QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Migliorare la qualità della vita nelle demenze gravi

1. Introduzione

Per anni il fenomeno delle demenze senili di gravità variabile è stato inserito, con l’utilizzo di tecniche di contenimento sia farmacologico che fisico, in una pratica di assistenza volta al controllo dei comportamenti delle persone affette da tale patologia, ma da gli anni ‘50 alcuni studiosi hanno cercato di trovare delle tecniche per la riabilitazione di queste persone anziane, come complementari o alternative ai trattamenti farmacologici. Tra le varie tecniche, i cui risultati non sono quasi mai stati verificati con una metodologia scientifica, ne citeremo la Reality Orientation Therapy ( R.O.T.), la Validation Therapy, la Gentle Care.

La R.O.T. (Spector et al., 2000) è una tecnica specifica di stimolazione cognitiva che tende a ridefinire le dimensione spazio-temporale della persona deteriorata nel tentativo di rinforzarne l’identità, ma può funzionare nei casi lievi o moderati.

La Validation Therapy (Feil, 1996), attraverso un ascolto empatico, mira a stabilire un contatto emotivo con la persona cercando di comprendere come il malato vede la realtà e quali possano essere le motivazioni dei suoi comportamenti.

La Gentle Care (Jones, 1996) è un sistema di cura protesico pensato e finalizzato a supportare piuttosto che cimentare la persona con demenza, a comprendere la peculiarità e la complessità della disabilità determinata dalla malattia e al tempo stesso a cogliere e a valorizzare le competenze residue, così come le preferenze e i desideri del malato. La centralità del malato e la ricerca e salvaguardia della sua continuità esistenziale ne costituiscono gli elementi fondanti. Essa mira a organizzare un adattamento ambientale tra la persona con malattia di demenza e lo spazio fisico, i programmi e le persone più significative con la quale la persona deve interagire.

Nel 1998, a Trieste, seconda città in Italia per numero di abitanti anziani, nasce Kairòs, un gruppo di studio e di ricerca sul mondo psico-affettivo, relazionale e cognitivo delle persone anziane sia che esse siano sane sia affette da situazioni patologiche di vario tipo oppure con diversi livelli di degrado. Questi studiosi cercano di acquisire competenze più profonde sul mondo interiore degli anziani e si sforzano di offrire risposte adeguate ai loro bisogni e a quelli dei loro familiari spesso alle prese con le difficoltà e le problematiche dell’assistenza a persone non più autonome e non facilmente comprensibili a livello comportamentale e/o emotivo. Così l’interesse principale si è focalizzato sui meccanismi intrapsichici dell’invecchiamento e sul loro funzionamento in presenza di livelli di deficit intellettivo-cognitivo a cui l’anziano, fisiologicamente o patologicamente, va incontro.

2. L’importanza della relazione

L’esperienza clinica evidenzia un primo importante assunto, cioè che ogni persona invecchia con ritmi e modalità del tutto individuali, per cui non si può mai dare per scontato che se una persona ha molti anni sulle spalle avrà per forza un certo livello di decadimento somatopsichico. Sicuramente il processo di senescenza psichica è caratterizzato da una diminuzione più o meno marcata delle funzioni cognitive, ma anche gli aspetti emotivo-affettivi, che risentono dei cambiamenti intrinseci a questa stagione della vita, hanno una notevole influenza. Questo periodo è spesso segnato da situazioni di perdita e da abbandoni e, di conseguenza, queste carenze affettive rendono il soggetto sempre più depresso, più isolato e più distante dalla realtà, portandolo in un mondo interiore pieno dei fantasmi del passato, nel quale si ricreano esperienze già vissute, rapporti antichi con figure parentali importanti, gioie e dolori provati che hanno segnato un’esistenza.

