Prendersi cura di un famigliare affetto da demenza: evidenze da uno studio cross-sectional sul carico sostenuto e sul benessere psicologico del caregiver
Riassunto
Contesto e obiettivi: la ricerca non ha ancora stabilito con chiarezza se i caregivers di anziani affetti da demenza siano più negativamente influenzati dal loro ruolo di assistenti rispetto ai caregivers di anziani non dementi. Il presente studio ha esaminato ulteriormente tale ipotesi confrontando 84 diadi carers — dementi con 53 carers — non dementi in termini di carico sostenuto e benessere psicologico del caregiver. Metodi: le due tipologie di diadi individuate sono state inizialmente descritte in dettaglio per valutare la comparabilità dei due gruppi. Successivamente sono state eseguite cinque analisi della regressione multipla, per verificare se lo stato di anziano demente era predittivo delle variabili dipendenti considerate (carico oggettivo e soggettivo del caregiver, stress, ansia e depressione) una volta preso in considerazione l’effetto di potenziali fattori di confondimento.
Risultati: lo stato di paziente affetto da demenza è emerso come fattore predittivo dello stress e della depressione del caregiver, indicando che i carers di dementi riportano livelli più elevati di stress e depressione rispetto ai carers di non dementi. Inoltre, si è anche riscontrato che i carers coniugi, a confronto con i carers figli o altri parenti, riportano le conseguenze psicofisiche peggiori.
Conclusioni: questi risultati supportano la tesi che il caregiving di un paziente affetto da demenza sia un’esperienza particolarmente difficile, e che i carers di dementi — soprattutto se coniugi — hanno bisogno di maggiore sostegno da parte dei servizi di assistenza formale.
Parole chiave: coniugi carers, demenza, burden, stress, ansia, depressione
1. Introduzione
Fornire assistenza ad un anziano affetto da demenza è un compito molto impegnativo. Questa attività, che nella gran parte dei casi è svolta da assistenti informali (Kneebone e Martin, 2003; Stone et al., 1987; Wiles, 2003), spesso provoca in quest’ultimi alti livelli di stress, che a loro volta possono causare conseguenze sia fisiche che psicologiche non sottovalutabili (Barinaga, 1998; Di Gregorio et al., 2002; Macdonald e Dening, 2002; Marshall, 2001; Pinquart e Sorensen, 2003; Schulz et al., 1995), soprattutto quando gli assistenti informali sono caratterizzati da uno stato psico-fisico già compromesso (Onishi et al., 2005). A questo proposito, i carers coniugi fanno rilevare le conseguenze psicofisiche peggiori, dato che sono stati più volte individuati quali soggetti maggiormente depressi rispetto ad altri parenti (Pinquart e Sorensen, 2003; Schulz et al., 1998, 2004). Inoltre, nel caso di coniugi, la tensione emotiva derivante dall’attività di cura è risultata essere un fattore di rischio indipendente di mortalità (Christakis e Allison, 2006; Schulz e Beach, 1999).
Una questione che sta ricevendo una crescente attenzione, in questo settore di ricerca, è se prendersi cura di un paziente demente sia relativamente peggiore rispetto al prendersi cura di un soggetto in condizioni fisiche croniche e debilitanti, ma con sufficiente livello di lucidità mentale. È stato suggerito (Luce et al., 1994) che assistere una persona demente possa rappresentare “qualcosa di unico”, indipendentemente dalle caratteristiche e dal livello di coinvolgimento del caregiver.
Ciò può dipendere dal fatto che la demenza, diversamente da altre condizioni fisiche croniche, progredisce danneggiando la capacità di giudizio, la memoria e il senso di sé, fino a compromettere i presupposti per qualsiasi forma di interazione tra l’assistente e l’assistito (MacRae, 2002), tanto che la gravità della compromissione cognitiva è risultata associata con la depressione dei carers (Ballard et al., 1995). Inoltre, i cambiamenti comportamentali associati con l’insorgenza della malattia (Hooker et al., 2002) spesso rendono molto più difficile occuparsi del demente. Come conseguenza, l’assistente non riesce più a trovare aspetti positivi nel suo ruolo di caregiver.
