La necessità di un ridisegno del sistema di welfare
In questo quaderno autorevoli esponenti del mondo accademico, delle professioni, uomini di finanza e assicurazione, policy makers si confrontano sul tema dell’invecchiamento della popolazione. In particolare sulle ripercussioni della longevità e dell’aumento della speranza di vita sulla sostenibilità economica dei sistemi di Welfare.
L’invecchiamento della popolazione interagisce con i bassi tassi di natalità e con l’aumento della speranza di vita, creando un bacino di popolazione anziana sempre più ampio e longevo. Da una società di genitori e figli ci stiamo trasformando rapidamente in una società di nonni e bisnonni. Le proiezioni demografiche al 2050 parlano di una popolazione anziana nell’Unione Europea che supererà i 100 milioni di persone, il 20% delle quali saranno italiani. Queste previsioni prefigurano una situazione in cui ogni persona in età lavorativa dovrà produrre un reddito sufficiente per mantenere se stesso nonché per coprire i costi di assistenza previdenziale e socio-sanitaria di almeno una persona anziana. Fino a pochi anni or sono questa corrispondenza vedeva due persone in età lavorativa sostenere una persona anziana. Questo «capovolgimento» demografico è destinato ad appesantire ulteriormente i bilanci pubblici, attraverso gli incrementi di spesa per le pensioni, i servizi sanitari e l’assistenza sociale.
Ricorderò brevemente che la spesa pensionistica ha superato il 15% del PIL, oltre 3 punti percentuali superiore alla già alta media europea. L’ISTAT ha calcolato che il deficit pensionistico ammonta a 900 euro a testa, neonati e immigrati compresi. Il nostro Paese presenta ancora importanti squilibri pensionistici, continuando a mantenere al contempo le più elevate aliquote contributive (33%) dei Paesi dell’OCSE e prestazioni pensionistiche fra le più favorevoli del mondo, con un tasso di sostituzione pari al 78% dell’ultima retribuzione e nonostante i diversi interventi di riforma che si sono succeduti nell’arco di più di un decennio.
Alle trasformazioni demografiche si sommano importanti cambiamenti epidemiologici che accentuano gli elementi disabilitanti legati all’invecchiamento e rendono particolarmente pressante l’esigenza di assistenza per anziani, disabili, non autosufficienti. Rappresenta infine un punto di grandissima fragilità per la sostenibilità di medio periodo della finanza dei bilanci regionali, cui è demandata l’erogazione dei servizi sanitari. La spesa sanitaria ha superato lo scorso anno la quota dei 102 miliardi di euro — circa il 7% del PIL. Essa è cresciuta negli ultimi 10 anni ad un tasso annuo medio del 7%, con una dinamica quasi doppia rispetto quella del PIL nominale e tre volte superiore a quella dell’inflazione. La Corte dei Conti ha stimato recentemente che le sole componenti demografiche porteranno la spesa sanitaria ad assorbire quasi il 9% del PIL entro il 2050. L’OCSE, prendendo anche in considerazione gli effetti sui consumi sanitari e sulla domanda di servizi socio assistenziali da parte di anziani non autosufficienti, stima per l’Italia una crescita della spesa sanitaria tale da raggiungere il 13% del PIL.
Di fronte a questi numeri è indispensabile sviluppare politiche di Welfare compatibili con le dinamiche demografiche e dello stato di salute della popolazione evitando di scaricare sulle generazioni future, come avviene oggi, tutto il peso delle rendite attuali. Occorre in particolar modo identificare un nuovo patto sociale in grado di garantire anche i diritti dei giovani, che sono senza rappresentanza e non hanno voce nelle decisioni sulle politiche di Welfare, per quanto siano coloro su cui gravano un imponente debito intergenerazionale e la parte maggiore del finanziamento delle pensioni dei più anziani.
Occorre infine considerare la longevità non più come semplice invecchiamento, ma come una fondamentale risorsa per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Lo scopo di questo convegno è proprio questo: passare dalla visione dell’invecchiamento come minaccia a quello della longevità come straordinaria opportunità di sviluppo.
Per farlo occorrono approcci diversi, occorre liberarsi dalle idee vecchie, aprire la testa e uscire da una gestione degli squilibri del Welfare che si preoccupa solo di gestire, in modo più o meno rigoroso, i problemi attuariali legati alla redistribuzione intergenerazionale dei redditi.
Un punto fondamentale credo sia quello di offrire ai lavoratori maggiori ambiti di libertà individuale per quanto riguarda il come e il quando andare in pensione ritirandosi completamente dall’attività lavorativa. Alle persone anziane vanno offerti incentivi economici, strumenti finanziari, servizi socio assistenziali, contesti normativi affinché possano continuare ad essere parte attiva della forza lavoro il più a lungo possibile. Occorre rendere maggiormente flessibile il pensionamento. Tuttavia sono necessari incentivi e contesti normativi appropriati, cioè capaci di incoraggiare carriere lavorative più lunghe e disincentivare uscite precoci dal mercato del lavoro. La flessibilità al pensionamento può essere praticata in vari modi strettamente legati fra loro, sia attraverso la possibilità di scegliere l’età di collocamento a riposo, sia grazie alla facoltà di uscire in modo graduale dal mondo del lavoro attraverso schemi di pensionamento parziale.
Solo attraverso interventi volti a estrarre dalla longevità tutto il suo potenziale in termini di crescita economica e sociale si può pensare di riequilibrare il nostro sistema di Welfare, rendendolo più efficiente e soprattutto più equo.
Enrico Salza: Presidente del Comitato di gestione INTESA-SANPAOLO
Tag:bilanci pubblici, cambiamenti epidemiologici, longevità