Così il sistema relazionale dell’anziano con le persone dell’ambiente circostante è spesso costellato da incomprensioni, contrasti e conflitti, che rendono difficile una tranquilla convivenza e la riempiono di emozioni negative, vissute sia da parte del soggetto sia da parte di coloro che lo circondano. Tutto ciò è frequentemente legato a delle modificazioni comportamentali dell’anziano rispetto a quelle conosciute nel passato. Questi atteggiamenti non sono più ben compresi da parte delle persone vicine che possono destabilizzarsi di fronte a dei comportamenti cosi poco razionali e lineari, ma queste alterazioni talmente grossolane, anche nelle loro manifestazioni quotidiane, possono avere un loro senso se riusciamo a comprendere cosa avviene nel profondo della psiche dell’anziano stesso. Probabilmente queste alterazioni non sono altro che gli effetti evidenti di cause non facilmente individuabili da coloro che li osservano, ma che, invece, hanno una grossa importanza per l’economia psichica dell’anziano (Cauzer et al., 2003).

Possiamo affermare, dunque, che la natura del declino senile può essere attribuita a due fattori principali. L’uno di natura organica, che significa una perdita di sostanza cerebrale [l’invecchiamento fisiologico, il minor funzionamento dei neuroni, le carenze ed il rallentamento nella trasmissione degli stimoli nervosi, ecc.] e l’altro di natura funzionale. In questo caso, infatti, nonostante gli esami specialistici eseguiti non evidenzino, dal punto di vista anatomico, un’importante perdita delle funzioni mentali, si riscontra nel soggetto un comportamento che assomiglia molto a quello di coloro che presentano un vero danno organico. L’asse organico e quello funzionale non sono così separati tra loro come si potrebbe immaginare a prima vista, ma la funzione cognitiva e quella affettivo-emotiva agiscono in parallelo e si influenzano a vicenda osservano. Recenti studi delle neuroscienze (Vallar e Papagno, 2007) affermano che la funzione cognitiva risiede in prevalenza nella zona alta del cervello, nella corteccia cerebrale, mentre quella emotiva si trova nelle zone più basse, cioè nelle zone sottocorticali e nel tronco dell’encefalo. Queste due aree cerebrali sono tra loro in stretto legame e questa reciproca influenza è importantissima per un corretto e regolare funzionamento del sistema psichico e neurologico.

Di fronte alle sue diminuite performances cognitive l’anziano, per un meccanismo difensivo, potrebbe regredire a livelli di funzionamento ancora più bassi e ciò aggraverebbe ulteriormente la situazione con coloro che gli stanno intorno e instaurare così un circolo vizioso di incomprensioni, ulteriori sollecitazioni e comparsa di nuovi risentimenti. Al contrario, l’incoraggiamento e l’attivazione delle risorse emotive-affettive produrrebbe un senso di benessere nella persona anziana con riduzione dell’ansia e dell’angoscia e influirebbe positivamente anche sulle sue capacità intellettive.

Spesso osserviamo un recupero delle capacità cognitive in queste persone non appena si sentono capite e sostenute nell’affrontare le difficoltà che, ai loro occhi, risultano molto gravose. Se questo modo di comportarsi con l’anziano diventa costante, egli potrà raggiungere una maggior tranquillità interiore e, di conseguenza, avere migliori relazioni con gli altri. Questa sensazione di benessere produrrà un’ulteriore gratificazione rinforzando l’autostima dell’anziano e così potrà innescarsi un circolo virtuoso con ulteriori miglioramenti, sia sotto il profilo affettivo-relazionale sia sotto quello intellettivo-cognitivo. Dunque queste trasformazioni nella sfera cognitiva e in quella emotivo-affettiva si influenzano reciprocamente e si compensano.

