QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Barriere e opportunità all’implementazione di politiche di invecchiamento: una prospettiva comparata europea

Abstract

Nel presente lavoro si presentano i principali risultati del progetto “Overcoming the barriers and seizing the opportunities for active ageing policies in Europe”, che ha coinvolto 10 paesi europei. L’analisi delle barriere/opportunità alle politiche di anzianità attiva, elemento cardine del progetto, ha voluto mettere in luce le specificità socio-economiche, politiche, culturali e demografiche di ciascuna realtà territoriale. Sono stati identificati 3 livelli di confronto: territoriale, analizzando sia i singoli paesi che seguendo il classico modello Esping-Andersiano dei regimi di welfare capitalism; tra settori di policies, prendendo in considerazione il mercato del lavoro, la sanità e la previdenza e infine l’impatto sulla normativa delle retoriche sull’invecchiamento attivo e il livello di diffusione e incisività delle pratiche.

1.1 Introduzione

Nel dibattito politico e scientifico il concetto-ombrello di invecchiamento attivo ha manifestato una notevole evoluzione nel corso degli anni, a seconda delle istituzioni internazionali che ne hanno promosso l’implementazione, per poi mostrare oggi un certo avvicinamento di vision tra i diversi soggetti politici internazionali. Tra gli anni Ottanta e la fine dei Novanta, diversi organismi hanno sottolineato come per la promozione di tali politiche fosse necessario operare primariamente per una modifica del set di riferimenti culturali che rappresentano delle barriere all’idea di over come risorsa. Nella prima metà degli anni Duemila si osserva infatti una convergenza di concezioni dell’invecchiamento attivo tra diversi attori politici internazionali. Alcuni infatti avevano promosso la vita attiva più come inserimento degli over in attività e percorsi di realizzazione e solidarietà sociale al di fuori del mercato del lavoro (es. WHO), altri invece privilegiando la partecipazione all’interno del mercato (OEDC, Unione Europea) (D. Avramov, 2009). Attualmente, certamente sollecitati dalle preoccupazioni di ordine finanziario, i diversi policy actors tendono a privilegiare il secondo approccio, e nell’opinione comune l’invecchiamento attivo tende a coincidere col prolungamento dell’attività lavorativa, senza però perdere alcune ricchezze frutto della maturazione del concetto di active ageing da una vasta platea di attori politici chiave.

L’allungamento della vita, pur essendo in sé un evento positivo, possibile grazie al progresso delle conoscenze mediche, scientifiche e tecnologiche, è stato recepito dai governi e dai decisori politici, come evento problematico (soprattutto per le ricadute in termini finanziari e sanitari) più che come opportunità. Gli over nei paesi occidentali come è noto non solo aumentano in senso ‘assoluto’, ovvero sono numericamente più consistenti che in passato, ma anche in senso ‘relativo’, ovvero hanno un peso maggiore in termini di incidenza sul totale della popolazione. L’aumento dell’impatto della popolazione anziana, sia in senso assoluto che relativo, è condizionato dall’andamento di altri fenomeni demografici: la dimensioni iniziale delle generazioni, la fecondità, la mortalità e le migrazioni (Crisci, Heins 2005), per cui in ogni paese la configurazione delle componenti demografiche acquisisce pesi, forme e prospettive ben diverse. Eppure ci sono alcuni eventi demografici verificatisi in condizione di contemporaneità nella maggior parte dei paesi europei: una delle sfide che si presenta prossima è infatti quella di gestire, in modo socialmente e economicamente sostenibile, non solo l’aumento della componente anziana, ma l’imminente ingresso nell’età matura dei baby boomers degli anni Sessanta, che incideranno in modo consistente sulla composizione per età della popolazione. Come è noto, la comparazione di best practices a livello internazionale ha mostrato come per implementare politiche di invecchiamento attivo che abbiano una certa efficacia occorre improntarle con un certo anticipo affinché queste riescano ad agire1 (David P., Perri G.). Si tratta ovvero di mettere in campo politiche di active ageing che coinvolgano la popolazione adulta prima che essa diventi matura.

Le politiche di invecchiamento attivo risultano molto composite nella loro ideazione e programmazione, in quanto multidimensionali e complesse, per le quali è necessario mettere in campo modelli di intervento integrato. Nell’alveo di queste considerazioni si è strutturato il progetto Overcoming the barriers and seizing the opportunities for active ageing policies in Europe, finanziato dalla Comunità europea all’interno del V Programma Quadro, che ha coinvolto un consorzio di 10 paesi2. La struttura del progetto, di cui presentiamo i principali risultati di indagine, mira a capire il sistema di barriere/opportunità all’implementazione di politiche di active ageing in tre principali macro settori: mercato del lavoro, salute e sanità e previdenza. L’approccio di tale analisi ha permesso una visione articolata per aree tematiche degli elementi di vincolo e di opportunità, la cui restituzione costituisce il principale oggetto del presente lavoro.

