QUADERNI EUROPEI SUL NUOVO WELFARE

Il problema dell’età pensionabile: un punto di vista sindacale

Negli ultimi 10 anni i sindacati europei, assieme a quelli extraeuropei dei Paesi più sviluppati, sono stati intensamente impegnati in un’opera difficile e altamente conflittuale di difesa dello stato sociale costruito nel dopoguerra. Nel condurre questa battaglia hanno assunto per lungo tempo un atteggiamento di pura resistenza, che si è contrapposto a quello aggressivo dei governi, sia di destra che di sinistra, incalzati dal debito pubblico e dal problema della competitività in un quadro economico globalizzato.
Oggi da entrambe le parti si tenta finalmente di affrontare la questione con maggiore equilibrio e lungimiranza, partendo da un’analisi dell’invecchiamento della popolazione e dalla crescente consapevolezza che esso va vissuto come opportunità, non come problema o peggio come fonte di declino dei sistemi di protezione sociale.
Arrendersi a una competizione globale basata esclusivamente sul fattore dei costi del lavoro e del welfare oltre che impraticabile è palesemente inaccettabile per la società occidentale. La sfida più attuale si vince con la capacità di individuare nuovi fattori di competitività, nonché di condividere la nostra qualità della vita con i Paesi in via di sviluppo, sia in termini di crescita economica e di incremento dei consumi, che di affermazione progressiva dei diritti delle persone, dei gruppi sociali, dell’ambiente e della rappresentanza politica. In caso contrario, infatti, già nel breve periodo il mondo occidentale rischia di essere condannato a un irrimediabile declino.
La capacità di fronteggiare il cambiamento e di immaginare nuovi fattori competitivi passa anche attraverso profonde riforme dei sistemi sociali, non volte come in passato semplicemente a contenerne i costi, bensì soprattutto a modificarne la natura in relazione ai cambiamenti economici e sociali. Non si tratta cioè di ridurre le spese, che sono viceversa destinate a crescere, ma di incrementare le entrate e meglio utilizzare le risorse disponibili.
In questa ottica l’analisi della modifica del mix demografico e della conseguente curva della spesa sanitaria e sociale costituisce uno dei punti più delicati e fertili del dibattito che si dovrà sviluppare.
A lungo il sindacato si è battuto per non incrementare l’età pensionabile, così come per difendere i prepensionamenti in caso di crisi aziendali e per non introdurre elementi di flessibilità nel mercato del lavoro. In un Paese come l’Italia in cui non esiste un sistema coerente ed efficace di ammortizzatori sociali e di collocamento al lavoro queste preoccupazioni sono legittime. Tuttavia la linea di battaglia del contenimento dell’età pensionabile va assolutamente abbandonata, pena il rischio di ritrovarci molto presto con pensioni pubbliche vicine alla soglia di povertà, anche se integrate dai fondi di previdenza complementare.
Allungare l’età pensionabile è indispensabile per seguire l’incremento demografico della popolazione, evitando di consegnare le persone a una vita inattiva, fonte di maggiori patologie sanitarie e di una vecchiaia infelice. Allungare l’età pensionabile è inoltre l’unica strada per conquistare un incremento del valore delle pensioni che segua la crescita reale del costo della vita.
Per conseguire pienamente questo obiettivo è ovviamente necessario affiancare alla previdenza pubblica un secondo pilastro di previdenza complementare che ne integri la redditività. Dopo la riforma del 1995, che il sindacato ha sostenuto con convinzione anche fronteggiando il dissenso di molti lavoratori, il sistema della previdenza pubblica in Italia ha raggiunto, depurata dall’assistenza, un sostanziale equilibrio finanziario. Viceversa sono ancora al palo, per responsabilità dell’attuale Governo, le riforme degli ammortizzatori sociali e della previdenza complementare.
In particolare per quest’ultima lo scoglio principale, sul quale il sindacato e le associazioni degli imprenditori si sono giustamente irrigiditi, è costituito dalla volontà del Governo (con il significativo dissenso del Ministro del Welfare) di equiparare i fondi chiusi istituiti dalle parti sociali ai fondi aperti e alle forme assicurative promosse dalle compagnie private. Ciò è inaccettabile per varie ragioni: perché confonde il secondo pilastro della previdenza con il terzo, quello del risparmio individuale; perché i fondi chiusi impiegano risorse che derivano da accordi contrattuali, con i quali i lavoratori accettano di investire in previdenza parti del loro salario di cui vogliono giustamente disporre attraverso i propri rappresentanti nei fondi; perché i fondi chiusi negoziali garantiscono agli assicurati forme di controllo sugli investimenti e sulla gestione che le assicurazioni private negano ai propri clienti.

Luca Visentini: Segretario Generale UIL Friuli Venezia Giulia e Consigliere di amministrazione Area di Ricerca — Science Park e Elettra —Sincrotrone Trieste.


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