La doppia elica della formazione e del lavoro
Negli ultimi trent’anni due sono le tendenze principali, molto evidenti e causa di accesi dibattiti, che hanno caratterizzato gli sviluppi sociali. La prima ha riguardato l’emergere del concetto della formazione permanente e delle pratiche a essa collegate. Il modo tradizionale di concepire e organizzare l’istruzione come un blocco continuo della durata compresa tra i dieci e i diciotto anni, collocato all’inizio della vita dell’individuo e istituzionalizzato attorno a scuola e università, viene sostituito da un modello più flessibile, in virtù del quale la scolarità formale, come pure l’istruzione non formale e informale, vanno a coprire periodi sempre più lunghi.
L’attenzione è andata spostandosi verso la formazione. Analogamente, il lavoro non viene più percepito come un’attività cui è destinata in maniera continuativa l’esistenza adulta, riservata per un periodo di trenta o quarant’anni all’occupazione contrattualizzata in imprese produttive, istituzioni amministrative o nei servizi. Il lavoro stesso è stato suddiviso in categorie equivalenti alla triade formale, non formale e informale, a seconda della natura della remunerazione (monetarizzata, monetizzata o non monetizzata, cfr. Giarini e Liedtke, “Wie wir arbeiten werden”, Hoffman und Campe, Hamburg, 1998). Inoltre ha subito un prolungamento che lo ha tramutato in “lavoro permanente”.
In virtù della strutturazione soggiacente a questi due modelli paralleli validi per l’istruzione e il lavoro, sono emerse istanze comuni o correlate nel corso di un processo caratterizzato da fortissima espansione della conoscenza, inedite innovazioni tecnologiche e accelerazione del cambiamento. I fattori che sembravano in grado di mantenere la stabilità per tutta la vita, sia nella formazione che nel lavoro, si sono dimostrati validi solamente per brevi periodi di tempo. L’imperativo oggi è adattarsi e aggiornarsi.
La rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha rappresentato il singolo fattore principale che, all’inizio del XXI secolo, sta sostituendo i vecchi cliché con nuove immagini. Il riferimento a “qualcuno che impara” non evoca più un bambino che usa carta e penna seduto dietro un banco in un’aula scolastica, ma una persona di qualunque età seduta al computer; il riferimento a un impiegato non evoca più qualcuno che lavora in ufficio o in officina, ma una persona di qualunque età che usa il computer.
Il computer, questo comune apparecchio che continua a modificare le basi di due processi essenziali per la vita come la formazione e il lavoro, fa sorgere le seguenti domande: che forma stabile assegnerà a questi due processi dopo l’attuale periodo di transizione? Come lavoreranno gli esseri umani nel XXI secolo?
La prima osservazione che va fatta è che entrambi i processi stanno attraversando una fase di cambiamento incoerente, disordinata, a balzi. Al termine di decenni di dibattiti su ciò che è stato definito formazione permanente prima e formazione continua poi, ci si poteva aspettare che il concetto si sarebbe cristallizzato e avrebbe avuto validità generale. Poiché le circostanze delle ricorrenti crisi occupazionali sono state analizzate ad nauseam, ci si sarebbe potuti attendere misure più articolate dell’effettivo calderone di tentativi volti a ridurre l’orario di lavoro e posticipare l’età pensionabile. Le ragioni di tutti questi ritardi e queste esitazioni risiedono nel fatto che sia la formazione che il lavoro sono stati per lungo tempo regolamentati da normative e istituzioni conservatrici, con radici profonde e tradizioni forti. La scuola è sempre stata una delle istituzioni più conservatrici, in parte a causa del desiderio che ogni generazione ha di tramandare i propri valori e le proprie conoscenze alla generazione successiva. Dal canto suo, il lavoro è stato sottoposto all’evolversi del diritto nazionale e degli accordi internazionali che rispecchiavano i numerosi mutamenti che hanno riguardato i rapporti tra datori di lavoro e dipendenti. Mentre i lavoratori acquisivano nuovi diritti, il lavoro salariato rimaneva un punto di riferimento fisso. In breve, entrambi i sistemi della formazione e del lavoro sono caratterizzati da rigidità e inflessibilità; appesantiti da una pletora di regolamenti particolareggiati e spesso inutili, scoraggiano l’innovazione e non sono in grado di ospitare e applicare in maniera generalizzata eventuali esperimenti creativi.
