Rischi e vulnerabilità sociale: quali sistemi di protezione?
1. Introduzione
Come è noto, e come ricorda Baldwin (1997), sono due le esigenze che hanno dato origine ai moderni Welfare State: combattere la povertà e trasferire dal singolo individuo alla collettività, attraverso la sicurezza sociale, alcuni rilevanti rischi. Con il trascorrere del tempo i Welfare State hanno subito importanti evoluzioni: si sono differenziati in esperienze nazionali che rendono difficili i tentativi di classificazione, ma non è venuta meno la convinzione che la loro ragione d’essere consista, principalmente se non esclusivamente, nel duplice tentativo di ridurre le disuguaglianze e di offrire sicurezza agli individui (Franzini, Milone, 1999).
Il ruolo del welfare è proteggere l’individuo dai principali rischi sociali, consentendo il superamento del problema della povertà, dell’esclusione sociale e di ogni forma di disuguaglianza nella sfera economica e sociale. Tuttavia, per comprendere a fondo la portata dei cambiamenti sociali in atto, va posta specifica attenzione, innanzitutto, nei riguardi delle caratteristiche e dell’entità dei rischi, prima che del tipo di domanda di protezione sociale che i singoli, prima, e le collettività, poi, pongono al Welfare State.
In virtù della relazione esistente tra disuguaglianza e protezione sociale, nasce anche l’esigenza di valutare la corrispondenza tra le tipologie omogenee fondate sul grado e tipo di disuguaglianza esistente tra Paesi e quelle definite dalla letteratura sulla base delle caratteristiche dei sistemi di welfare, al fine di evidenziare se e con quali modalità tali sistemi rispondano a quelli che sono i loro obiettivi prioritari. Tali classificazioni soffrono, tuttavia, di alcuni limiti dovuti alle rilevanti trasformazioni in atto seguite a modifiche strutturali verificatesi nelle società che potrebbero condurre ad una diversa architettura del welfare europeo.
Infatti, tutti i sistemi di welfare sono messi in difficoltà dai nuovi rischi sociali emergenti o dal modificarsi di quelli già esistenti, ma l’azione di contrasto viene attivata da ciascun Paese attraverso modalità e strategie di utilizzo delle risorse disponibili piuttosto diversificate. Ciò renderà certo difficile il processo di convergenza verso un modello sociale europeo. Non sembra infatti realizzabile, allo stato attuale, un modello sociale unico pur nella condivisione da parte di governi dei 27 Paesi dell’Unione dell’importanza del ruolo svolto dal Welfare State nel contrasto all’esclusione sociale e alla povertà e al permanere delle disuguaglianze. Inoltre, il recente ingresso dei nuovi 12 membri dilata ancor più nel tempo l’ipotesi di una convergenza verso il modello sociale europeo, a causa delle profonde differenze esistenti tra i Paesi dell’Unione europea nell’ambito demografico, economico e sociale.
2. Analisi dei rischi. Un approccio multidimensionale
Il quadro di riferimento appena delineato ha costituito un importante punto di partenza per l’analisi e, in particolare, per la decisione di individuare aree che rappresentino fondamentali dimensioni per ciascun Paese1: demografica, economica e vulnerabilità sociale.
Nella iniziale fase di esplorazione dei dati, si è scelto di utilizzare un numero molto consistente di indicatori per rappresentare i fenomeni di ciascuna area, nel tentativo di effettuare un’analisi quanto più possibile attenta dei potenziali o manifesti elementi di crisi e di individuare Paesi con caratteristiche simili. Inoltre, alcuni indicatori, ritenuti specifici di un’area, si sono rivelati trasversali rispetto a più aree, suggerendo, da un lato, il confronto anche tra fenomeni di diverse dimensioni, ma richiamando, dall’altro, l’attenzione sulla labilità dei confini delle aree artificiosamente create.
L’utilizzo di un numero elevato di indicatori, però, se da un lato consente di essere particolarmente analitici, dall’altro, non permette di cogliere le strutture esistenti nei dati. Avendo la necessità di avere una rappresentazione completa della realtà ma, al contempo, di riuscire a cogliere gli aspetti più rilevanti — le dimensioni fondamentali — delle aree oggetto dell’analisi, si pone allora l’obiettivo di rappresentare le osservazioni anziché nello spazio originario in uno ridotto con una perdita minima di informazioni. Scopo di questa operazione è la costruzione di indicatori sintetici che siano in grado di descrivere il profilo delle unità e di riprodurre le caratteristiche di queste ultime attraverso un numero ristretto di nuove variabili.
