Capitolo 4: Nel mondo della ricerca
“L’Inghilterra è un’isola!” Con questa esclamazione, pronunciata il 14 gennaio 1963, Charles de Gaulle metteva fine al primo tentativo della Gran Bretagna di negoziare il suo ingresso nell’Europa del Mercato Comune. Indirettamente, ma in maniera del tutto efficace, questa stessa frase è stata determinante nel provocare un cambiamento decisivo nella mia carriera professionale. Me ne resi conto molti mesi dopo.
Arnold Hatter lavorava a Ginevra come ricercatore all’Istituto Battelle. Era un laboratorio che comprendeva diverse centinaia di collaboratori: di questi, quelli effettivi sarebbero stati circa un migliaio all’inizio degli anni settanta. Il centro faceva parte di un’istituzione più estesa, il Battelle Memorial Institute (BMI), fondato all’inizio degli anni trenta grazie a un fondo di circa due milioni di dollari lasciato in eredità da Gordon Battelle che era, nell’industria dell’acciaio statunitense, l’equivalente di Krupp in Germania o di Schneider in Francia.
L’Istituto Battelle che aveva iniziato la sua attività a Columbus, in Ohio, aveva come missione quella di mettersi a disposizione dell’industria, ma anche di altre istituzioni private o pubbliche, per eseguire delle ricerche a prezzo di costo. I risultati e le licenze appartenevano ai clienti. Ma potevano verificarsi delle eccezioni quando una buona idea non riusciva a trovare un finanziatore per la ricerca e bisognava allora correre il rischio di svilupparla in proprio: fu per esempio il caso, all’inizio, di quella che ha preso il nome di xerografia (macchine fotocopiatrici della Xerox).
È l’Istituto Battelle che ha inaugurato l’era della ricerca tecnica ma anche scientifica ed economica a contratto. A partire dal settore dell’acciaio, le attività si sono estese, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, a tutti i settori della tecnologia, dal cioccolato solubile ai pannelli solari passando per i reattori nucleari surregeneratori. Venivano trattati dagli 8000 ai 10000 progetti l’anno, seguiti da circa 6000 ricercatori in quattro grandi laboratori, come a Ginevra, più una serie di altri piccoli, per esempio nel campo dell’oceanologia. Oggi, la struttura di Battelle è cambiata – si fa poca ricerca in Europa – mentre negli Stati Uniti l’Istituto conta ancor oggi più di 6000 ricercatori.
Ma ritorniamo ad Arnold Hatter. Era un Inglese dotato di una grande coscienza sociale. La frase di de Gaulle l’aveva colpito nel cuore e nello spirito: sì, era vero che l’Inghilterra è un’isola e che in un’Europa in formazione questo diventava un peccato… Il generale de Gaulle aveva ragione, bisognava fare ammenda, bisognava costruire dei ponti, forse addirittura colmare il canale della Manica…
Fu così che il signor Hatter si mise a scrivere delle lettere ai movimenti europei. Cercava dei contatti e delle azioni da intraprendere per rimediare a quanto aveva detto il Generale e che lui personalmente trovava giustificato.
Una di queste lettere arrivò alla segreteria del Movimento Federalista Europeo a Parigi e mi fu inoltrata a Zurigo. Feci una telefonata al suo autore e lui venne a trovarmi. Ero divertito e arrabbiato al tempo stesso: per i federalisti dell’epoca, de Gaulle non era affatto un Europeo esemplare. Si contava piuttosto su un contributo della Gran Bretagna e si sperava che, grazie alla sua tradizione democratica, avrebbe potuto contribuire a trasformare le istituzioni di Bruxelles come il Parlamento e l’Esecutivo (la Commissione) attraverso delle elezioni dirette.
Tentai quindi di alleviare il senso di colpa di Arnold Hatter, ma non fu facile. In cambio, il discorso deviò sul suo lavoro di economista a Battelle Ginevra nei settori interessati alle nuove tecnologie. Nel complesso, la ricerca economica riguardava meno del 5% dell’insieme delle attività dell’Istituto e una parte importante era collocata in Svizzera, compreso il settore dei modelli macroeconomici (input-output). Da parte mia, gli ho descritto la mia attività nell’industria chimica.
Da ciò si convinse che dovevo entrare anch’io a Battelle e perseguì questo scopo per più di un anno. Ero d’accordo ma proprio quell’idea di Europa che lo aveva condotto da me, fu inizialmente un ostacolo al mio consenso.
Infatti, Arnold Hatter cominciò col mandare un memorandum al suo superiore di gruppo e di dipartimento per propormi come collaboratore. Fui invitato a Ginevra per un primo colloquio: tutto sembrava filare liscio fino a quando incontrai il capo del dipartimento, un Ginevrino che portava il cognome di una famiglia iscritta nella storia della città, e che ho incontrato qualche anno dopo negli Stati Uniti quando era diventato consigliere scientifico dell’Ambasciata svizzera. L’ho rivisto successivamente più volte, in maniera amichevole.
All’epoca dell’incontro, la Comunità Europea dei Sei era accusata di essere uno strumento protezionista, contrario alle regole e allo spirito degli accordi di libero scambio. L’AELE (Associazione Europea di Libero Scambio) fungeva da contrappeso dell’Istituzione di Bruxelles. In molti paesi e soprattutto in Svizzera, il padronato temeva l’impresa “burocratica” europea per molteplici ragioni.
Fu così che quando il capo del Dipartimento si interessò alle mie attività europee, ai miei rapporti col professor Rieben a Losanna il quale col suo Centro di Ricerche Europee era il contatto di Jean Monnet, capii che le circostanze non mi erano favorevoli. Non si può aver la fortuna di giocare ai pionieri senza andare incontro a degli inconvenienti. Rientrai quindi a Zurigo a mani vuote.
Circa dieci mesi più tardi, ricevetti una proposta di assunzione da Battelle. Qualche giorno prima, era stato nominato un nuovo capo del Dipartimento e Arnold Hatter era tornato all’attacco. Aveva perso definitivamente con de Gaulle ma aveva vinto con me. Magra consolazione.