La seconda annotazione riguarda il fatto che entrambi i sistemi sono dominati da una vocazione ossificata e da un’unica formula formativa. Il risultato finale è “l’uomo a una dimensione” (Marcuse, in MacIntyre, 1970), il quale nella vita segue un unico binario prestabilito. Come un passaporto, il diploma scolastico contiene informazioni sulla natura e sul livello dell’istruzione di una persona, che viene destinata alla pratica di una professione ben definita in un dato ambito lavorativo. La persona in questione è giocoforza condannata a cercare occupazione esclusivamente nelle varie branche di quella professione. È possibile progredire solo all’interno di essa, e la carriera termina improvvisamente all’età della pensione. Questo scenario rimane quasi immutato nonostante l’impressionante prolungamento della speranza di vita media. Un letto di Procuste che obbliga tutti ad adattarsi a uno schema immutabile e sacrificarvi qualsiasi capacità eccedente i limiti imposti. Il divorzio tra titolo professionale e professione prescelta diventa evidente quando si cambia direzione nel momento cruciale del passaggio dalla scuola al lavoro. Ingegneri che imparano e svolgono mansioni di amministrazione economica, medici che conducono ricerche di biologia, umanisti che passano all’industria del software, informatici che si impegnano in campo finanziario, agricoltori che si trasformano in ecologisti — gli esempi non mancano. E che dire della massa di persone che rimangono senza lavoro per il semplice motivo che le loro competenze sono state rese inadeguate e obsolete dall’avvento di nuove tecnologie o esigenze formative più complesse?
Oggi è evidente che il meccanismo di accoppiamento tra il sistema della formazione e quello del lavoro non funziona correttamente. I costi sono elevati. I giovani devono re-iscriversi in facoltà diverse perdendo, da un punto di vista pratico, quattro o cinque anni della loro vita. Gli adulti a metà della carriera sono obbligati a ricominciare daccapo. Le masse di persone che sono state emarginate continuano ad aumentare, e la società si trova di fronte al problema delle classi sottoprivilegiate e dell’aumento della povertà.
La terza osservazione deriva da quella precedente. Formazione e lavoro sono sempre state considerate realtà distinte. Non vi sono precedenti che facciano pensare che vanno studiate insieme. Espressioni come “scuola e vita”, “scuola e società”, “la scuola per il lavoro” o “la scuola del lavoro” si riferiscono a vaghi tentativi di unione, ma in fin dei conti l’analisi simultanea di questi due sistemi correlati e inscindibili non è stata oggetto di ricerche sistematiche e coerenti. Quando finalmente tale analisi viene condotta, essa trae vantaggio dalla coerenza di metodo, obiettivi e logica, rivelando che le malattie dei due sistemi hanno origine comune, che le loro debolezze sono solo sintomi diversi del medesimo disturbo e che, di conseguenza, la cura va individuata per mezzo di un unico sforzo terapeutico.
Proprio in questo risiede lo scopo del presente lavoro. Ci siamo affidati all’esperienza precedente delle nostre relazioni al Club di Roma, una dedicata alla riforma dell’istruzione e l’altra al futuro del lavoro. Stavolta ci siamo impegnati in uno studio che riguarda contemporaneamente il sistema d’istruzione e quello del lavoro nel XXI secolo, tenendone in considerazione le conoscenze potenziali e le attività produttive.
Il simbolo della doppia elica risulta appropriato. È stato scelto scientemente per sottolineare il livello di interazione tra le due sfere. Poiché le soluzioni consigliate si basano sulla combinazione di unità mobili e trasferibili, il valore simbolico della doppia elica appare ancora più eloquente.
È necessario tuttavia indicare dove la metafora cessa di essere utile. A differenza dell’elica genetica, che rappresenta un dato quasi immutabile, la doppia elica della formazione e della pratica resta permanentemente in costruzione e può essere riorientata almeno ogni uno o due anni. Rimane comunque vero che la doppia elica della formazione e del lavoro rispecchia il percorso di vita originale, quasi unico e irripetibile, di ogni individuo, con tutte le sue innumerevoli ramificazioni creative.
Un esempio personale potrà forse dare al lettore un’idea più esauriente della situazione. John è il figlio di un marinaio, nato e cresciuto sulla costa dell’Atlantico. Per tradizione la famiglia subisce il fascino del mare; così, a 16 anni, dopo aver completato il ciclo di istruzione di base tra i 6 e i 14 anni, seguito da due anni di istituto professionale, John entra a far parte dell’equipaggio di un peschereccio. Passa in mare due anni e acquista familiarità con ogni tipo di attrezzatura meccanica e con l’arte della navigazione.
Mircea Malitza: Presidente dell’Università del Mar Nero, Bucarest. Il presente articolo è l’introduzione all’omonimo libro pubblicato da Unesco-Cedes, Bucarest, 2003.
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