La ripartizione del rischio e i regimi pensionistici autonomi
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Riassunto
I regimi pensionistici stanno diventando sempre più “autonomi”, nel senso che mancano di un garante di ultima istanza di tipo governativo o aziendale.
Il presente contributo descrive i diversi principi di come gli schemi pensionistici dovrebbero ripartire al meglio i rischi tra i sottoscrittori e di come dovrebbe essere la ripartizione dei rischi sui capitali del mercato finanziario. A tale proposito, nell’articolo si evidenzia la struttura ottimale delle passività dei fondi pensionistici, il rapporto ideale tra pensionamento e longevità e il ruolo dei longevity bond nella ripartizione dei rischi demografici tra le generazioni. Inoltre, si sottolinea la necessità di realizzare delle riforme per il mercato del lavoro che migliorino l’incremento e il mantenimento di capitale umano e far sì che la tempistica e il momento del pensionamento agiscano come fattori per il contenimento del rischio.
1. Introduzione
I regimi pensionistici sono sotto pressione in tutto il mondo. I sistemi pubblici a ripartizione (PAYG) vigenti nei Paesi dell’Europa continentale risultano particolarmente vulnerabili di fronte alla diminuzione della natalità, perché si affidano al capitale umano rappresentato dai giovani per finanziare le pensioni delle generazioni più anziane. Dato che le generazioni attuali investono meno nel capitale umano delle generazioni future riducendo il tasso di fertilità, è necessario aumentare gli investimenti nel capitale finanziario. Di conseguenza, la diminuzione della natalità impone la transizione graduale dai sistemi PAYG a regimi pensionistici a capitalizzazione.2 Diversi Paesi dotati di forti regimi PAYG stanno dunque concentrando gli sforzi pubblici alla lotta alla povertà, riducendo gradualmente l’entità delle pensioni del sistema retributivo per coloro che percepiscono redditi più elevati.
Allo stesso tempo, diversi fattori hanno determinato la scomparsa di piani pensionistici aziendali basati sul sistema retributivo in cui le imprese garantivano prestazioni pensionistiche fisse assumendo tutti i rischi dei mercati finanziari e demografici. In primo luogo, l’invecchiamento dei sottoscrittori di tali piani ha fatto aumentare gli obblighi dello schema pensionistico rispetto ai premi versati (cfr. Figura 1). Nel momento in cui i rischi finanziari e attuariali iniziano a prevalere sui rischi legati all’attività imprenditoriale, le aziende non sono più disposte ad assumere i rischi derivanti dai propri piani pensionistici. Inoltre, in un’economia mondiale sempre più dinamica e competitiva, le aziende riescono a offrire sempre meno certezze ai propri dipendenti. In effetti, per i lavoratori, l’aumento del rischio di fallimento delle aziende che finanziano le loro pensioni implica che i lavoratori che aderiscono a schemi pensionistici aziendali a ripartizione si sobbarchino anche il notevole rischio di credito dell’azienda stessa. Da ultimo, le nuove regole contabili obbligano le aziende a comunicare al mercato le loro erogazioni previdenziali. Per le imprese si tratta di un ulteriore stimolo per lasciare il business assicurativo dei fondi pensione.
Figura 1: Prestazioni promesse e premio originale dei fondi pensione olandesi, 1990-2030
Fonte: Westerhout et al. (2004).
A seguito di tali sviluppi, i regimi pensionistici diventano sempre più autonomi — nel senso che viene a mancare un garante che assuma il ruolo di assuntore del rischio. Tali piani pensionistici sono soggetti a un serio vincolo di bilancio, in modo tale che i sottoscrittori stessi diventano loro stessi assuntori dei loro rischi (si trovano ad assumersi i rischi espliciti): o condividono questi rischi tra loro stessi, o li trasferiscono a terzi con attività di strumenti finanziari dei mercati. Così, i fondi pensione possono ancora promettere prestazioni definite comprando garanzie sui mercati finanziari o riuscendo a trovare sottoscrittori in grado di garantire il pagamento delle pensioni agli altri sottoscrittori. Ad ogni modo, l’abbandono del ruolo di finanziatori dei sistemi pensionistici da parte degli Stati e delle aziende rende necessaria una riforma istituzionale nel settore dei fondi pensione in generale e della ripartizione dei rischi in particolare. Il presente articolo descrive diversi principi in base ai quali i regimi pensionistici dovrebbero giungere a una ripartizione ottimale dei rischi. Tali principi sono applicabili al finanziamento delle pensioni in tutto il mondo.3
L’articolo si sviluppa in base alla seguente struttura: il capitolo seguente si sofferma sull’importanza di essere favorevoli a contratti che prevedano una ripartizione esplicita dei rischi prima che tali rischi si concretizzino. In seguito si illustrerà come i regimi pensionistici possano ripartire in maniera ottimale tra i sottoscrittori i rischi legati ai mercati finanziari, mentre il paragrafo successivo si occupa del rischio longevità. Nel penultimo paragrafo si discute sulla riforma del mercato del lavoro che permetta ai lavoratori di assumere rischi maggiori e in fine le conclusioni.