Tuttavia, mentre appare comprensibile che le compromissioni (cognitive, comportamentali e affettive) associate con la progressione della malattia rendano i carers di dementi relativamente più stressati, le evidenze empiriche a riguardo sono insoddisfacenti. Nette differenze tra carers di dementi e di non dementi sono emerse in alcuni studi (Clipp e George 1993; Holmen et al., 2000; Ory et al., 1999), dove i primi segnalano conseguenze peggiori in termini di salute fisica percepita, di salute emotiva, di vita sociale e status economico. Inoltre, i carers di dementi fanno registrare un maggior uso di sostanze psicotrope rispetto ai carers di soggetti malati di cancro (Clipp e George, 1993), suggerendo che affrontare il declino cognitivo e comportamentale di una persona con demenza possa essere un compito particolarmente difficile per chi se ne occupa. Tali differenze tra i due gruppi di caregivers, tuttavia, non sono state confermate in altri studi. Ad esempio, in un confronto tra assistenti di malati di Alzheimer e di malati di Parkinson senza compresenza di demenza (Hooker et al., 1998), si è riscontrato che, mentre i primi riportano conseguenze peggiori per la salute mentale (ansia, depressione e altri stati affettivi positivi e negativi) rispetto ai secondi, il pattern dei risultati risulta invertito rispetto alle conseguenze sulla salute fisica (salute percepita e numero di condizioni croniche segnalate). In un altro studio, che mette a confronto carers di soggetti con demenza lieve, con morbo di Parkinson e colpite da ictus (Tommessen et al., 2002), non sono state riscontrate differenze tra i gruppi per quanto riguarda lo stress percepito dal caregiver. Differenze trascurabili tra i gruppi di caregivers sono emerse anche in una serie di altri studi (Canadian Study of Health and Ageing Working Group, 2002; Cattanach e Tebes 1991; Draper et al., 1992; Rabins et al., 1990); alcune ricerche hanno peraltro evidenziato migliori condizioni di salute per i carers di soggetti con problemi cognitivi rispetto ai carers di pazienti con disabilità fisica (Yu et al., 1993), e rispetto anche a quelli di pazienti con disabilità cognitiva ma non dementi (Hinton et al., 2003).
Nonostante tali risultati controversi, questo settore di ricerca è molto importante e merita ulteriore attenzione: mentre la maggior parte dei caregivers assiste allo stato attuale pazienti con disabilità fisica, le previsioni per i paesi della Comunità Europea indicano che il numero di persone dementi con 65 anni di età e oltre aumenterà sostanzialmente nel prossimo futuro, crescendo dai circa 4 milioni nel 2000 a circa 4,8 milioni nel 2015 (Berr et al., 2005; Eurostat, 2003; Lobo et al., 2000), e si prevede che un trend analogo interesserà tutte le principali regioni del mondo (Cleusa et al., 2005). Pertanto, l’assistenza a soggetti dementi diventerà sempre più uno degli aspetti centrali della problematica del caregiving. Se l’obiettivo riconosciuto è quello di indirizzare le risorse disponibili verso gli assistenti informali – non solo per migliorarne la qualità di vita, ma anche per rallentare il deterioramento psico-fisico degli assistiti (Leung et al., 2007) o ritardarne l’istituzionalizzazione (circostanza quest’ultima molto più frequente per le persone affette da demenza in tutti i gruppi di età, Jagger et al., 2000), contribuendo così a ridurre i costi dell’assistenza sanitaria (Bernabei, Landi e Zuccalà 2002; Michel et al., 2001; Stuart et al., 2005) – allora è importante conoscere in quali contesti un carer riporti le conseguenze peggiori per la sua attività di cura, in quanto ciò ha rilevanti implicazioni in termini di allocazione delle risorse.
Alla luce di queste considerazioni, il principale obiettivo di questo studio è stato quello di vagliare ulteriormente l’ipotesi che il prendersi cura di persone dementi produca un più forte impatto sui carers rispetto all’assistere non dementi. La presente ricerca si è concentrata sulle misure di outcome del carico oggettivo e soggettivo del caregiver, nonchè sul suo stress e benessere psicologico. Abbiamo ipotizzato che l’incoerenza dei precedenti risultati in questo settore sia dovuta all’esistenza di influenti differenze socio-demografiche tra carers di dementi e non, non adeguatamente prese in considerazione. Ad esempio, come già detto in precedenza, i caregivers coniugi denotano spesso un più elevato livello di stress rispetto ai caregivers con altra relazione di parentela con l’assistito (Pinquart e Sorensen, 2003; Schulz et al., 1995, 2004); pertanto, se un numero significativamente maggiore di coniugi viene incluso tra i carers di malati di demenza rispetto ai carers di non dementi, il primo gruppo mostrerà un livello di stress più elevato che potrebbe non essere correlato allo stato di demenza del paziente. Allo stesso modo, esistono evidenze riguardo all’influenza del genere e dell’età del caregiver, che dimostrano come le donne e i soggetti più anziani riportano più elevati livelli di depressione rispetto agli uomini e agli assistenti giovani (Baumgarten et al., 1992; Russo et al., 1995).
Anche le caratteristiche dell’assistito possono essere influenti. Ad esempio, si è accertato (Miyamoto et al., 2002) che i caregivers di pazienti dementi, con un buon livello di mobilità, segnalano un carico maggiore rispetto a quanti assistono pazienti con demenza ma uno scarso livello di mobilità, suggerendo così che, quando si esaminano le differenze tra carers di dementi e non, lo stato funzionale del paziente dovrebbe essere tenuto in considerazione. La maggior parte delle ricerche precedenti non sembra aver rivolto sufficiente attenzione a questi fattori, il che può spiegare il motivo per cui, in alcuni studi, i carers di malati di demenza fanno rilevare peggiori condizioni psicofisiche rispetto ai carers di non dementi, mentre in altre indagini non sono emerse differenze tra i gruppi. Nella presente ricerca, per esaminare ulteriormente l’impatto relativo dell’assistenza prestata ad una persona affetta da demenza, abbiamo utilizzato una strategia di analisi a tre stadi.