Per studiare fenomeni complessi come vulnerabilità e rischi sociali appare opportuno procedere a differenti livelli di analisi. Alla descrizione dei fenomeni effettuata attraverso l’analisi degli indicatori elementari, si affianca anche una attività di esplorazione multidimensionale dei dati, attraverso l’utilizzo di procedure di ACP su ciascuna area per individuare le dimensioni latenti dei fenomeni oggetto di analisi (che risultano molto complessi da analizzare a causa della molteplicità degli indicatori utilizzati) e porle a confronto sia con le evidenze che derivano dall’analisi descrittiva sia con le riflessioni offerte dalla letteratura in materia. La sintesi derivante dall’analisi in componenti principali produrrà alcune combinazioni lineari che metteranno in evidenza le principali correlazioni fra variabili e stabiliranno delle graduatorie dei Paesi sotto altrettanti punti di vista ovvero quanti sono i fattori interpretati. Successivamente, si intende procedere ad una classificazione dei Paesi per individuare similarità e differenze nei gruppi di Paesi, considerando in questo caso, tutte le aree contemporaneamente.
2.1 Area Demografica
Per analizzare le caratteristiche e le tendenze demografiche dei 25 Paesi sono stati utilizzati e costruiti alcuni indicatori che possono essere sinteticamente riassunti in indicatori di struttura della popolazione, tassi di fecondità e speranza di vita2.
Ciò che ha caratterizzato la demografia europea in questi ultimi anni è soprattutto il mutamento della struttura della popolazione, ed in particolar modo, il crescente peso degli anziani sia sul totale della popolazione, sia sulla popolazione attiva.
Da un’analisi degli indicatori di struttura per età della popolazione e di quelli di dipendenza (tab. 1.1), emerge una situazione abbastanza omogenea sia per la popolazione giovane che per la popolazione anziana, all’interno delle due aree, che evidenzia come i Paesi UE a 15, ad eccezione dell’Irlanda, siano già invecchiati, mentre i Paesi di nuova adesione presentino strutture più giovani.
Tabella 1: Indicatori di struttura della popolazione. Anno 2002
Fonte: proprie elaborazioni su dati Eurostat
Le previsioni, inoltre, ci indicano che la struttura per età della popolazione continuerà a registrare anche in futuro una riduzione della classe giovanile ed una crescita rilevante della classe degli anziani e che, inoltre, le differenze tra le due aree tenderanno a diminuire, evidenziando una tendenza all’invecchiamento anche nei Paesi di nuova adesione. Inoltre, ciò che potrebbe verificarsi in futuro, e che finora non si è manifestata, è una potenziale contrazione della classe della popolazione attiva, che oggi presenta al suo interno una discreta omogeneità.
Ponendo a confronto la speranza di vita alla nascita e all’età di 60 anni (fig. 1.1), si possono agevolmente osservare due grandi fenomeni; da un lato, l’esistenza di profonde differenze tra le due aree in termini di netto svantaggio dei 10 Paesi rispetto ai 15, dall’altro, la consistenza del divario tra speranza di vita alla nascita maschile e femminile, a netto vantaggio di questa, nei Paesi di nuova adesione.
Figura 1: Confronto tra gli indicatori speranza di vita alla nascita e a 60 anni per genere. Anno 2002
Fonte: proprie elaborazioni su dati Eurostat
Tale divario si attesta per alcuni Paesi a valori superiori ad 11 anni (Estonia, Lettonia, Lituania) e ad 8 anni per altri (Polonia, Slovenia, Slovacchia). Al crescere dell’età cresce anche il divario tra la maggiore speranza di vita delle donne e la minore degli uomini, tanto che oggi si parla frequentemente di “femminizzazione della vecchiaia”.
Passando all’esplorazione multidimensionale dei dati, attraverso l’Analisi in Componenti Principali3 (ACP) per individuare le dimensioni latenti, si procede considerando in primo luogo la matrice riguardante gli indicatori dell’area demografica4.
Esaminando il piano fattoriale, si nota che i Paesi situati agli estremi del grafico sono quelli che più hanno rilievo nell’interpretazione degli assi e che più vi hanno contribuito. Analizzando, infatti, la disposizione dei Paesi rispetto al primo asse (figura 1.2), che da solo spiega poco meno del 56% della variabilità degli indicatori demografici, troviamo che si passa da Paesi come Lettonia, Estonia e Lituania fino a Italia e Spagna collocate all’estremo opposto. Ovvero da Paesi nei quali l’aspettativa di vita sia femminile che maschile è molto ridotta, anche a causa dello stile di vita che in talune circostanze condiziona la durata media della vita, e al contrario, presentano una quota elevata di giovani (% popolazione 15-24), e sono rappresentati dai Paesi di nuova adesione, fino a Paesi, sul versante opposto, che presentano aspettative di vita via via superiori che culminano con le posizioni occupate da Svezia, Francia, Italia e Spagna che rappresentano i Paesi con la più alta aspettativa di vita per entrambi i sessi ed anche un’elevata età media al parto che risulta essere correlata alla precedente. Alla sinistra del baricentro, sul primo asse, trovano collocazione tutti i Paesi già membri dell’UE ad eccezione di Malta.