2. Contratti sulla ripartizione dei rischi
Esistono diverse ragioni per le quali la stipula di contratti che prevedano una esplicita ripartizione dei rischi aumenterà di importanza. Innanzitutto, dato che si assumono il rischio residuale dei fondi pensione, i sottoscrittori devono essere informati sui rischi che corrono, in modo tale che possano tenerne conto nella propria pianificazione finanziaria. In secondo luogo, i rischi aumentano con la maturazione dei fondi pensione e con l’invecchiamento dei sottoscrittori (cfr. Figura 1). Per questi ultimi, diventa quindi sempre più importante sapere come questi rischi saranno ripartiti.
Il raggiungimento di chiari accordi sulle modalità di ripartizione dei rischi prima che questi si materializzino (cioè fissare delle regole, state-contingent rules), permette anche di prevenire onerosi conflitti politici quando i problemi si verificano; in altre parole, si riducono i rischi politici e l’ansia da pensione dei lavoratori. Inoltre, la ripartizione ex ante dei rischi determina contratti che sono vantaggiosi per tutte le parti, poiché si fanno delle rinunce in una determinata situazione in cambio di vantaggi in un’altra situazione. Al contrario, dopo che il rischio si è verificato (cioè ex post, quando si conosce l’evenienza che si è concretizzata), è solo una delle parti a dover fare rinunce. L’assicurazione allora diventa ridistribuzione. Infine, la ripartizione esplicita dei rischi basata su contratti previene i frequenti contenziosi dovuti ad accordi ambigui e parziali e fonte di ulteriori costi.
Nella riscrittura delle regole, i fondi pensione si trovano ad affrontare una valutazione tra scelte alternative di obbligo e flessibilità. Da una parte, per le ragioni viste sopra, potrebbe essere auspicabile chiarire ex ante quali siano i rischi ripartiti; dall’altra, conservando un certo margine discrezionale in cui si possa far fronte ad eventi imprevedibili. Tuttavia una simile flessibilità, implicita nei contratti incompleti, richiede che i partecipanti abbiano fiducia che i gestori agiscano nell’interesse degli aderenti al fondo pensione. Ciò richiede una governance professionale per ridurre i costi.
3. La ripartizione ottimale dei rischi nei mercati finanziari
I fondi pensione permettono alle diverse generazioni di ripartire i rischi legati ai mercati finanziari. A titolo di esempio, nei regimi pensionistici di tipo retributivo, di norma i giovani lavoratori condividono i rischi dei mercati finanziari con i lavoratori più anziani tramite dei premi di compensazione (recovery premium). In caso di shock finanziario, i premi pensionistici vengono aumentati per contenere la riduzione delle pensioni, proteggere i diritti previdenziali dei lavoratori e ridurre il relativo deficit finanziario. In un piano pensionistico con benefici definiti, che comporta un rischio di disillineamento (mismatch risk) a seguito di investimenti in capitali di rischio, i sottoscrittori attivi (cioè i lavoratori che versano i premi al fondo) in realtà prendono a prestito dai membri più anziani, già in pensione, emettendo obbligazioni nei confronti di questi ultimi e utilizzando i proventi per investire in capitali di rischio. In effetti, i contributi pensionistici rischiosi, generati da un rischio di disillineamento, permettono ai giovani di assumere su di sé i rischi dei mercati finanziari dalle generazioni precedenti.4 Tuttavia, il ricorso ai premi pensionistici di compensazione che oscillano nel tempo per implementare la ripartizione intergenerazionale dei rischi sarà sempre più onerosa sia dal lato della domanda che dall’offerta. Ciò è dovuto in particolare al fatto che l’invecchiamento dei partecipanti ai fondi pensionistici richiederà sempre più grandi cambiamenti nella contribuzione per contenere le fluttuazioni delle prestazioni pensionistiche, poiché le promesse pensionistiche cresceranno rispetto ai premi originariamente versati (cfr. Figura 1).
