Strategie possibili d’attivazione per lavoratori maturi precocemente espulsi dall’occupazione dipendente
1. Introduzione
La ricerca in ambito demografico, da oltre un ventennio, ha evidenziato che i paesi ad economia più sviluppata stanno attraversando una nuova fase demografica, identificata come “seconda transizione demografica”, che ha tra le sue principali implicazioni il cambiamento della struttura per età della popolazione con una crescita del peso relativo delle classi d’età più anziane. L’innalzamento della speranza di vita media, e in particolar modo l’allungamento del periodo di vita in buona salute e in piena autonomia, hanno profonde implicazioni per l’organizzazione sociale. Tra queste la ricerca sociale ha evidenziato la ridefinizione dei tempi sociali e dei ruoli legati alle età. Riprendendo la nota tesi di Peter Laslett (1989), dall’allungamento della vita media in buon salute emerge una “nuova mappa della vita” in cui, limitandoci alle età anziane, si rilevano nuovi tempi di vita che si collocano tra la dismissione dei ruoli produttivi (nel mercato del lavoro) e riproduttivi (in ambito familiare e domestico) delle età centrali, e la perdita definitiva dell’autonomia personale.
Si tratta di tempi sociali inediti, in cui si osserva contemporaneamente la destabilizzazione dei percorsi di fine carriera e la ridefinizione dei meccanismi di transizione verso il pensionamento con ampi margini di incertezza sui ruoli, le identità e i processi di riconoscimento sociale. Nella terza età si sperimentano processi di innovazione sociale complessi che, tuttavia, ruotano intorno alla ridefinizione dei meccanismi che regolano la transizione dal lavoro al pensionamento, dalla vita attiva alla quiescenza. Il dibattito più ampio e articolato su questa tematica ha riguardato, però, le conseguenze economiche della transizione demografica, focalizzando l’attenzione sulla sostenibilità di medio-lungo periodo dei sistemi di protezione sociale.
A tale proposito Giovanni Battista Sgritta parla di una “rivoluzione inavvertita” sottesa alla transizione demografica, sostenendo che “qualunque alterazione della struttura per età della popolazione è destinata a riflettersi sul sistema di regole che definisce la possibilità di agire, di scambiare, di partecipare alla vita politica, di salvaguardare i propri interessi e i rapporti all’interno della famiglia […] L’invecchiamento demografico ha introdotto una profonda “asimmetria” tra la distribuzione dell’età e il quadro simbolico e normativo che, fino ad allora, aveva regolato i rapporti di scambio e di solidarietà tra le classi di età” (1993:24), rendendo, quindi, necessario un riassetto in generale dei meccanismi di welfare e, in particolare, una riforma del sistema previdenziale. Nel caso italiano, a partire dai primi anni Novanta, si è assistito ad un lungo e articolato processo di riforma del sistema previdenziale pubblico1, coerente con le indicazioni dell’Unione Europea, che ha avuto tra i suoi obiettivi principali quello di ritardare il momento del pensionamento, operando sia per l’innalzamento dei criteri minimi di accesso alla pensione, sia per la riduzione dei percorsi istituzionale di uscita precoce dall’occupazione2. Le riforme pensionistiche, maggiormente sensibili alla sostenibilità macroeconomica della previdenza pubblica, hanno adottato un approccio riduzionista al tema del lavoro e dell’occupazione in età avanzate. Nel mercato del lavoro, infatti, non si è registrato un corrispondente allungamento delle carriere lavorative, anzi per alcuni gruppi occupazionali, maggiormente esposti all’invecchiamento funzionale, sono emersi nuovi rischi di esclusione sociale legati all’uscita precoce involontaria dal mercato del lavoro non più garantita da protezioni di natura previdenziali.
