Lavoro e salute in età avanzata: l’influenza reciproca
1. Introduzione
Nel contesto del dibattito europeo sull’invecchiamento, un ruolo centrale è ricoperto dall’evoluzione delle condizioni di salute della popolazione e in particolare dell’equilibrio tra durata e qualità della vita: il prolungamento della vita individuale viene accompagnato da un miglioramento della qualità? E che cosa si intende per “qualità” del periodo vissuto?
La qualità della vita può essere definita un fenomeno a più dimensioni che investe diversi aspetti dell’esistenza; si tratta di un processo complesso in cui interagiscono numerosi elementi appartenenti al passato e al presente della storia di ciascun individuo, ivi compresi fattori economici e sociali, come lo status professionale, i rapporti familiari, ecc. (Wiggins et al., 2004; Walker, 2005). Ne consegue che la letteratura relativa alle scienze mediche e sociali in genere definisce la qualità della vita in base alla capacità e invalidità individuali e alle condizioni di salute percepite (Fernandez-Ballesteros, 1998; Walker, 2005; Verbrugge, 1995; Beaumont et Kenealy, 2004; Robine, 2005). Il presente articolo considera le condizioni di salute come il risultato dell’opposizione tra abilità e disabilità.
Dal punto di vista politico i governi hanno un forte interesse a prevedere quali bisogni emergeranno nel campo dell’assistenza agli anziani, con un’attenzione crescente alla prevenzione di problemi funzionali e della dipendenza. Da questo punto di vista, gran parte dei Paesi europei adotta politiche per l’invecchiamento attivo volte a realizzare una “società per tutte le età”. In questo contesto, il piano internazionale d’azione sull’invecchiamento (Madrid 2002) rappresenta un punto di riferimento.
Il presente studio mira principalmente a sottolineare il rapporto tra attività, nel senso di partecipazione sociale, e salute degli anziani. Si tratta di un rapporto reciproco e biunivoco: le cattive condizioni di salute impediscono la partecipazione sociale, ma l’isolamento può ripercuotersi negativamente sulla salute, soprattutto quella mentale.
2. Il quadro concettuale
Questa ricerca è stata condotta in seno al quadro concettuale fornito dall’Organizzazione mondiale della sanità denominato International Classification of Functioning (ICF — Classificazione Internazionale su funzionamento, disabilità e salute). L’ICF classifica le condizioni di salute e gli aspetti correlati in maniera tale da descrivere la situazione di individui integrati nella società. In base a questo quadro, un’eventuale invalidità relativa alla struttura o alle funzioni fisiche potrebbe ostacolare le attività condotte dal singolo, risultando quindi in una limitazione alla partecipazione sociale. Tutti questi elementi influenzano le condizioni di salute percepite e reali e sono soggetti all’influsso di numerosi fattori ambientali e individuali.
Figura 1: Interazione tra concetti — ICF 2001
Da questo punto di vista, la salute viene inquadrata in un contesto sociale e culturale, dal quale si può evincere l’influenza reciproca esistente tra condizioni di salute, attività individuali e partecipazione sociale.
Nello specifico, l’ICF propone un elenco dettagliato di attività sociali “normali” suddiviso in nove gruppi: Apprendimento e applicazione di conoscenze; Compiti e bisogni generali; Comunicazione; Movimento; Cura di sé; Settori della vita domestica; Interazioni interpersonali; Settori principali dell’esistenza; Vita sociale e nella comunità. Tutti questi fattori sono collegati alla partecipazione sociale e vengono influenzati notevolmente dal contesto ambientale (tecnologie, servizi, politiche, assistenza e amicizie, ecc.), che può facilitare od ostacolare la partecipazione sociale stessa (per esempio chi soffre di una invalidità fisica ma vive in una zona con strutture adeguate potrebbe mantenere un livello normale di partecipazione e attività sociali).
Esiste una notevole massa di studi sul come utilizzare questo quadro di riferimento, soprattutto in relazione a quegli aspetti che collegano l’invalidità alle restrizioni alla partecipazione (Désesquelles 2002), anche se alcuni esperti sostengono che la direzione del processo sia quella inversa (Laditka 2003).
3. Dati e metodologia
Lo studio è stato condotto su dati estratti da un’indagine francese su handicap, incapacità e dipendenza fisica e psicologica (HID). Si tratta di un’indagine longitudinale comprendente due ondate: una prima fase, iniziata nel 1998, è consistita nel sottoporre un questionario a persone ricoverate in istituti sociali e di cura (1500 intervistati). Il questionario si strutturava in dieci moduli, dalle invalidità alla partecipazione sociale, compresi i limiti alle attività. La medesima batteria di domande è stata sottoposta nel 1999 a persone residenti a casa loro (16500 intervistati). Due anni dopo entrambi i gruppi delle stesse persone sono stati intervistati una seconda volta.
La prima ondata dell’indagine HID è rappresentativa dell’intera popolazione francese, mentre la seconda illustra l’evoluzione delle situazioni individuali.
Le variabili considerate nell’analisi riguardano le limitazioni funzionali fisiche, sensoriali e cognitive (invalidità) fino alle limitazioni delle attività e alle restrizioni della partecipazione: dal punto di vista fisico, si considera la capacità individuale di utilizzare mani e dita senza problemi; per quanto concerne la salute mentale, le variabili tengono conto delle capacità di orientamento spazio-temporale: se il soggetto riesce a ricordare che ora è e se riesce a ritrovare la strada di casa; le limitazioni funzionali sensoriali fanno riferimento alla capacità individuale di vedere da vicino, sentire o parlare. Per quanto concerne le limitazioni alle attività, il riferimento è dato dalle cosiddette attività della vita quotidiana (Activities of Daily Living — ADL), per esempio lavarsi, vestirsi, mangiare cibi precotti, andare al bagno, alzarsi da letto o da una sedia.
Per ciascuna domanda le risposte possibili sono raggruppate in quattro categorie: nessun problema; qualche difficoltà; grandi difficoltà; necessità di assistenza. Anche se la situazione più frequente è la prima, il presente studio adotta una definizione restrittiva di invalidità, secondo la quale i disabili sono persone che incontrano grandi difficoltà o che necessitano di assistenza in tutti i campi.
Di conseguenza si è giunti a una sintesi delle limitazioni alle attività e delle invalidità di tipo fisico, sensoriale e mentale; ciò significa che i soggetti risultano “limitati” nella vita quotidiana se hanno bisogno di assistenza o incontrano grandi difficoltà in almeno uno dei campi ADL. Per quanto riguarda la salute mentale, si considera un individuo “invalido” se non controlla il proprio orientamento spaziale o temporale (cioè se perdono spesso o costantemente l’orientamento in almeno uno o due dei campi considerati), ecc.
Per quanto concerne la partecipazione sociale, le variabili che entrano in gioco comprendono la vita coniugale (non necessariamente il matrimonio: è sufficiente la convivenza); l’esistenza e disponibilità di contatti familiari e sociali; lo status sociale (dipendenti, manager, dirigenti); sono state anche prese in considerazione eventuali informazioni riguardanti esperienze drammatiche avvenute negli ultimi due anni (di norma si tratta della morte di un congiunto); la vita associativa (se il soggetto sia o no membro di almeno un’associazione); le vacanze (se il soggetto vada o no in vacanza per almeno una settimana all’anno).
Cristina Giudici: Università La Sapienza, Roma.
Tag:salute e lavoro, salute e rapporti sociali