QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

L’interazione tra assicurazioni malattia pubbliche e private: il caso dell’Irlanda

4. Equità, accesso e utilizzo

Il fatto che in Irlanda il settore degli ospedali per malattie acute si stia trasformando sempre più in un sistema “a due livelli” viene generalmente considerato un problema dal punto di vista dell’equità. In effetti, quella della possibilità di accesso alle cure ospedaliere da parte di pazienti “pubblici” e privati è diventata una questione politica di primo piano, tanto che la strategia sanitaria ufficiale elaborata nel 2001 dopo lunghe consultazioni ha stabilito che l’equità deve essere uno degli obiettivi da raggiungere. Da questo punto di vista, per valutare il sistema attualmente in vigore, può essere utile distinguere tra i molteplici aspetti diversi che caratterizzano la questione. Se esistono un sistema sanitario pubblico e uno privato distinti che funzionano in parallelo, e le assicurazioni malattia private coprono le spese del secondo, è probabile che chi dispone di una polizza (in genere le famiglie ad alto reddito) si vedrà garantito un accesso alle cure mediche più veloce. Riguardo all’equità di un tale sistema le opinioni possono variare, come in effetti avviene, sia all’interno della stessa società, sia tra una società e l’altra.
Occorre poi tenere conto del ruolo dello Stato nel sovvenzionare (direttamente o indirettamente) le assicurazioni malattia o i servizi sanitari privati: chi ritiene che le differenze nell’accesso alle cure siano accettabili purché i costi siano pagati dai pazienti che decidono di “rivolgersi al privato” potrebbe non essere così d’accordo se in realtà sono i contribuenti a coprire parte di queste spese. Ma la questione si fa ancora più complessa quando, come avviene in Irlanda, gran parte dei servizi privati riservati a chi è assicurato viene in effetti fornita dagli ospedali pubblici. In una situazione di questo tipo, è evidente che con tutta probabilità la presenza di due distinte corsie di accesso alle cure per chi è assicurato e per chi non lo è verrà considerata discutibile.
Quindi, nel caso dell’Irlanda ciò che colpisce di più è che quello degli ospedali pubblici viene ormai da molti considerato un sistema a due livelli che offre un accesso più rapido ai più abbienti; meno importanza viene data al fatto che in realtà questo sistema è sovvenzionato dai contribuenti. Tutto ciò solleva numerosi quesiti di ordine pratico. Il primo riguarda le effettive modalità di funzionamento del sistema a due livelli, in termini di accesso e utilizzo. Quanto più rapide sono le cure ospedaliere ottenute dagli assicurati, soprattutto nel caso di strutture pubbliche? Fino a che punto i due livelli del sistema ospedaliero irlandese comportano gravi ingiustizie correlate alla distribuzione del reddito, tenendo conto delle differenze relative alla “necessità” delle cure? I dati non sono omogenei ed esistono diversi modi per cercare di stabilire quanto l’accesso e il ricorso alle cure siano proporzionali alla “necessità”; tuttavia sembra utile considerare le informazioni disponibili sui tempi di attesa e sull’effettivo sfruttamento dei servizi offerti.