Nell’ottica del prolungamento della partecipazione al mercato del lavoro in età avanzate, più in generale, le imprese, il sistema delle relazioni industriali e le istituzioni pubbliche che operano nell’ambito delle politiche attive del lavoro, spesso si sono trovate impreparate per gestire l’invecchiamento della forza lavoro e far fronte al fenomeno dell’uscita precoce dall’occupazioni. Per affrontare le sfide connesse alla transizione demografica, in particolare per governare un processo complesso di innovazione sociale delle istituzioni di welfare e di regolazione del mercato del lavoro, su spinta dell’Unione Europea, è stata adottata la strategia dell’invecchiamento attivo che si basa su un approccio globale al tema dell’invecchiamento incentrato sulla nozione chiave di “attivazione” (Barbier, 2005). A partire dal Consiglio di Lisbona del 2000 e successivamente anche nell’elaborazione della “Strategia di Lisbona rinnovata” del 2005, la nozione di attivazione ha rappresentato uno dei pilastri degli indirizzi di politica economica e sociale dell’Unione Europea, orientando i governi verso politiche di stimolo alla crescita globale dei tassi di occupazione, con obiettivi specifici per i lavoratori più anziani.
L’invecchiamento attivo, insistendo sull’attivazione degli anziani nel mercato del lavoro, ha sviluppato un approccio istituzionale adattivo con l’obiettivo di garantire più a lungo possibile la salute, l’indipendenza e la produttività sociale delle persone, ritenendo che, come scrive Alan Walker, “l’invecchiamento attivo potrebbe fornire un mezzo importante per fare in modo che la demografia non diventi un ostacolo allo sviluppo sostenibile, per prevenire dei cambiamenti radicali ai sistemi di protezione sociale e per evitare qualsiasi conflitto generazionale e preservare il modello sociale europeo” (2005, p. 1). All’interno della strategia dell’invecchiamento attivo, inoltre, si realizza una più coerente convergenza tra le riforme del sistema previdenziale e le politiche di attivazione delle persone avanti con gli anni, soprattutto nell’ambito dello sviluppo del cosiddetto “quarto pilastro” (Reday-Mulvey, 2007), ovvero dell’incentivo dell’occupazione delle persone avanti con gli anni, in alcuni casi facendo ricorso a forme di occupazione a tempo parziale, o a modelli non standard di remunerazione.
Nel dibattito pubblico e scientifico, tuttavia, ha prevalso l’analisi dei costi dell’invecchiamento, mentre solo di recente si stanno sviluppando nuovi percorsi interpretativi che valorizzano la terza età come nuova fase produttiva della vita nell’ambito dell’economia o delle attività di utilità sociale. Si fa spazio in questo ambito di riflessione la concezione dell’anziano in buona salute come una risorsa sociale e non più come un costo. Nella prospettiva dell’invecchiamento attivo diventa cruciale l’analisi del rapporto tra età e lavoro e della partecipazione al mercato del lavoro delle persone avanti con gli anni, prima e dopo il superamento della soglia del pensionamento.
Il nostro lavoro si colloca in questa prospettiva e, sulla base di alcune ricerche di campo3, si sofferma sulla condizione occupazionale dei lavoratori più anziani nel mercato del lavoro italiano, in considerazione dei meccanismi istituzionali di regolazione della transizione dall’occupazione al pensionamento (paragrafo 2) e delle pratiche aziendali di gestione delle risorse umane in relazione all’età, con particolare riferimento al settore manifatturiero (paragrafo 3). Definito il quadro di riferimento, sono analizzate le possibile strategie di attivazione nel mercato del lavoro italiano di persone ultracinquantenni che hanno perso l’occupazione, o che si trovano in una condizione di inattività, precocemente avviati in un percorso di scivolamento verso la pensione (paragrafi 4, 5 e 6). A queste si aggiungono alcune considerazioni di sintesi, presentate in conclusione dell’articolo.
