Invecchiamento e psicologia: considerazioni sulle prospettive di intervento
1. Introduzione
La diminuzione delle nascite ed il conseguente aumento dell’età media della popolazione sono fenomeni ormai ben accertati e risaputi. I progressi della scienza medica ed i miglioramenti della condizione igienica e alimentare hanno inoltre comportato nel nostro, come negli altri Paesi Occidentali, un progressivo allungamento della durata media della vita. Tale processo demografico, benché indubbiamente positivo, ha tuttavia tante e tali ripercussioni a livello macro e micro (sistema assistenziale, sanitario, previdenziale, per fare solo qualche riferimento) da essersi imposto all’attenzione dell’opinione pubblica: la popolazione anziana è aumentata in maniera considerevole e nel futuro il fenomeno si accentuerà ancora in maniera tale da generare nella società problemi non indifferenti in termini di assistenza sanitaria e di problematiche sociali. Secondo i dati ufficiali ISTAT l’indice di vecchiaia, che esprime il rapporto tra la popolazione ultra 65enne e la popolazione fino ai 14 anni, è destinato infatti ad attestarsi al 146% entro il 2010. Appare dunque essenziale che ogni sistema nazionale e regionale si mobiliti sul piano strategico-operativo al fine di trovare tutti gli strumenti necessari per mettere in atto le risposte culturali, politiche ed organizzative necessarie a far fronte a questo imponente cambiamento demografico. Per evitare il pericolo che l’invecchiamento demografico si tramuti in decadimento culturale e in involuzione economica anche la psicologia deve trovare la sua giusta collocazione accanto agli interventi politici, sanitari e sociali, e dare il suo contributo in sintonia con le altre tipologie d’intervento.
2. Senilità = cambiamento. Un binomio da valorizzare
Pur riconoscendo gli sforzi messi in atto dalle politiche sanitarie dei diversi Paesi per dare risposta alle esigenze di assistenza alla popolazione anziana, è indubbio che il primo ostacolo alla realizzazione di interventi mirati rimane una concezione spesso stereotipata dell’invecchiamento. In seguito all’instaurarsi di una scala di valori diversa, l’anziano spesso viene concepito come un soggetto bisognoso in senso lato e che assorbe risorse dalla società. Mentre un tempo la vecchiaia era la fase della saggezza e dell’equilibrio morale e l’anziano era la memoria storica della società, il custode della tradizione e il detentore di un patrimonio di esperienza professionale tramandabile alle generazioni future, oggi la cultura dominante tende a delinearlo come un “soggetto inattivo” in quanto economicamente non produttivo. Se è pur vero che in età molto avanzata (ci riferiamo qui a quella che è stata definita la “Quarta Età”) l’anziano può perdere gradualmente l’autosufficienza come conseguenza del manifestarsi di patologie deabilitanti e disabilitanti, sia fisiche che psichiche, tale condizione non accomuna l’intera popolazione anziana. Molti dei soggetti più giovani godono infatti di buone condizioni fisiche, hanno prospettive di vita più lunghe e si trovano a progettare un futuro ancora ampio e variegato, potenzialmente ricco di interessanti esperienze di vita e possibilità di autorealizzazione. Da questo punto di vista, come rilevano le indagini del Censis, la condizione anziana è tutt’altro che una condizione spenta e passiva e di fatto il sentirsi anziano non coincide con il superamento di una soglia anagrafica (fissata indicativamente a 65 anni), quanto piuttosto con il pensionamento, con l’imbattersi in circostanze quali l’entrare in istituzioni o essere debilitato fisicamente. Non a caso queste tre situazioni, prime nella graduatoria dei motivi del sentirsi anziano, hanno fortemente a che fare più con una senescenza psicologica che con una senescenza fisiologica: il pensionamento coincide spesso con la perdita di ruolo e status sociale, l’entrare in istituzione cambia radicalmente il proprio contesto di vita e i riferimenti relazionali, un handicap fisico modifica il proprio livello di indipendenza, e l’insieme di queste condizioni produce inevitabilmente una distorsione o un cambiamento nell’immagine di sé.
Appare dunque essenziale, per comprendere il fenomeno “invecchiamento”, definire che cosa si debba intendere con questo termine e quali siano gli aspetti salienti che lo caratterizzano. Vi è accordo generale nel ritenere la Terza Età una fase dello sviluppo dell’individuo che, come le altre fasi, si accompagna inevitabilmente a processi di trasformazione. Attualmente le teorizzazioni di stampo socio-psicologico invitano a sostituire al binomio della tradizione secondo cui vecchiaia = decadimento, un binomio forse più complesso, ma certo maggiormente esplicativo ed operativamente maneggiabile, secondo cui senilità = cambiamento. Diverse sono le vicissitudini che richiedono alla persona anziana di adattarsi a una nuova condizione e, come esemplificazione, ne citiamo qui di seguito alcune:
• i progressivi mutamenti fisiologici (es. diminuzione delle funzioni visive ed uditive, riduzione della mobilità);
• la compromissione dello stato di salute concomitante all’eventuale insorgenza di malattie croniche invalidanti;
• il possibile deterioramento delle funzioni cognitive (es. demenza);
• la ristrutturazione di aspetti caratteriali e di conseguenza comportamentali
• la variazione nei contatti sociali, per lo più connessa alla vedovanza, alla perdita di amici o familiari, ma anche conseguente alla necessità di fornire assistenza continua a persone significative della propria rete parentale ed amicale;
• l’eventuale dipendenza da estranei;
• i cambiamenti di tipo logistico (es. trasloco in una abitazione diversa dalla propria o istituzionalizzazione);
• una nuova condizione economica, che può condizionare lo stile di vita;
• lo stereotipo negativo sugli anziani, dovuto al fatto che la nostra cultura ha una preferenza per i termini “sano, giovane, forte” e questo può influire negativamente sull’immagine che l’anziano stesso ha di sé.
Benché ciascuno di tali problemi possa essere superato, difficoltà psicologiche potrebbero insorgere nel caso in cui l’anziano sia costretto ad affrontare, come spesso accade, più problemi simultaneamente. La capacità di adattarsi alle nuove richieste-opportunità dell’ambiente sulla base delle proprie potenzialità e di aspetti intrapsichici preesistenti determina il grado in cui l’anziano può “superare” serenamente il delicato passaggio che si trova ad intraprendere per raggiungere un nuovo equilibrio, fonte di benessere e sicurezza. Partendo dalla considerazione che non sia tanto la singola patologia che porta l’anziano alla mancanza di autosufficienza (e quindi all’aumentata richiesta assistenziale) quanto piuttosto la disabilità che risulta dalla comorbidità e dall’influenza di fattori quali l’isolamento sociale e la generale scarsa conoscenza del mondo soggettivo dell’anziano, la disciplina psicologica può contribuire a dare una risposta adeguata ai bisogni espressi dagli anziani e al contesto in cui sono inseriti. La comprensione e l’intervento psicologico possono in tal senso consentire una riconsiderazione ed un ridimensionamento del “problema” dell’aumento della popolazione anziana nelle società moderne nelle sue conseguenze economiche e sociali.
Donatella Basso, Daniele Boschi, Chiara de Castro, Nadia Gamboz, Kinga Kaldor, Milena Pascotto e Anna Sverzut: Gruppo di lavoro sulla Psicologia dell’Anziano dell’Ordine degli Psicologi Friuli Venezia Giulia.
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