4.1 Liste d’attesa e tempi d’attesa

La durata dei tempi d’attesa necessari per ottenere il trattamento è considerata indice del fatto che vi siano problemi di accesso; infatti, in Irlanda la lunghezza delle liste d’attesa ha ricoperto un ruolo centrale nel dibattito sul doppio corridoio d’accesso alle cure. All’inizio degli anni ’90 la preoccupazione intorno a questo fenomeno è cresciuta, conducendo nel 1993 alla creazione di un’iniziativa denominata National Waiting List Iniziative, con la quale il Dipartimento della sanità cercava di comporre una banca dati nazionale sulle liste di attesa. Le informazioni sono state ottenute grazie alle statistiche trimestrali sulle dimissioni dagli ospedali correlate al numero di pazienti già visitati da uno specialista e collocati in lista d’attesa per ricevere le cure ospedaliere pubbliche (su base bisettimanale e giornaliera). Nelle statistiche trimestrali si è tenuto conto solo di chi aspettava 3 mesi o più, mentre non venivano considerati i dati relativi ai pazienti “privati”, pur forniti da alcune strutture.
La pubblicazione dei risultati ha evidenziato un rapido calo nel 1993, subito dopo l’inizio della ricerca, grazie al miglioramento della validazione, quindi una generale tendenza al rialzo fino al 1998-1999, seguita da un’ulteriore diminuzione nel 2000 e nel 2001 fino a raggiungere i livelli registrati alla fine del 1993. Nel 2002, per organizzare le cure ospedaliere destinate a coloro che erano in lista d’attesa (long waiters) fu istituito il National Treatment Purchase Fund (NTPF) in Irlanda, Irlanda del Nord e Regno Unito. In effetti si sono registrati dei successi, in virtù dei quali alla fine del 2003 la percentuale di pazienti che aspettavano da oltre 12 mesi era calata al 20%. Tuttavia, a quella data, vi erano 16.000 persone in attesa di essere ricoverate e in 11.000 aspettavano le cure in day hospital.
Dal punto di vista statistico, i limiti delle liste d’attesa sono ben noti e si collegano ad aspetti sia teorici che pratici. Dal punto di vista concettuale, la loro entità è un indicatore insufficiente della distribuzione dei tempi di accesso alle cure, cioè del punto d’interesse centrale dell’analisi. Inoltre, nel caso dell’Irlanda, solo chi è già stato visitato da uno specialista può essere ammesso alle cure ospedaliere e quindi essere inserito nelle liste d’attesa — ergo non emergono i tempi necessari per la visita. Dal punto di vista amministrativo, si è identificata una serie di problemi relativi alle modalità di raggruppare i dati per cui il NTPF è in procinto di creare un registro online dei pazienti in attesa di cure (Patient Treatment Register). Inoltre è stato osservato che le serie precedenti relative alle liste d’attesa sovrastimavano il numero di persone che stavano effettivamente aspettando il trattamento. Ciononostante, è evidente che gli utenti del servizio pubblico hanno dovuto affrontare tempi lunghi per ricevere le cure ospedaliere, legando indissolubilmente questo fenomeno all’immagine del sistema sanitario statale.
Dato che non sono disponibili informazioni analoghe relative ai pazienti “privati”, non è stato possibile quantificare l’aspetto temporale in relazione alle differenze nell’accesso alle cure, anche se in genere si è visto che i tempi di attesa erano più brevi nella maggioranza dei casi. Le ricerche condotte dal VHI
e citate in NESF15 hanno dimostrato che quasi l’80% dei membri era ricoverato entro 5 settimana dalla richiesta. Le risposte al sondaggio di opinione realizzato dall’ESRI nel 1999 indicano che chi non era assicurato aveva molte più probabilità di dire che stava aspettando il ricovero da parecchio tempo rispetto a chi aveva sottoscritto una polizza.16 Analogamente, nello speciale modulo sulla sanità compreso nel Quarterly National Household Survey, l’indagine condotta dall’Ufficio centrale per le statistiche (CSO) nel 2001, succedeva molto più di rado che chi aveva un’assicurazione aspettasse a lungo prima di ricevere cure in regime ambulatoriale, ospedaliero o di day hospital.17 Quindi i dati indicano che anche chi ha un’assicurazione oggi non sempre è in grado di avere accesso alle cure ospedaliere con la stessa velocità possibile in passato, i non assicurati devono aspettare molto più a lungo. In termini di accesso, a ciò si aggiungono i tempi necessari per ottenere una visita specialistica iniziale, senza la quale non si è ammessi alle liste di attesa.