2. Invecchiamento e occupazione per i lavoratori più anziani in Italia
L’invecchiamento demografico in Italia è stato più rapido ed intenso rispetto agli altri paesi europei: nell’ultimo ventennio, tra il 1988 e il 2008, l’incidenza percentuale delle persone con 50 anni e oltre è passata dal 32% al 39% della popolazione totale, con una crescita che ha riguardato soprattutto gli over 65. Confrontando i dati italiani con quelli dei paesi dell’EuroArea-154, si rileva che in Italia l’incidenza degli over 50 era maggiore all’inizio del periodo considerato (32% rispetto al 30,8%) ed è poi cresciuta più rapidamente che negli altri paesi nel ventennio successivo (+21% rispetto a +18%). Se inizialmente questo fenomeno era attribuibile in maggior misura alla riduzione del tasso di natalità, le tendenze più recenti evidenziano che è piuttosto l’allungamento della speranza di vita media a determinare la crescita del peso relativo delle classi d’età più anziane sul totale della popolazione (Baldi e Cagiano de Azevedo, 2005).
Nei prossimi decenni tale fenomeno sarà ancora più sensibile, come evidenziano le proiezioni demografiche ufficiali elaborate dall’Istat, da cui emerge che l’incidenza percentuale delle persone con età di 50 anni ed oltre sarà circa del 40% nel 2010 e aumenterà fino a coprire la metà della popolazione nel 20505. Rispetto a queste tendenze demografiche, i principali indicatori del mercato del lavoro evidenziano, nonostante un’inversione di tendenza degli ultimi anni, un basso livello occupazionale nelle classi d’età mature, riproponendo con forza una situazione che è stata definita come il “paradosso dell’invecchiamento funzionale in società demograficamente senescenti” (Carrera, Mirabile, 2000: 14). Guardando alle informazioni statistiche disponibile, dai dati Eurostat6 si osserva che nel 2007 il tasso di occupazione in Italia nella classe d’età 55-64 era pari al 33,8%, un valore molto più basso della media europea, sia che si consideri l’EuroArea-15 (46,5%), sia quella dell’Unione Europea allargata a 27 (44,7%). Questi dati rappresentano una situazione di criticità, se si tiene anche conto che la Commissione Europea nel Consiglio di Stoccolma del 2001, aveva indicava per il 2010 l’obiettivo di raggiungere un tasso di occupazione nella classe d’età 55-64 anni pari o superiore al 50%. Guardando indietro, e confrontando il tasso di occupazione del 2007, con il valore registrato dieci anni prima nel 1997, si rileva, comunque, una crescita dal 28% al 33,8%, con un incremento che è stato superiore a quello che si è registrato per l’intera popolazione di 15 anni ed oltre (che è passato 41,7% al 45,9%). Contemporaneamente, però, si è leggermente ridotto il tasso di occupazione per le persone oltre i 65 anni che dal 3,8% è passato al 3,2%.
Tornando ai dati del 2007 (Istat, 2009), nella classe d’età 55-64 anni, la popolazione non attiva rappresentava ben il 65% del totale (ovvero 4,6 milioni su una popolazione 55-64 anni di 7,1 milioni): tra gli inattivi gli aggregati più rilevanti erano in primo luogo quello delle persone già in pensione, pari al 47%, poi il gruppo di chi dichiarava di “non aver interesse per il lavoro”, pari al 27%, un 9% di persone con problemi di salute e, infine, i lavoratori scoraggiati (5%), vale a dire coloro che convinti di non trovare lavoro, hanno smesso la ricerca attiva di un’occupazione. Analizzando il tasso di disoccupazione si rilevava un valore molto basso (2,4%), ma se solo si provasse a sommare ai lavoratori in cerca di occupazione, quelli scoraggiati, il tasso di disoccupazione salirebbe al 10,3%. In sintesi, tra i 55 e i 64 anni in Italia le persone occupate sono poche rispetto al livello medio europeo, ciò è il risultato dell’uscita precoce dal mercato del lavoro, in primo luogo per il il pensionamento precoce7, in secondo luogo da un’elevata difficoltà ad incontrare la domanda di lavoro superata la soglia dei 50 anni (se non prima) e infine, in misura minore, per una demotivazione delle persone verso il lavoro.