Figura 2: Primo piano fattoriale relativo all’area demografica
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Un ulteriore 25% di variabilità è spiegato dal secondo asse, che vede contrapposti Paesi “giovani” a Paesi “già invecchiati”. In particolare, l’Irlanda si pone in posizione polarizzante rispetto all’Italia, Grecia e Germania. La prima, caratterizzata dal forte peso della % di popolazione 0-14 e, conseguentemente, dall’indice di dipendenza giovanile e da alti valori di saldo naturale e di TFT, le seconde, al contrario, da indice di vecchiaia, da % di popolazione 65+ e da indice di dipendenza degli anziani particolarmente elevati. Una menzione deve essere riservata alla situazione rappresentata dall’Italia5 che raggiunge i valori più elevati rispetto al panorama dei Paesi che compongono l’Unione europea per tutti e tre gli indicatori.
L’analisi in componenti principali ha fatto emergere i fattori in grado di sintetizzare le dimensioni latenti relative alla vulnerabilità e al rischio sociale legati alle caratteristiche demografiche nei Paesi dell’Unione, ma, nella convinzione che questi siano portatori di differenze, si è voluto osservare – attraverso una procedura di classificazione – come si aggregano i Paesi in gruppi rispetto ai fattori ottenuti. Il risultato della Cluster analysis ha evidenziato l’esistenza di quattro gruppi di Paesi e di due singolarità: Irlanda e Spagna6. Il primo cluster (Finlandia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Lussemburgo, Belgio, Svezia, Malta, Francia) è caratterizzato da elevati livelli del TFT e dell’indice di dipendenza giovanile, il secondo cluster (Grecia, Germania, Portogallo, Austria, Italia) da valori elevati dell’indice di vecchiaia e bassi livelli di dipendenza giovanile, nel terzo (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia) si trovano i Paesi a basso TFT e indice di dipendenza degli anziani, per il quarto (Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria) sono determinanti le variabili che evidenziano una crisi nella crescita della popolazione e nei livelli di speranza di vita.
Sabina Mazza: Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma La Sapienza e CIFE
1 È parso opportuno, in virtù del nuovo allargamento dell’Unione, estendere l’analisi ai nuovi Paesi che oggi ne fanno parte, anche per valutare in quale fase del cammino verso la convergenza siano giunti. Questo nella consapevolezza della difficoltà per quel che attiene la comparabilità dei dati.
2 Sono stati utilizzati i principali indicatori demografici: popolazione (in migliaia), TFT, tasso di accrescimento della popolazione, saldo naturale, saldo migratorio, età media al parto, % popolazione di 65 e +, % 0-14, % 15-24, % 25-49, % 50-64, speranza di vita a 60 anni femmine, speranza di vita a 60 anni maschi, speranza di vita alla nascita femmine, speranza di vita alla nascita maschi, indice di dipendenza (rapporto tra la popolazione inattiva, cioè 0-14 più 65 e +, e la popolazione attiva, cioè popolazione 15-64), indice di dipendenza giovanile (popolazione 0-14 rapportata con popolazione 15-64), indice di dipendenza anziani (popolazione 65 e + su popolazione 15-64), indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione 65 e + e quella 0-14.
Gli indicatori demografici sono stati estratti dal database di Eurostat alla sezione “Population and social conditions”.
3 Si è proceduto ad un’analisi in componenti principali normalizzata perché si intende dare uguale importanza alle diverse variabili e i pesi delle unità sono uniformi.
4 V. nota 2
5 Ciò che ha caratterizzato la demografia italiana in questi ultimi anni è, soprattutto, il mutamento della struttura della popolazione, ed è, in particolar modo, il crescente peso degli anziani sul totale della popolazione, e sulla popolazione attiva, a caratterizzare la nostra struttura demografica recente. L’indice di invecchiamento (Iv) in cinquanta anni si è raddoppiato, e le previsioni ci mostrano che nei prossimi cinquanta anni la crescita sarà quasi esponenziale, portando l’Iv a valori vicini al 35%. Per nessun paese dell’UE si prevede, nel 2051, che si raggiunga un tale livello dell’indice di invecchiamento, a conferma che l’Italia è, e continuerà ad essere, il «paese più vecchio al mondo».
6 Si tratta, infatti, di raggruppamenti composti da un solo Paese. è, pertanto, improprio definirli cluster. Si tratta di due Paesi con caratteristiche demografiche molto forti e contrapposte. L’Irlanda si caratterizza come unico Paese “giovane” tra i 15, mentre la Spagna può essere definito “vecchio”.
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