenziali; il posto di lavoro è comunque conservato (legge n° 53/2000 Art. 4, Comma 2 ).
6 Negli anni novanta è stato implementato il primo Programma Nazionale di Gerontologia (1992) centrato sulla non autosufficienza. In questo periodo sono migliorati i servizi esistenti e ne sono stati creati di nuovi come i Centri Diurni, Soggiorni temporanei in strutture residenziali e teleassistenza. Le Comunità Autonome hanno esercitato un notevole potere legislativo in relazione ai servizi sociali; ogni Comunità Autonoma ha implementato il proprio programma di Gerontologia e ogni Comunità ha avuto libertà d’azione per quanto riguarda la tipologie e la quantità dei servizi offerti. Alcune Comunità Autonome avevano approvato provvedimenti legislativi ad hoc per la non autosufficienza (la Cantabria nel 2001, la Comunità autonoma di Madrid e il Principato delle Asturias nel 2003).
7 Come del resto è sottolineato dal legislatore stesso all’Art. 3 (lettera b).
8 Sono pertanto titolari del diritto tutti i cittadini spagnoli in condizione di non autosufficienza che abbiano più di tre anni, Art. 5, comma 1 e 2, dato che per i minori di tre anni saranno predisposti specifici provvedimenti normativi Art. 5, comma 1b; i cittadini spagnoli non residenti in Spagna (comma 3) e i cittadini spagnoli emigrati e poi rientrati in Spagna (comma 4).
9 Non è specificato nella legge a quanto ammonti la prestazione monetaria.
10 Utenti di servizi sociali su una popolazione anziana pari a 7.276.620 nello stesso anno.
11 L’indice di copertura del servizio di Teleassistenza è passato dallo 0,12 al 2,05 dal 1995 al 2004.
12 L’indice di copertura dei Centri Diurni è passato dallo 0,11 del 1999 allo 0,27 del 2004.
13 Si fa riferimento alla definizione di Long-term care ripresa dal Network Non Autosufficienza 2009, pag. 18: Long-term care contempla quegli interventi (servizi alla persona o prestazioni monetarie) che l’ente pubblico contribuisce, almeno parzialmente, a finanziare e nei quali ha qualche forma di responsabilità per la definizione dell’utenza e/o degli standard di qualità Nel caso dei servizi sovente la gestione è responsabilità di soggetti privati. Gli interventi a titolarità pubblica si intrecciano con il care delle reti informali e del mercato privato. Le politiche di long-term care vedono un intreccio di competenze tra Stato, Regioni, e Comuni. Nel quadro attuale l’indennità di accompagnamento e le agevolazioni fiscali sono responsabilità dello Stato, i servizi sociosanitari sono responsabilità delle Regioni e i servizi sociali dei Comuni (2009).
14 Gli stessi autori sostengono che il testo non presenta alcuna evidenza empirica e si colloca sul terreno puramente ideologico. Non viene prospettato un preciso quadro di interventi né si assumono impegni programmatici credibili. Si aderisce all’universalismo selettivo senza però dedicare, per esempio, alcuna considerazione all’Isee che ne è il principale strumento, non si fa cenno alcuno a cosa si intenda fare riguardo a povertà, sanità, non autosufficienza, e si insiste su centralità della famiglia e ruolo della comunità. Mancano in ultima analisi obiettivi operativi accompagnati da dati e ipotesi attuative.
15 Il primo e più significativo intervento in tema di assistenza assunto nel 2008-2009 dal Governo è rappresentato dalla Carta acquisti (o social card) istituita con il d.l. n. 112/2008, convertito in legge il 6 agosto 2008 (l. n. 133/2008). La Carta acquisti è un buono spesa utilizzabile per acquistare prodotti alimentari e per il pagamento delle principali utenze energetiche.
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