Questo quadro statistico di sintesi evidenzia che in Italia persiste il fenomeno dell’uscita precoce dal mercato del lavoro, con una rilevanza maggiore della quota di persone che in età avanzata transita nella popolazione non attiva. Utilizzando l’approccio della Political Economy of Ageing (Kohli, et al. 1991; Maltby, et al., 2004), alcune analisi recenti (Mirabile et al., 2006) suggeriscono che ciò è dovuto all’inerzia da parte del sistema economico e sociale italiano nell’adottare un approccio integrato per le politiche d’invecchiamento attivo. Se, infatti, da una parte le riforme previdenziali hanno puntato a ritardare il pensionamento, dall’altra, nel mercato del lavoro risultano ancora poco sviluppate le azioni rivolte al sostegno dell’occupazione delle persone avanti con gli anni.
Il sistema di protezione sociale e le pratiche di negoziazione tra la parti sociali, inoltre, continuano ad operare nella direzione della difesa passiva dei lavoratori precocemente espulsi dall’occupazione, nonostante tale strategia risulti applicabile ad un numero sempre più ridotto di lavoratori maturi, provenienti dalla grande impresa industriale. Utilizzando lo schema elaborato da Anne-Marie Guillemard (2003), si osserva uno slittamento del caso italiano da un modello originario in cui, a fronte della limitatezza delle politiche attive del lavoro, esisteva comunque un’elevata protezione dal rischio di disoccupazione, verso un nuovo modello caratterizzato da una debolezza su entrambe le dimensioni (Figura 1).
Guardando all’ultimo decennio, infatti, rispetto alle politiche attive del lavoro, a livello nazionale, i lavoratori con oltre 50 anni privi di un’occupazione o in procinto di perderla vengono considerati “lavoratori svantaggiati” e, pertanto, possono usufruire del contratto di inserimento8, oltre ad essere tutelati contro pratiche discrimantorie9. In relazione al decentramento delle politiche per l’occupazione e dei servizi per l’impiego, il quadro delle iniziative si presenta molto più articolato, tuttavia, le ricerche in corso evidenziano che a livello regionale nei documenti di programmazione il tema dei lavoratori maturi non trova generalmente un proprio spazio specifico, ma si colloca piuttosto all’interno di misure che riguardano una platea più ampia nell’ambito della formazione e delle pari opportunità (Folini, et al., 2004; Gilli e Marocco, 2006; Mirabile, et al., 2005; 2006).
Figura 1: Tipologie di traiettorie sul mercato del lavoro dei lavoratori anziani in funzione del rapporto tra le politiche del lavoro e quelle di protezione sociale
Fonte: Guillemard (2003: 74); nostro adattamento.
Per quanto riguarda, invece, la copertura dal rischio di disoccupazione, fino alla metà degli anni Novanta, oltre al prepensionamento, esisteva un ventaglio di percorsi istituzionali di uscita tutelata dal mercato del lavoro (pathways out), costruiti attraverso l’impiego di ammortizzatori sociali e di incentivi aziendali, rivolti perlopiù ai dipendenti delle grandi imprese industriali. In termini quantitativi, rileva l’Istat nel secondo semestre 2006, circa il 9% dei lavoratori in pensione hanno usufruito di un incentivo per andare in pensione anticipatamente (Istat, 2007b). Queste strategie sono state agevolate da un modello di relazioni industriali corporative e dalla disponibilità dell’attore pubblico ad impiegare risorse economiche e istituti previdenziali al sostegno dell’uscita anticipata dal mercato del lavoro, con la garanzia di un certo livello di reddito, concordato con le parti sociali.