4.2 Uso e “necessità”

Oltre a considerare le liste d’attesa, è evidentemente importante paragonare il grado di ricorso ai servizi sanitari da parte dei pazienti con e senza assicurazione privata, anche se la valutazione dei risultati può non essere immediata. I dati in proposito sono stati ottenuti tramite alcune indagini svolte presso le famiglie, che hanno permesso di distinguere gli intervistati sulla base della condizione assicurativa e di altre caratteristiche significative (per esempio l’età, il sesso e il reddito), in particolare con i sondaggi Living in Ireland svolti dall’ESRI tra il 1994 e il 2001. Harmon and Nolan18 sono ricorsi ai dati relativi alla rilevazione del 1994 per studiare i fattori che influenzano la probabilità di ricovero ospedaliero nell’anno precedente. L’approccio econometrico adottato prevedeva di calcolare congiuntamente un modello probabilistico lineare simultaneo in cui la prima fase modellizza la domanda di assicurazioni e permette la correzione dell’endogenità nell’equazione che nella seconda fase modellizza l’uso. I risultati indicano che chi ha un’assicurazione ha maggiori probabilità di ricovero di chi ne è sprovvisto, tenendo conto delle informazioni disponibili circa la “necessità”, ivi compresi età, sesso, reddito e autovalutazione delle condizioni di salute: la stima della probabilità di aver usufruito di un ricovero in ospedale risulta superiore del 6% nel caso dei pazienti assicurati. Anche se ciò potrebbe essere il riflesso delle diverse condizioni di salute di chi ha e chi non ha un’assicurazione malattia (un dato non sufficientemente controllato dalle misurazioni condotte nell’indagine), stando almeno ai dati disponibili non risulta alcuna antiselezione a livello delle assicurazione private.
Basandosi fondamentalmente sulle stesse informazioni, grazie ai metodi sviluppati nel programma di ricerca internazionale ECuity19, è possibile misurare anche l’equità dell’andamento generale del ricorso ai servizi in relazione alla distribuzione del reddito in Irlanda. Il punto di partenza è dato dall’idea che l’equità orizzontale in questo settore significa che a necessità uguale deve corrispondere trattamento uguale e che occorre controllare, se rispetto a questo principio, emerga una qualche deviazione sistematica in funzione del livello di reddito. I controlli prevedono la comparazione dei livelli di utilizzo dei servizi indicati nelle indagini in relazione al variare del reddito, il controllo o la standardizzazione a fronte delle “necessità” evidenziate in base all’età, al sesso e all’autovalutazione delle condizioni di salute e forse altri fattori quali l’educazione e lo status professionale. Il grado di iniquità orizzontale rilevato viene riassunto nell’indice di concentrazione dell’uso standardizzato in base alle necessità: se il valore è positivo se ne desume un’iniquità a favore dei più abbienti, se negativo un’iniquità a favore dei meno abbienti.
Van Doorslaer (Masseria et al.20) presenta i risultati dello studio OCSE che ha applicato questa metodologia a 21 Paesi secondo i dati forniti dalla ricerca europea sulle famiglie(European Community Household Panel Survey — ECHP ) e dalle indagini nazionali svolte intorno all’anno 2000. In Irlanda, come nella maggior parte dei Paesi interessati, non risulta alcuna iniquità significativa nel ricorso ai ricoveri ospedalieri. Gli autori ipotizzano che ciò possa essere almeno in parte dovuto al fatto che all’incirca solo un intervistato su 10 ha passato un periodo in ospedale nell’anno precedente e che i campioni sono spesso poco numerosi, innalzando gli intervalli di confidenza attorno agli indici di concentrazione. È però interessante notare che l’indice delle visite specialistiche ha rivelato una notevole iniquità a favore dei più abbienti nella maggior parte dei Paesi, con l’Irlanda nel gruppo delle nazioni in cui questa iniquità risultava più pronunciata. Ciò è particolarmente importante alla luce del ruolo svolto dalle assicurazioni private nella copertura (della maggior parte) dei costi di tali servizi in Irlanda e delle difficoltà cui spesso possono andare incontro i pazienti senza assicurazione in termini di tempi d’attesa.