Nella loro esperienza clinica gli studiosi di Kairòs, osservando attentamente il comportamento di persone deteriorate mentalmente durante lunghi archi di tempo, hanno notato come in alcuni periodi esse appaiano ben orientate e lucide, mentre altre volte sembrano disorientate e confuse, impegnate in un continuo tentativo di ritrovare i frammenti del proprio Sè e rimetterli insieme. Se si offre al soggetto, caduto in questa situazione di frammentazione della propria identità, la possibilità di relazionarsi con una persona che si propone come oggetto ausiliario, in un clima transferale favorevole e non violento, la ricerca estenuante di sé si attenua e l’economia psichica dell’individuo viene ad esserne notevolmente modificata (Le Goues, 1995). Per oggetto ausiliario intendiamo una persona che si presti a farsi investire di significati affettivi come lo è stata la madre nei primissimi stadi della vita di un bambino. La madre viene indicata, in questa teoria relazionale, con il sostantivo di primo oggetto. Date le condizioni di estrema dipendenza della persona deteriorata, specie se gravemente, l’oggetto ausiliario funziona come sostitutivo del primo oggetto, per estensione primo caregiver, e si assiste spesso al ristabilirsi di una relazione oggettuale più duratura.

Vogliamo meglio spiegare attraverso quale processo psicodinamico la fiducia di base si trasferisce sulla figura del caregiver. La perdita di persone significative (coniuge, amici, parenti) produce un’angoscia legata alla perdita dell’oggetto e quindi verrà messa in atto un meccanismo di difesa chiamato regressione, con cui l’anziano ritorna ad una condizione quasi infantile di dipendenza. L’investimento emotivo poggia sia sul piacere di percorrere un sentiero già conosciuto, quello dell’infanzia, e ritrovare narcisisticamente sé stessi, sia sul piacere di poter ritrovare ancora l’oggetto a condizione che questo sia familiare, rassicurante ed affettivamente presente. Il caregiver diventa quindi l’oggetto esterno di sostegno, un Io ausiliario, ovvero colui che fornisce un appoggio e una solidità psicologica all’anziano, essendo la sua stabilità psichica molto vacillante. Il caregiver diventa il veicolo attraverso cui l’anziano, inconsciamente, consolida i suoi meccanismi di compenso e le sue risorse residue e, al tempo stesso, riduce la sensazione di ansia e di abbandono derivanti dalla percezione della riduzione delle sue capacità psicofisiche, dal calo di autostima e dalla perdita di figure significative e rassicuranti della sua realtà quotidiana. Tutto ciò comporta, oltre all’attenuazione dell’angoscia, l’abbandono degli atteggiamenti regressivi e depressivi e la persona ricomincia ad investire affettivamente la realtà interna ed esterna riprendendo la formulazione del proprio pensare.

3. Il metodo P.Ro.M.O.T.®

Noi studiosi dell’Associazione Kairòs siamo fortemente convinti, poiché l’anziano è un soggetto unico e irripetibile che esprime una realtà interiore specifica, che si debba uscire dai comuni atteggiamenti di nichilismo terapeutico, figli di una cultura che ha una visione stereotipata della senescenza fondata sulla tesi che il declino della persona sia legato a processi di tipo organico inesorabili ed immodificabili, verso i quali non esistono possibilità di trattamento e che quindi richiedono un intervento di tipo meramente assistenziale e che giudica inutile qualsiasi intervento riabilitativo sull’anziano deteriorato. Crediamo che la persona anziana, anche nel caso di decadimento dovuto a problematiche organiche, possa essere aiutato a recuperare aspetti cognitivi, affettivi, relazionali deficitari e che si possa rallentare il processo di deterioramento attraverso una stimolazione specifica e personalizzata basata sulle conoscenze più attuali nel campo delle neuroscienze e della psicodinamica dell’invecchiamento.