Nella fase attuale si registra, però, una crisi di queste pratiche di contrattazione per almeno tre ordini di motivi: (a) il primo legato alle tendenze demografiche: un rallentamento del turnover per l’assottigliarsi delle coorti giovanili della forza lavoro in ingresso nel mercato del lavoro; (b) il secondo riguarda la ristrutturazione del welfare: la riduzione dei percorsi istituzionali di uscita precoce dal mercato del lavoro e la preferenza di strumenti di attivazione, rispetto a misure passive di garanzia del reddito; (c) il terzo legato all’evoluzione della composizione occupazionale: l’aumento dei lavoratori maturi espulsi dalle piccole e medie imprese ai quali non si applicano i tradizionali istituti di protezione sociali utilizzati per lo scivolamento tutelato verso la pensione. L’analisi evidenzia che si rende necessario un riequilibrio tra le misure di protezione sociale e quelle di attivazione nel mercato del lavoro, sia per tener conto dei soggetti “non attivabili”, sia per qualificare le politiche attive del lavoro attraverso l’elaborazione di una strategia specificamente rivolta alla permanenza delle persone nel mercato del lavoro nonostante l’avanzare degli anni. L’approccio dell’invecchiamento attivo richiede, inoltre, che vi sia un forte coordinamento tra le diverse aree di policy altrimenti – come avverte Massimo Paci – “questi interventi sono destinati ad avere scarsi risultati, se non fanno parte di un complesso integrato di politiche, che affrontino anche i problemi del mantenimento della salute, della tecnologia e dell’organizzazione aziendale e, più in generale, della cultura diffusa tra i lavoratori, i datori di lavoro e i sindacati nei confronti dell’età anziana” (2005: 174). Risulta, quindi, rilevante analizzare – sul piano microeconomico – le strategie d’azione delle imprese e dei lavoratori e i condizionamenti esistenti nei diversi contesti locali d’azione.
Francesco Pirone: Ricercatore, Dipartimento di Sociologia e Scienza della Politica, Università degli Studi di Salerno, E-mail: fpirone@unisa.it
1 Si fa qui riferimenti, in particolare, alle riforme del sistema previdenziale pubblico contenute nel d. lgs. 503/92 (Riforma Amato), nella l. 335/95 (Riforma Dini), nella l. 449/97 (Riforma Prodi) e nella più recente l. 234/2004 (Riforma Berlusconi).
2 L’Italia ha seguito uno schema di riforma previdenziale simile a quello adottato nella maggior parte dei paesi dell’Europa continentale basato sull’azione congiunta di penalità e incentivi: da una parte sono state inasprite le condizioni minime di accesso al pensionamento e, dall’altra, con l’introduzione del sistema contributivo sono state ridotte le rendite pensionistiche per chi anticipa l’uscita dal mercato del lavoro. Meno utilizzati sono stati schemi di pensionamento graduale attraverso il mix di part-time di occupazione e pensione (Mirabile et al., 2006).
3 Si fa qui riferimento a ricerche condotte in diversi ambiti territoriali, ma prevalentemente concentrate sul settore manifatturiero: Pirone (2006), Pugliese, Morlicchio e Pirone (2005) e Pirone (2007).
4 L’Euro Area 15 include i seguenti paesi: BE, DE, IE, GR, ES, FR, IT, CY, LU, MT, NL, AT, PT, SI, FI.
5 Nostra elaborazione su dati Istat, Previsioni della popolazione 2007-2051, <demo.istat.it/>.
6 Nostra elaborazione su dati Eurostat, Labour Force Survey,(epp.eurostat.ec.europa.eu).
7 In molti casi si tratta di persone che hanno cominciato precocemente la carriera contributiva e che hanno beneficiato della pensione di anzianità.
8 Un istituto previsto dal D.lgs 276 del 10 settembre 2003 normato sulla base del regolamento CE n. 2204/2002.
9 Ci si riferisce in particolare alle norme del D.lgs 216 9 luglio 2003 in attuazione della direttiva n. 2000/78/CE.
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