QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Strumenti per un invecchiamento demografico sostenibile

1.  L’invecchiamento demografico e le conseguenze economiche

Il processo di invecchiamento in Italia, negli ultimi decenni, è stato veloce e consistente. L’Italia è oggi considerato, insieme al Giappone, il paese più vecchio al mondo. Le recenti previsioni demografiche dimostrano che il fenomeno dell’invecchiamento è destinato ad aumentare, come testimoniano i principali indicatori demografici. Secondo le previsioni prodotte dall’Istat con base 2007, nell’ipotesi centrale, che indica lo scenario più probabile, la popolazione nella classe 30-44 è destinata a perdere circa 3 milioni e mezzo di unità nei prossimi vent’anni, a vantaggio di quella tra i 50 e i 64 anni.
Questo spostamento dalla fascia più giovane a quella più matura della popolazione attiva avrà un forte impatto negativo sulla crescita del paese, se i livelli di occupazione (ed in parte anche di produttività) dei meno giovani si manterranno sui livelli attuali. Rispetto alla media europea (44,7%), infatti, il tasso di occupazione degli older workers (55-64) è in Italia pari al 33,8% (Rosina A., 2009). Questa differenza in termini di popolazione attiva è destinata a creare problemi di sostenibilità del sistema sociale e previdenziale via via crescenti.
Nell’ultimo ventennio l’impatto economico più consistente sul bilancio dello Stato ha riguardato la spesa per pensioni. In Italia, l’Istat ha stimato che la crescita del rapporto tra spesa per pensioni e il prodotto interno lordo nel 2038, anno in cui secondo le previsioni tale rapporto raggiungerà il suo apice, sarà pari al 15,2% a fronte del 13,6% di oggi; in questo contesto l’accrescimento dell’età media della popolazione, secondo lo scenario pensionistico attuale, è senza dubbio un elemento di forte impatto sull’assetto economico e finanziario del paese.
L’aumento del numero degli anziani avrà sicuramente ripercussioni non solo sull’incremento della spesa pensionistica, ma anche sul costo dell’assistenza e dei servizi sanitari agli anziani. Lo studio è un tentativo che mira a considerare la longevità della popolazione, e le migliori condizioni di salute, una risorsa “sfruttabile” attraverso strumenti di politica economica e sociale atti a contenere la spesa pubblica assistenziale e previdenziale attraverso diverse forme in entrata e in uscita dal mondo del lavoro.

Tabella 1: Indicatori di invecchiamento della popolazione italiana, 1981, 1991, 2008, 2030
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Fonte: elaborazione su dati Istat, 2008

Tabella 2: Indicatori di invecchiamento della popolazione italiana, 1981, 1991, 2008, 2030
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Fonte: elaborazione su dati Istat, 2008

2. Il modello svedese: un’esperienza reale di recupero della popolazione ‘anziana’

Il modello oggetto di studio fonda le proprie radici su un’esperienza realmente vissuta a cavallo degli anni Ottanta in Svezia dove, per la prima volta, si instaurò un regime pensionistico di tipo part-time, il quale portò, nei primi anni di sperimentazione, ad un alto tasso di adesione con significativi risparmi, in termini di spesa previdenziale, per il governo svedese. Le pensioni ‘a tempo parziale’ in Svezia sono state introdotte nel 1976. In poco tempo il regime part-time è diventato molto popolare ricevendo numerose adesioni. Sin dal debutto, il pensionamento a tempo parziale ha rappresentato un’opportunità offerta a chi aveva già compiuto 60 anni (fino ai 65 anni). La riduzione minima dell’orario lavorativo rispetto al regime full-time era di 5 ore in meno e il minimo di ore settimanali che si potevano svolgere in regime part-time pari a 17 ore.

Il tasso di sostituzione, ovvero la quota di reddito che viene garantita dallo Stato rispetto al reddito ‘perduto’ dal soggetto che aderisce a questo regime pensionistico part-time, non doveva essere inferiore al 65% del reddito perduto a causa della riduzione dell’orario di lavoro. Alla luce del prelievo fiscale progressivo, in realtà il tasso di sostituzione era maggiore. Il nuovo sistema è diventato popolarissimo in breve tempo, molte sono state le domande presentate e i datori di lavoro si sono dimostrati in genere soddisfatti, poiché lo consideravano una possibilità per ristrutturare e ringiovanire la forza lavoro senza dover versare il TFR o dover affrontare complicate contrattazioni con i sindacati (E. Wadensjö., 2006). Tuttavia, nell’ambito della riforma delle pensioni di anzianità del 1994, il regime a tempo parziale è stato reso meno generoso, per poi essere abolito del tutto nel 2001.

3. L’applicazione del modello svedese alla popolazione italiana

Partendo dall’esperienza svedese, si presentano alcuni possibili scenari, applicati alla popolazione italiana, costruiti applicando i coefficienti di partecipazione al part-time della popolazione tra i 60 e i 65 anni, nell’ipotesi di omogeneità dei comportamenti tra le due popolazioni e nel tempo. I coefficienti di partecipazione al regime pensionistico part-time sono funzione della variazione di alcuni parametri secondo quanto sperimentato nell’esperienza svedese. Come dimostrano le tabelle di seguito, al variare di alcune condizioni la partecipazione al regime pensionistico part-time cambia in modo considerevole, rendendo più o meno conveniente questo strumento rispetto alla scelta del full-time (se possibile), o della quiescenza.

Giorgia Capacci: Istat – Direzione centrale delle statistiche economiche e congiunturali
Cinzia Castagnaro: Istat – Direzione centrale per le statistiche e le indagini sulle istituzioni sociali
Claudio Tardini: Università “La Sapienza” Roma – Facoltà di Economia


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