Il gruppo Kairòs costruisce, sperimenta e applica il metodo P.Ro.M.O.T.®, il cui acronimo si esplica in Progressive ResOurces Mental Operative Training, cioè una metodologia globale di intervento che offre strumenti interpretativi e di gestione delle problematiche dell’essere anziano, in particolare della persona disorientata. Esso è stato concepito infatti per il recupero del deficit cognitivo e del disagio affettivo nelle persone anziane che presentano vari livelli di disorientamento e di demenza. Il metodo P.Ro.M.O.T.® pone come punto focale la relazione caregiver-anziano con l’obiettivo di migliorare il relazionarsi reciproco di ciascuno e, di conseguenza, compensare i deficit della persona rendendo più efficaci gli interventi riabilitativi delle funzioni intellettive. Anche nel caso di deterioramento organico in cui i neuroni, insieme alle loro connessioni sinaptiche, muoiono progressivamente, la stimolazione cognitivo-affettiva risulta utile perché può indurre i pochi neuroni rimasti a formare nuove connessioni in grado di far passare impulsi nervosi.

L’affettività è quindi la chiave di volta per poter influenzare in positivo la performance cognitiva di una persona disorientata e nello stesso tempo riequilibrare con dolcezza la sua economia psichica. La regolazione degli affetti è ruolo del sistema limbico: le componenti principalmente coinvolte sono, in ognuno dei due emisferi cerebrali, l’ippocampo (o corno di Ammone) e l’amigdala (che conferisce una colorazione affettiva alle informazioni cognitivo-sensoriali), i nuclei del setto e determinate circonvoluzioni della corteccia come il gyrus cinguli e il gyrus parahippocampalis, che sostiene l’ippocampo. Poiché alcune di queste aree sono strettamente collegate con le regioni della corteccia frontale, che sono al servizio delle attività integrativo-cognitive superiori, possono formarsi vaste zone di commutazione affettivo-cognitiva. in modo più specifico, l’elemento affettivo è dato dai neurotrasmettitori delle vie di associazione specificatamente interessati: questi vengono riattivati grazie a stimoli affettivi o cognitivi affini. Un tale imprinting affettivo potrebbe avere una parte nella formazione delle connessioni neuronali facilitando, forse, una più stretta e forte interazione (Ciompi, 1993; Chellini, 2008).

Il metodo P.Ro.M.O.T.® vuole perseguire innanzi tutto il comprendere e facilitare le dinamiche interpersonali a livello familiare ed istituzionale e la riabilitazione della persona anziana tramite tecniche specifiche, mentre gli obiettivi di secondo livello sono il trasformare l’anziano da utente passivo a soggetto attivo che meglio utilizza le risorse su esso investite, la riduzione del degrado psico-cognitivo contraendo così le ospedalizzazioni improprie, nonché i ricoveri in strutture protette, con netto beneficio economico delle spesa delle famiglie e di quella pubblica e la diminuzione dei fenomeni di burn-out dei caregivers e degli operatori professionali del settore. Il metodo è strutturato in moduli, fra di loro integrati, ma, allo stesso tempo utilizzabili separatamente, a seconda del tipo di realtà alla quale si rivolgono. I moduli si incentrano sull’informazione e la sensibilizzazione delle problematiche dell’anziano ai familiari e al suo ambiente sociale, sul Sensitivity Training rivolto agli operatori del settore geriatrico, su un eventuale inserimento dell’anziano nelle strutture istituzionali, solo se strettamente necessario, e sull’intervento psicoriabilitativo dell’anziano, che è la parte di cui ci occuperemo in questo articolo.

Formulata una diagnosi multidimensionale cognitivo-affettivo-relazionale, cioè una mappa articolata della situazione globale del soggetto, tramite i test di livello cognitivo, le informazioni di tipo psicodinamico e un colloquio strutturale, si potrà procedere ad una progettazione del tipo di intervento riabilitativo più utile alla persona in questione, che comporterà la definizione di un percorso individualizzato.

L’intervento psicoriabilitativo è strutturato in piccoli gruppi con un numero massimo di 10 partecipanti ed un conduttore che deve essere preferibilmente uno psicoterapeuta. E’ articolato in due tipi di gruppi, che si differenziano per tipologia di contenuti. Il primo è denominato Arising Affect, il secondo Resources Race.