Alcuni schemi pensionistici comportano fluttuazioni dei premi di compensazione ristrutturando il portafoglio in base alle garanzie previste dai piani pensionistici a beneficio definito — si tratta dei cosiddetti investimenti liability-driven. Nel caso di prestazioni pensionistiche garantite, uno dei “buchi neri” di questo tipo di investimenti è dato dal fatto che i giovani non riescono a trarre vantaggio dall’investimento effettuato sul capitale di rischio. Trasferendo i rischi finanziari ad altri soggetti del sistema finanziario, nel lungo periodo i fondi pensione non riescono a essere un investitore stabile a favore dei sottoscrittori che hanno prospettive di investimento di lungo periodo. I piani pensionistici con benefici definiti dovrebbero dunque ristrutturare le proprie passività, piuttosto che i loro asset per meglio garantire l’equlibrio del sistema. I regimi pensionistici collettivi dovrebbero concentrarsi su una strutturazione delle passività che risulti ottimale per i partecipanti, dato che sia questi ultimi che i finanziatori oggi sono poco inclini a garantire prestazioni a prezzi impliciti bassi, né sono in grado di farlo.
Una ripartizione dei rischi efficiente comporta che un evento negativo determini una diminuzione proporzionale dei consumi di tutti i soggetti.5 In tal modo si ha la massima ripartizione possibile dei rischi. Se il reddito determina i consumi, dopo uno shock negativo il patrimonio di tutti dovrebbe ridursi in proporzione. Le componenti principali della ricchezza complessiva di ciascun individuo sono rappresentate dalla pensione, dalla casa e dal capitale umano (cioè il valore scontato dai redditi da lavoro futuri). Nel caso dei giovani è questa la voce più significativa, mentre per gli anziani i diritti pensionistici rappresentano la maggior parte della ricchezza individuale, perché il capitale umano dei pensionati si è svalutato (quasi) completamente. Di conseguenza, per ottenere la medesima variazione nella ricchezza di tutte le coorti (come richiesto da una ripartizione ottimale dei rischi), nel caso in cui si verifichi un evento negativo in seno agli schemi pensionistici, il monte pensione dei giovani dovrebbe fluttuare maggiormente di quello degli anziani.6 Mentre i diritti previdenziali delle giovani generazioni sono relativamente incerti (il sistema assomiglia a un regime a contribuzione definita), lo sono meno quelli degli anziani che, invecchiando, hanno trasformato le contribuzioni definite in prestazioni definite.
Se si modificano i diritti pensionistici in questo modo, è possibile spostare i rischi finanziari sulle generazioni più giovani senza dover ricorrere a compensazioni. Se si paragona a uno schema pensionistico di categoria in cui l’azienda assume i rischi, in un regime pensionistico autonomo sono i sottoscrittori più giovani che svolgono tale ruolo (in sostituzione dell’azienda finanziatrice o dei suoi azionisti). Pur perdendo delle garanzie, verranno compensati con un potenziale di crescita maggiore. In tal modo i contributi pensionistici diventano parte della retribuzione lavorativa, invece di essere un’imposta sul lavoro o una forma di sovvenzione. Eventuali diritti pensionistici aggiuntivi ricevono un’equa valutazione attuariale: i lavoratori percepiscono il valore monetario dei loro contributi in base al valore di mercato dei diritti pensionistici. Di conseguenza si elimina dai contributi pensionistici la tassa implicita o la componente di sovvenzione, e si stimola l’efficienza del mercato del lavoro.
Se si sfrutta l’ampiezza dell’orizzonte temporale dei giovani lavoratori per assorbire eventuali avversità, si contribuisce anche alla stabilità macroeconomica. In effetti, la propensione marginale al risparmio sul monte pensione è inferiore tra i giovani, che possono contare su un orizzonte temporale prolungato e su un notevole capitale umano. In particolare, si riduce il contrasto tra la tendenza alla stabilità macroeconomica e l’applicazione della disciplina dei mercati, che tende alla ciclicità. Nello specifico, se si lascia che le erogazioni pensionistiche dei giovani lavoratori fluttuino insieme ai tassi di interesse e ai premi di rischio (così beneficiando delle maggiori possibilità di recupero dei giovani), si limitano le spinte alla ciclicità insite nella disciplina della valutazione a prezzi di mercato. Infatti i giovani, che si trovano nella posizione migliore per assorbire la volatilità dei mercati finanziari, dovrebbero risultare investitori stabili nel lungo periodo.