Sempre basandosi sui dati del 2000, Layte e Nolan21 hanno applicato gli stessi metodi in uno studio approfondito condotto in Irlanda. Ancora una volta, quando le informazioni disponibili sono state utilizzate per controllare le differenze relative alla “necessità”, per tutte le fasce di reddito i risultati non indicavano alcuna iniquità di rilievo nel ricorso ai ricoveri in ospedale. Il coefficiente standardizzato per le visite specialistiche risultava positivo, rivelando una certa tendenza favorevole ai benestanti, ma dal punto di vista statistico stavolta non era diversa dallo zero. Più in generale, alla luce del doppio corridoio di accesso agli ospedali irlandesi e delle differenze nei tempi d’attesa imposti a pazienti pubblici e privati, di primo acchito sorprende il fatto che la distribuzione effettiva dei ricoveri non si riveli iniqua. Va comunque sottolineata la natura approssimativa delle valutazioni delle condizioni di salute disponibili ai fini del controllo della variazione delle necessità e vanno segnalate ricerche nazionali più complete dal punto di vista dei dati relativi a questo ambito, i quali indicano che gli eventuali errori probabilmente comportano la sottovalutazione delle necessità delle fasce di reddito più basse e quindi delle eventuali iniquità. Layte22 riunisce i dati sull’autovalutazione delle condizioni di salute sotto un unico indice sanitario stimato sulla base dell’analisi delle componenti principali e in Irlanda individua alcune significative iniquità a favore dei più abbienti. Vale anche la pena notare che mentre le iniquità in materia di ricoveri a favore dei benestanti sono state individuate solo in qualcuno dei Paesi dello studio OCSE, quelle effettivamente a favore dei meno abbienti riguardavano gli USA, un risultato inatteso alla luce del ruolo colà ricoperto dalle assicurazioni malattia private.
Anche la misurazione del ricorso ai ricoveri adottata in questi studi è piuttosto approssimativa, limitandosi al numero di pernottamenti in ospedale nell’anno precedente. Esistono differenze enormi tra paziente e paziente a livello di cure prestate e risorse utilizzate a questo scopo. Nolan e Wiley23 hanno utilizzato i dati provenienti da indagini regolari sui ricoveri (Hospital In-Patient Enquiry — HI PE), in cui gli ospedali descrivevano le proprie attività, per mettere a confronto le risorse destinate a diverse categorie di utenza nelle strutture irlandesi in base al numero dei pazienti trattati a seconda di condizioni diverse classificate in base a gruppi di diagnosi (Diagnosis Related Groups — DRGs). Al tempo il database non distingueva tra chi era assicurato e chi no, quindi per avere un termine di riferimento approssimativo si sono messi a confronto i pazienti con tessera sanitaria con quelli che ne erano sprovvisti. I risultati hanno dimostrato che il costo delle risorse per giorno di ricovero era maggiore per i pazienti senza tessera sanitaria a causa delle differenze caratterizzanti il bacino di analisi, anche presupponendo che in seno a ciascuna specialità gli stessi costi si applicassero a entrambi i gruppi. Su queste basi si è approssimativamente stimato che mentre un quinto dei malati riceveva cure private in strutture pubbliche, circa un quarto dei costi determinati dalla fornitura dei trattamenti era attribuibile a questi pazienti.
Il database HIPE è molto utile anche per analizzare l’utilizzo dei posti disponibili negli ospedali. Dal 1991 la maggior parte dei letti nelle strutture per le malattie acute sono stati esplicitamente contrassegnati come pubblici e privati (rispettivamente circa l’80 e il 20% del totale dei letti destinati ai ricoveri, mentre nel caso del day hospital le proporzioni sono di due terzi contro un terzo). Nolan e Wiley24 si sono avvalsi di dati amministrativi per stabilire quanti pazienti privati fossero in realtà curati in letti pubblici e viceversa, scoprendo che quasi un quarto delle giornate di ricovero dei pazienti privati fosse passato su letti pubblici.
Anche nell’altra direzione si è evidenziato uno scambio, che vedeva pazienti pubblici curati in letti riservati ai privati. Gran parte di questi scambi si è avuto in un numero ristretto di ospedali ed è stato giustificato con la presenza di pazienti ricoverati per un incidente o un’emergenza, i quali sceglievano di essere curati privatamente quando erano disponibili letti privati.

15 NESF (2002).
16 Nolan and Wiley (2000).
17 Cfr. CSO (2002), Tabelle 3—5. Per fare un esempio, solo il 12% di chi disponeva di un’assicurazione privata si trovava in lista d’attesa per il ricovero in ospedale da un anno o più, a fronte di un quarto dei pazienti provvisti della tessera sanitaria che in base al reddito dà diritto a cure di base gratuite e del 38% di chi non aveva né assicurazione privata né tessera sanitaria.
18 Harmon and Nolan (2001).
19 Cfr. Wagstaff and Van Doorslaer (2000); Van Doorslaer et al. (1993, 2000); Van Doorslaer and Masseria et al. (2004).
20 Van Doorslaer and Masseria et al. (2004).
21 Layte and Nolan (2004).
22 Nolan and Wiley(2000).
23 Nolan and Wiley (2000).
24 Nolan and Wiley (2000).


Pagine: 1 2 3


Tag:, , ,