Nell’Arising Affect vengono attivate le capacità percettive, l’orientamento spazio-temporale e la memoria affettiva, funzioni che stanno alla base di tracce mnestiche sedimentate. In questo tipo di gruppo si risveglia e si recupera il piacere di funzionare e di relazionarsi con gli altri.

Nel Resources Race, rivolto a persone con capacità cognitive più integre, si mette in primo piano il rinforzo delle funzioni più strettamente cognitive e i meccanismi di compenso individuali.

Tutte le persone iniziano il percorso riabilitativo con l’Arising Affect, indipendentemente che esse abbiano un degrado più o meno marcato oppure siano in condizioni abbastanza buone. Dopo tre mesi si procederà ad una rivalutazione della situazione funzionale del soggetto, e si prenderanno le misure per fare eventuali modifiche al programma. Nell’arco di questi tre mesi, comunque non dovranno mancare le osservazioni puntuali sul comportamento espresso dalla persona in questione, sul modo in cui ha risposto alle stimolazioni e su eventuali problematiche che possono sorgere. In un secondo tempo, le persone anziane che hanno le risorse sufficienti, passano a partecipare al Resources Race.

La scelta del lavoro in gruppo è consigliabile perché l’anziano trae senz’altro beneficio dalla relazione con altre persone che condividono più o meno i suoi stessi problemi. Ciò l’aiuta a riemergere dall’isolamento in cui tende a cadere, a rispolverare le sue competenze sociali e a provarne piacere. Non da ultimo, l’aiuta a rispettare le regole della convivenza comunitaria, rendendosi conto che esistono anche le esigenze degli altri e non soltanto le proprie. Infine, nel lavoro con i gruppi, si è notata anche l’insorgenza di un comportamento di aiuto reciproco nella risoluzione dei piccoli problemi proposti dal conduttore e ciò facilita l’insorgenza di un senso di appartenenza ad un gruppo in cui identificarsi, aumentando l’autostima individuale.

La sperimentazione del metodo P.Ro.M.O.T.® è stata condotta su 124 partecipanti (si veda la Tabella 1) di classe sociale medio-bassa, ospiti case di riposo e centri diurni, con decadimento funzionale da lieve a medio-grave. La percentuale di persone affette da demenza era del 67%. I risultati ottenuti (riportati nella Tabella 2) sono stati significativi: per quanto riguarda i pazienti affetti da deficit cognitivo lieve si è visto che il 79% ha mantenuto il proprio livello di performance cognitiva e solo il 21% ha registrato un calo attestandosi ad un livello medio-grave; nei pazienti affetti da deficit cognitivo medio-grave il 31% è riuscito ad arrivare ad un livello di deficit lieve-normale. Anche per quanto riguarda il tono dell’umore i risultati (Tabella 3) sono stati soddisfacenti; infatti il 30% dei pazienti lievemente depressi è arrivato alla normalità e il 60% ha mantenuto il proprio stato, mentre il il 33% dei pazienti gravemente depressi è riuscito ad arrivare alla normalità e l’11% è arrivato ad un livello di depressione lieve.

Tabella 1: statistica descrittiva del campione
Sesso: 96 femmine (77%) e 28 maschi (23%)

Tabella 2: Tabella di contingenza del chi quadro: confronto performances inizio/fine riabilitazione

Tabella 3: Tabella di contingenza del chi quadro: Confronto valutazioni tono dell’umore inizio/fine ciclo riabilitativo

In sintesi gli obiettivi dell’intervento riabilitativo sono un rallentamento del processo di deterioramento, un ripristino di un livello migliore della qualità della vita stimolando le capacità residue e il mantenimento dell’autosufficienza, dell’autostima e della dignità della persona.

Mauro Cauzer: Psicologo Psicoterapeuta, Trieste
Elisa de Morpurgo: dottore in Psicologia, Trieste


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