 

1.2 Mutamenti demografici e evoluzioni del concetto di invecchiamento attivo

E’ l’ONU a approntare il primo contributo sistematico al concetto di invecchiamento attivo nel 1982, quando approva il Piano Internazionale di Azione sull’Invecchiamento in occasione dell’Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, dando risalto a un tema per lo più assente nelle agende politiche. In particolare veniva auspicata la messa a punto di strategie a favore degli over e promosso il rafforzamento della formazione continua come azione di contrasto all’obsolescenza delle competenze dei (lavoratori) maturi, per un allungamento della partecipazione al mercato del lavoro (Sidorenko A. 2001). Nel corso della seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, svoltasi a Madrid nel 2002, il Piano d’Azione approvato rifletteva una concezione dell’invecchiamento più ampia, basata su una strategia partecipativa dell’accesso al sapere, al lavoro, alla vita sociale, culturale e associativa, e soprattutto sulla responsabilizzazione del soggetto e sulla costruzione di percorsi di attivazione personali. L’allargamento del concetto di invecchiamento attivo ha giovato certamente del contributo sviluppato nel corso degli anni Novanta da parte di molteplici organismi internazionali. L’ONU, ha individuato nel 1991 cinque principi da perseguire nelle politiche per gli over (indipendenza, partecipazione, tutela, auto-realizzazione e dignità), e dichiarato il 1999 come anno mondiale delle persone anziane. Nello stesso anno il WHO ha dato una definizione di active ageing come processo di ottimizzazione delle opportunità nella vita sociale, lavorativa, civica, culturale e di promozione del benessere e della salute.

Negli anni Novanta si registra una maggiore attenzione a livello mondiale al ruolo degli over nella società, ampliando gradualmente l’angolo della visuale fino ad arrivare alla promozione di un approccio life-cycle che sostiene una prospettiva olistica del soggetto maturo: persona, cittadino, lavoratore. A questo si aggiunge anche una forte spinta data dalle sempre più rilevanti questioni di sostenibilità economica che le evoluzioni demografiche implicitamente recano con sé, e che portano con forza il tema dell’invecchiamento attivo nelle agende dei decisori politici, sia nella scala sovranazionale che nazionale. La riflessione acquista particolare vivacità in Europa, anche a seguito del percorso di integrazione in atto tra paesi membri, processo che poneva con urgenza la necessità di rispettare comuni vincoli e obiettivi di bilancio. E’ nella Comunicazione Verso un’Europa di tutte le età (Com (99) 221) del 1999 che vengono analizzate le conseguenze socio-economiche del progressivo invecchiamento della popolazione, che si saldano con il varo, avvenuto l’anno precedente, della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO). Ivi viene sostenuta la necessità di mettere in campo politiche di attivazione nel mercato del lavoro, concentrate prevalentemente sul lato dell’offerta. Vengono infatti promosse politiche che incrementano l’occupabilità dei soggetti e promuovono l’inserimento nel mercato del lavoro come primo elemento di inclusione sociale. Tali obiettivi sono perseguiti nell’Agenda di Lisbona redatta nel 2000, dove vengono fissati dei livelli di partecipazione al lavoro da raggiungere entro il 2010. Come è noto il tasso di occupazione dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni che ci si proponeva di raggiungere era del 50%. Se scorriamo le performance dei principali Paesi dell’Ue ci rendiamo conto di quanto tale obiettivo sia ancora lontano. L’analisi per genere, mostra inoltre tassi di partecipazione al lavoro molto diversi tra uomini e donne, con una bassa partecipazione delle seconde, soprattutto nei paesi dell’Europa Mediterranea e dell’Est: le performance migliori sono raggiunte dai paesi nordici e dalla Gran Bretagna (cfr. fig. 1).

 

Fig. 1- Tasso di occupazione dei lavoratori maturi per genere 2008

Fonte: NS Elaborazione dati Eurostat (lfsi_emp_a)

 

E’ interessante analizzare il peso che rivestono le diverse componenti (giovane, adulta, matura) sul totale degli occupati: da tale distribuzione si può infatti intuire la presenza di ostacoli all’ingresso del mercato (per i giovani), di meccanismi espulsione (maturi) e il perdurare di alcuni schemi occupazionali che privilegiano l’inserimento e il mantenimento nel mercato della componente adulta. Osservando la distribuzione per fasce d’età (cfr. fig. 2), rileviamo che per in alcuni paesi sia per i giovani che i maturi si registrano bassi tassi di occupazione (Polonia, Italia, Belgio, Francia, Grecia e Spagna) a fronte di una forte partecipazione delle classi centrali. Altri paesi mostrano invece un quadro occupazionale ben rappresentato nella componente giovane e adulta con una minore partecipazione al lavoro degli over (Austria), mentre altri evidenziano una partecipazione relativamente armonica per classe d’età (Olanda, Inghilterra, Danimarca).

