Archivio di Febbraio, 2007
I problemi aperti nella previdenza complementare italiana
1. Premessa
Alla fine del 2006 l’assetto della previdenza complementare italiana era caratterizzato da almeno quattro debolezze:
1. un basso rapporto fra l’effettivo numero di iscritti alle diverse forme pensionistiche complementari e la platea dei loro potenziali aderenti (tasso di adesione), apparente frutto di una distorta “maturità precoce” del settore;2
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Il pensionamento flessibile in Europa
1. Introduzione
I sistemi pensionistici dell’Europa allargata stanno progressivamente adattando le proprie caratteristiche alle necessità imposte dall’invecchiamento della popolazione in uno scenario in cui la loro sostenibilità finanziaria è posta sempre più sotto pressione. Uno dei canali principali attraverso cui tale obiettivo può essere raggiunto è l’innalzamento dell’età pensionabile. In questa ottica quasi tutte le recenti riforme pensionistiche riflettono la volontà di aumentare gli incentivi al posticipo del pensionamento e alla promozione di vite lavorative fino ad età più avanzate.
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Verso il nuovo welfare: punti di arrivo
Quasi vent’anni orsono, in un programma di ricerca intitolato “I Quattro Pilastri”, l’Associazione di Ginevra, considerando l’allungamento in vari paesi del ciclo di vita, ipotizzava che prima o poi si sarebbe cominciato a ritardare l’età della pensione. Le prime reazioni a questa ipotesi furono decisamente negative: si mandino a casa le persone più anziane — si diceva — e largo ai giovani.
Occorre tener presente che in Italia, come ha recentemente ribadito il governatore della Banca d’Italia, il tasso di occupazione nella fascia di età tra 55 e 64 anni supera di poco il 31%: oltre 10 punti in meno rispetto alla media dell’Unione Europea; quasi venti punti al di sotto dell’obiettivo per il 2010 condiviso dall’Italia al Consiglio europeo di Lisbona nel 2000.
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