QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Capitolo 2: Glorie e disastri nell’industria chimica (1959-1965)

*** Il primo lavoro a tempo pieno …
“Signore, Lei è un supercompensato”. Tale era stato il verdetto di una “psicologa del lavoro” che mi aveva sottoposto a una lunga serie di test in quell’inizio di novembre 1959, in via della Moscova a Milano. Mi ricordo in particolare della discussione sulle “macchie di Rorschach”. Vi fanno vedere un foglio piegato in due: da una parte viene versato dell’inchiostro, poi si chiudono i lati in modo da ottenere una macchia speculare sulle due facce del foglio. In quello scarabocchio nero avevo ravvisato l’atmosfera minacciosa dell’Olimpo tedesco, il Walhalla che fa da sfondo all’epopea dei Nibelungi di Wagner. Avevo descritto un’ampia grotta con Wotan, il capo degli dei, e le Walkirie. L’ispirazione particolare nel racconto mi veniva da un fumetto appena uscito a quell’epoca, più cupo e meno divertente di quanto sarebbe stato Asterix qualche decennio dopo ma comunque abbastanza spassoso da stimolare la mia fantasia.
La psicologa aveva pronunciato quelle parole in tono piuttosto secco, guardandomi un po’ di traverso. L’incomprensione emersa durante il mio incontro con un altro psicologo a proposito del chilo di fieno e del chilo di ferro stava forse per ripetersi? Fortunatamente, no. Qualche giorno più tardi ricevetti la lettera di assunzione dalla Montecatini la cui direzione per le vendite all’estero si trovava proprio dall’altro lato della strada. Poco dopo, iniziai il mio primo lavoro ufficiale, il 15 novembre.
La Montecatini era la grande impresa chimica italiana di quell’epoca. Come una vecchia signora, esisteva già da tempo e aveva incorporato numerose attività minerarie delle quali rimangono ancora oggi delle tracce straordinarie: bacini e villaggi abbandonati nel sud-est della Sardegna, che fanno a gara con le città fantasma nel Far West degli Stati Uniti ed altrove.
Così come tutte le altre grandi società, aveva costruito una parte della sua potenza nella prima metà del XX secolo, sfruttando un brevetto per la fabbricazione dell’acido nitrico.
Allora, la Montecatini sognava di mettere a segno un nuovo colpo, simile a quello riuscito alle grandi compagnie chimiche europee ed americane quando avevano creato dei nuovi prodotti quali il nylon (il “poliammide” nel 1938), il poliestere, le fibre acriliche, il PVC (cloruro di polivinile), il polietilene ed altri. Arrivando per primi sul mercato con queste novità – la maggior parte uscì nei vent’anni seguenti la fine della seconda guerra mondiale – si poteva far fortuna, visto che il margine tra il prezzo di fabbrica al chilo e quello di vendita poteva essere da uno a dieci e anche di più.
Evidentemente, bisognava tener conto dei costi della ricerca e soprattutto essere certi che i nuovi prodotti fossero sufficientemente testati e sicuri per un largo uso industriale, tanto a livello del consumatore finale quanto, e particolarmente, a quello della trasformazione intermedia. Era infatti necessario poter convertire questi materiali in fibre, fogli, bicchieri per lo yogurt, recipienti, sacchetti di ogni tipo, adatti alla loro normale funzione. Da un lato, questi nuovi prodotti avevano permesso a Du Pont di Nemours, a Péchiney-Saint Gobain, ICI e Courtauds, a BASF, a Monsanto di diventare le grande industrie della chimica: un fenomeno simile si è ripetuto parzialmente, da una quindicina d’anni a questa parte, nel settore dell’informatica e della telefonia. Dall’altro, gli insuccessi non erano mancati per varie ragioni: alcuni processi di fabbricazione non davano i risultati sperati (come alla Montecatini, con il passaggio dall’acetilene all’etilene) e molto spesso la causa del fiasco era da imputare a un’incompetenza manageriale oltre che a un’imperizia tecnica.
Diversi progetti sono così caduti nella trappola causata dal fatto che il tempo necessario allo sviluppo di un nuovo prodotto, dal momento in cui esso viene concepito nel laboratorio di ricerca a quello in cui quella medesima sostanza viene riprodotta su scala industriale per migliaia e addirittura per milioni di volte, era stato sottovalutato. Questo passaggio che, dall’esterno, durante gli anni cinquanta, è stato talvolta considerato come importante ma non essenziale, è determinante e in certi casi può costituire fino al 90% dei costi di un programma di ricerca. Nel periodo in cui ho fatto la mia esperienza, anche gli specialisti di numerose grandi società chimiche hanno faticato per non sbagliare, al punto di dover sopportare a volte pesanti conseguenze finanziarie.


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