Il sistema ibrido, che comprende sia i sistemi a contribuzione definita che quelli a prestazione definita fin qui illustrato, può essere visto come un regime pensionistico che registra nella colonna delle passività del bilancio capitale azionario soft (junior claims) e crediti hard (senior claims). I partecipanti attivi che non sono ancora andati in pensione, soprattutto i giovani che dispongono ancora di un notevole capitale umano, detengono la maggioranza del capitale soft e quindi si assumono il rischio residuo del sistema. I pensionati detengono il capitale più sicuro sotto forma di debiti.7 Tale sistema ibrido è coerente rispetto alla linea di investimento ideale nel corso del ciclo di vita.8 In caso di avversione costante al rischio relativo, i soggetti giovani investono maggiormente nei capitali a rischio, perché gran parte del loro patrimonio consiste in capitale umano a basso rischio. Invecchiando, si spostano su attività più sicure, preferibilmente protette dall’inflazione.9 Questa spiegazione del diverso comportamento tenuto da giovani e anziani nel campo degli investimenti è ancora più convincente se si guarda alle abitudini: i giovani hanno più tempo per cambiare le loro e dovrebbero essere maggiormente avversi al rischio rispetto agli anziani.
Se le coorti più anziane detengono la maggior parte dei crediti, come prevederebbe la ripartizione ottimale del rischio tra generazioni, nei regimi pensionistici si avrebbe il venir meno delle promesse pensionistiche. Dunque, piuttosto che aggiungere asset a rendita fissa di lungo periodo per far fronte alle promesse di una pensione predefinita, i regimi pensionistici farebbero bene a rivedere le promesse pensionistiche fatte ai giovani. Una supervisione interna ed esterna dovrebbe garantire la solvibilità necessaria a proteggere dalla bancarotta i detentori (per lo più anziani) del capitale garantito. Una tale supervisione dovrebbe quindi far sì che le promesse — del tutto simili a obbligazioni — fatte dai giovani ai partecipanti più anziani al regime pensionistico risultino effettivamente credibili.
La ripartizione del rischio e i regimi pensionistici autonomi: articolo tratto da The Geneva Papers, (2007) 32, 447-457, Palgrave.
Arij Lans Bovenberg: Direttore Scientifico, Netspar, Tilburg University, Olanda. E-mail: A.L.Bovenberg@uvt.nl.
2 Cfr. Sinn (2000).
3 Bovenberg (2007) applica tali principi ai fondi pensione di categoria olandesi, che si stanno evolvendo verso l’autonomia. L’analisi dimostra che restano da affrontare diverse sfide di notevole entità.
4 Cfr. Beetsma and Bovenberg (2006)
5 In questo caso si presume che tutti i soggetti presentino la medesima avversione al rischio relativa costante, che l’utilità sia separabile dal tempo e che al suo interno sia possibile distinguere tra consumo di beni e tempo libero. Più in generale, la ripartizione ottimale dei rischi implica che l’utilità marginale di tutti sia modificata nella stessa misura a seguito di un avvenimento avverso. Cfr. Bohn (2005).
6 Le argomentazioni relative alle diverse richieste di prestazione da parte dei giovani e degli anziani nei confronti dei fondi pensione diventano ancor più valide con la formazione delle abitudini. In tal caso, i giovani dispongono di più tempo per modificare le proprie abitudini e quindi dovrebbero essere in grado di assumersi più rischi degli anziani. Anche le preferenze in termini di avversione alle perdite rafforzano queste argomentazioni (cfr. Bernatzi and Thaler, 1995). Se i soggetti dimostrano avversione alle perdite, il costo degli investimenti rischiosi cresce meno rapidamente degli utili (cfr. Bovenberg et al., 2007). Così, le garanzie assolute risultano piuttosto costose per i giovani che si trovano di fronte a orizzonti temporali più lunghi, mentre per i soggetti più anziani non propensi ai rischi, che hanno orizzonti temporali più ridotti, i capitali di rischio risultano meno attraenti.
7 I pensionati potrebbero continuare a ritenere auspicabile una certa esposizione sui mercati azionari e al rischio longevità. Koijen et al. (2006) dimostrano che, in presenza di parametri plausibili, i pensionati dovrebbero destinare il 20% del proprio monte pensioni ad investimenti in titoli.
8 Cfr. Bodie et al. (1992).
9 Cfr. Teulings and de Vries (2006).
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