 

Fig. 2 – Tasso di Occupazione per classi d’età, 2007

Fonte: NS Elaborazione dati Eurostat (lfsi_emp_a)

 

Occorre naturalmente considerare però oltre al dato di stock, anche la variazione della partecipazione dei lavoratori over al mercato del lavoro. Al di là dei dati statici, che premiano i paesi che hanno sedimentato politiche e performance virtuose, se osserviamo la variazione dei tassi di occupazione dei lavoratori nella classe d’età 55-64 tra il 2002 e il 2007, vediamo come i paesi dove gli occupati maturi sono cresciuti maggiormente sono Germania e Austria, che non emergevano come paesi particolarmente virtuosi nella figura precedente. Si consideri inoltre come hanno diverso significato performance meno positive, come nel caso del Portogallo e della Grecia, dove la partecipazione degli over non raggiunge livelli in partenza medio-alti (fig. 2) né se ne osserva un guadagno significativo nel quinquennio (fig. 3), rispetto ad esempio al basso incremento registrato in Danimarca e Svezia (fig. 3), dove al contrario il dato iniziale rispecchiava un alto livello di inserimento dei maturi nel mercato (fig. 2).

Fig. 3 – Variazione dei tassi di occupazione dei lavoratori 55-64, 2002/2007

Fonte: NS Elaborazione dati Eurostat (tsiem010 and tsiem020)

 

 

Nel dibattito politico-istituzionale si è quindi progressivamente rafforzata l’idea (e la necessità, nonché la possibilità) di allungare l’età lavorativa. Nel corso del Consiglio di Barcellona, nel 2002, venne infatti aggiunto come ulteriore condizione cardine nell’implementazione dell’invecchiamento attivo, quello della qualità del lavoro, accanto a quelli già individuati al Consiglio di Lisbona3, come elemento strategico per determinare il prolungamento dell’attività lavorativa e il rinvio dell’età di pensionamento.

Nella figura 4 sono messe a confronto l’età medie di pensionamento in 8 paesi. L’andamento nel periodo 2001/2008 segnala una forbice piuttosto ristretta di guadagno di anni attivi per ciascun paese. La Norvegia, l’Olanda e la Gran Bretagna risultano avere una età media di pensionamento più elevata degli altri paesi considerati, tra i 63 e i 64 anni, mente al di sotto della media europea troviamo Italia, Francia e Polonia, tra i 59 e i 61 anni. Si consideri però che la Polonia presenta l’innalzamento più significativo dell’età di ritiro dal lavoro nel periodo considerato.

Fig. 4 – Età media di uscita dal mercato del lavoro 2001-2008

Fonte: NS Elaborazione dati Eurostat

 

Considerando il dato medio europeo, si nota come l’età di pensionamento è compresa tra i 61 e i 62 anni. Se confrontiamo tale dato con l’aspettativa media di anni liberi da disabilità dei 65enni, quasi 8 anni4, si arriva all’evidenza che ci si può aspettare di passare in buona salute circa 10 anni dopo l’uscita dal mercato del lavoro.

Nella Relazione 2008 sulla demografia: affrontare i bisogni sociali in una società che invecchia [SEC(2008) 2911] si evidenzia efficacemente il rapido invecchiamento demografico cui l’Europa va incontro negli anni a venire. Nei prossimi 25 anni si stima un aumento annuo di 2 milioni di individui over 60, a cui si affiancherà dal 2014 una perdita di 1-1,5 milioni di soggetti in età lavorativa.

Paolo Calza Bini: professore ordinario di Sociologia Economica all’Università La Sapienza di Roma
Silvia Lucciarini:ricercatrice di Sociologia Economica all’Università La Sapienza di Roma
Pur condividendo i contenuti dell’articolo, i parr. 1.1 e 1.7 sono redatti da Paolo Calza Bini e i parr. 1.2, 1.3, 1.4, 1.5 e 1.6 da Silvia Lucciarini
2 Crf. Consulta tra gli altri ‘Valutazione delle politiche per l’invecchiamento attivo: verso una strategia integrats”, Fondazione Brodolini 2009
3 I Paesi coinvolti nell’indagine sono stati: Austria, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Polonia, Norvegia, Repubblica Ceca, Francia e Italia
4 Che ricordiamo essere: gli incentivi alla permanenza nel mercato del lavoro, alla promozione del life long learning, della sicurezza sul luogo di lavoro e l’incentivo di forme flessibili di organizzazione del lavoro.
5 Dato Eurostat 2005

 


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