Intermezzo: Un sogno (Tembelia, dea della pigrizia e della noia)
Ecco quello che mi è capitato di sognare una notte, all’inizio del mio lavoro alla Montecatini.
In montagna, su di un’altura, dietro a una spessa coltre di fumo, intravvidi una figura femminile che mi parlò così:
“Io sono Tembelia, dea della pigrizia e della noia. Appartengo all’Olimpo perché sono una Dea. Ma gli esseri umani che pur mi conoscono assai bene nell’intimo, non mi hanno mai riservato gli onori dovuti al mio rango celeste.
Non esiste un solo tempio sulla terra dove si celebri la mia gloria, anche se la mia officina è più grande di quella di Vulcano e vi si producono delle frecce molto più aguzze e acuminate di quelle di Minerva. Tutti sanno che il mio richiamo è più insidioso di quello di Circe e che l’abbraccio con cui cingo chi mi è fedele è più soave di quello di Giunone.
Giove stesso mi teme e sa che senza di me non avrebbe mai creato l’Olimpo così com’è oggi, e nemmeno tutta la terra. Mentre operava, è ricorso a tutti gli espedienti possibili ed immaginabili per non doversi sottomettere al mio influsso assoluto, come quando si trasformò in toro per rapire Europa.
In apparenza, assomiglio molto ad Afrodite, dea dell’amore e mia odiata cugina. Ma in realtà le mie catene sono più forti di quelle che catturano gli innamorati e soprattutto riducono in schiavitù coloro che non sanno amare. Nessuno riesce a sfuggire per sempre ai miei richiami. Attendo che ogni mente umana inizi a vacillare e scocco una freccia che spezza la sua volontà ed il suo spirito.
Talvolta, invece di fuggire, numerosi mortali mi accolgono con gentilezza e sollecitudine, implorano il mio arrivo ed invocano la mia benedizione. Credono di poter cogliere un attimo di ebbrezza, pregustando l’orgia che conduce alla morte. Ma in quei momenti, concedo loro soltanto la piena sensazione del peso delle mie catene. Non so amare, stimolare la vita in quelli che si affidano a me. Il solo rito che si possa celebrare nei miei templi – che non si trovano sulla terra ma nell’animo di ognuno – è quello del rifiuto: mi si esalta respingendomi. È il solo sacrificio che riesce a toccarmi. Mi si può calmare soltanto scacciandomi. Non so accettare alcun altro sacrificio che quelli che mi rifiutano. Se qualcuno vuole sgozzare un agnello sul mio altare, il giorno seguente dovrà portarmi una giumenta intera, e il giorno dopo dovrà portarmi tutto sé stesso.
Ecco perché la Dea della pigrizia e della noia, ecco perché Tembelia non ha templi votivi sulla terra se non quelli dei suoi miscredenti.
È così che in tutti i moti di rifiuto io, Tembelia, ho costruito il mondo.
Non mi trovavo alle spalle di chi come Orazio – il poeta latino – ha scritto un’ode intera per esaltare l’otium, cioè i momenti in cui i mortali fermano per un istante il corso della loro vita per sedersi sotto un albero, sul bordo della strada, a riflettere sulle cose e a contemplare il mondo.
Seduto in meditazione sotto un albero, Siddharta è diventato Budda. Contemplando l’albero e vedendo una mela cadere, Newton ha fatto progredire la scienza dell’universo. Quei momenti non hanno nulla a che vedere con la pigrizia, e non sono neppure momenti di noia.
Presso di me, Tembelia, c’è il vuoto, la noia totale, io vi indico la strada che non dovete prendere. Nascondete gli sguardi e la mente alla mia presenza, così come l’hanno fatto gli altri Dei dell’Olimpo.”