Nel primo abbiamo condotto una descrizione dettagliata delle diadi caregivers/assistiti dementi e caregivers/assistiti non dementi, per valutare la misura in cui i due gruppi fossero comparabili. Abbiamo quindi effettuato un’analisi della regressione multipla, al fine di determinare se lo stato di paziente con demenza potesse influenzare significativamente il carico ed il benessere psicologico del caregiver, una volta preso in considerazione l’effetto di potenziali fattori di confondimento. Infine, utilizzando un’analisi multivariata della varianza, abbiamo valutato l’ulteriore ipotesi che il coniuge caregiver possa riportare conseguenze peggiori a seguito dell’attività di cura rispetto ad altri tipi di carer. Questo fornirebbe ulteriore evidenza per ciò che riguarda la posizione particolarmente critica di questo gruppo di assistenti informali.
2. Metodo
2.1 Campione
Il campione complessivo è stato costruito attraverso un’estrazione casuale dagli elenchi degli utenti del servizio di “Assistenza domicliare programmata” (ADP) prestato in sei distretti del Servizio Sanitario Nazionale dell’Italia centrale e nord-orientale (Ancona, Camerino, Fabriano, Senigallia, Bologna-Sud e Ferrara), i quali hanno concesso l’approvazione etica allo studio sottoscrivendo un apposito consenso informato. L’ADP è un servizio diretto a pazienti esaminati dalle Unità di Valutazione Multidimensionale dei Distretti Sanitari locali interessati, pazienti ufficialmente definiti come “non in grado di raggiungere il medico di medicina generale”, e quindi nella necessità di ricevere visite supplementari a domicilio da parte appunto del medico di base, e per un massimo di quattro volte al mese. Tale criterio di ammissibilità all’ADP ha fatto sì che venissero inclusi nel campione studio — costituito da 413 anziani (età media: 84,4 anni; range: 65-105) e rispettivi assistenti famigliari principali (età media: 60,1 anni; range: 20-87 anni) — solo i caregivers che assistono anziani con almeno un moderato grado di disabilità funzionale. In questo articolo ci siamo concentrati su due sottogruppi di tale campione: diadi con presenza di soggetti dementi e non.
Abbiamo identificato le prime come quelle in cui l’assistito presenti sia il più elevato grado di disabilità cognitiva in base ad una valutazione effettuata con lo Short Portable Mental Status Questionnaire (SPMSQ) (Pfeiffer, 1975), sia una delle seguenti patologie: malattia di Alzheimer, morbo di Parkinson, demenza o demenza senile (malattie indagate attraverso domande a risposta dicotomica nel questionario dell’assistito). Abbiamo considerato, come diadi di carers e non dementi, solo quelle in cui non risultava effettuata alcuna diagnosi formale delle malattie di cui sopra e al contempo l’assistito non mostrava alcun deterioramento mentale (capacità cognitiva intatta in base allo strumento SPMSQ). Abbiamo adottato questa classificazione delle diadi, più rigorosa rispetto ad altre utilizzate in altri studi (ad es., Ory et al., 1999), per evitare un’errata classificazione dei pazienti con lieve e moderata disabilità cognitiva, i quali potrebbero soffrire di demenza o pre-demenza nonostante la mancanza di una diagnosi formale (Galluzzi et al., 2001; Honig e Mayeux, 2001; Ravaglia et al., 2003), diagnosi la cui divulgazione, inoltre, se presente, è da molti assistenti famigliari spesso sottaciuta (Corner e Bond, 2004; Fahy et al., 2003).
Tramite questa procedura, abbiamo quindi ottenuto due distinti gruppi di diadi, al fine di evidenziare meglio eventuali differenze tra carers di dementi e non. Inoltre, poiché 22 assistiti hanno frequentato in modo più o meno regolare un centro Alzheimer diurno, si è deciso di escludere dalla nostra analisi questi soggetti e i rispettivi caregivers, per evitare potenziali bias a seguito del possibile effetto positivo dovuto al sostegno ricevuto utilizzando tale servizio. Questo procedimento ha reso disponibili, ai fini dell’analisi, dati per 84 diadi di carers e assistiti non dementi e 53 diadi di carers e assistiti dementi.
1 Questo studio si basa sui dati raccolti per un progetto cofinanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR sovvenzioni, n. 96.01583.CT10, 97.01296.CT10 e 98.01504.CT10), e l’Unione europea (contratto, n. BMH4 – 98 – 3374).
Cristian Balducci: Dipartimento Ricerche Gerontologiche – I.N.R.C.A. (Istituto Ricovero e Cura Anziani: www.inrca.it), Ancona; Dipartimento Scienze della Cognizione e della Formazione – Università di Trento.
Maria Gabriella Melchiorre: Dipartimento Ricerche Gerontologiche – I.N.R.C.A. (Istituto Ricovero e Cura Anziani: www.inrca.it), Ancona.
Sabrina Quattrini: Department of Gerontological Research, I.N.R.C.A. (Italian National Research Centre on Aging: www.inrca.it) Via S. Margherita 5, 60124 Ancona (AN) – Italy.