Invecchiamento, disabilità e la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell’OMS
1. introduzione
In tutto il mondo, i responsabili a livello decisionale si interessano da lungo tempo degli effetti sociali ed economici dell’invecchiamento della popolazione, in particolare per quanto concerne l’impatto del declino della partecipazione al mercato del lavoro sulle pensioni e su altre forme di assicurazione del reddito. I progressi tecnologici nella diagnosi e nelle cure mediche e il miglioramento dell’alimentazione sono tra i fattori che hanno condotto al prolungamento della vita in buone condizioni di salute. Parallelamente al calo delle nascite, tutto ciò ha portato a un aumento dei consumi in termini di servizi sanitari e a una diminuzione dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro. La percentuale dei pensionati rispetto agli occupati (il “rapporto di dipendenza”) cresce in maniera costante, ripercuotendosi sulle modalità con cui ogni società finanzia i servizi sanitari, le cure a lungo termine, le pensioni e altri servizi sociali.
Nel 1987, in risposta a tali tendenze, l’Associazione di Ginevra ha sviluppato l’agenda di ricerca denominata dei “Quattro pilastri” con l’obiettivo di ripensare l’assistenza sanitaria e la previdenza sociale. Oltre ai tre pilastri del sistema pensionistico contributivo pubblico, dei fondi privati di categoria e dei risparmi individuali, l’Associazione ha riscontrato la necessità di riformare i modelli occupazionali e pensionistici al fine di prolungare la vita lavorativa. Successivamente si è dato il via a un altro progetto di ricerca, “Salute e invecchiamento”, nell’intento di studiare interventi in grado di garantire una vita attiva e in buona salute oltre i 65 anni, come pure iniziative volte a organizzare e finanziare le cure a lungo termine.
Gli obiettivi paralleli del prolungamento della vita lavorativa e del prolungamento della vita in salute a fini lavorativi si basano sulla singola strategia sociale volta a incoraggiare la partecipazione dei cittadini in età avanzata al mondo del lavoro, nell’intento di raggiungere una suddivisione più equa dei costi dell’invecchiamento tra l’intera popolazione. Allo stesso tempo, il rafforzamento della partecipazione al mondo del lavoro e il calo della disoccupazione sono obiettivi che rientrano tra i diritti umani e sottolineano l’importanza assunta dalla possibilità di garantire che tutti, a prescindere all’età o dalle capacità funzionali, partecipino pienamente alle attività fondamentali dell’esistenza.
Tuttavia, entrambi i traguardi presuppongono da parte nostra anche la capacità di individuare, valutare e misurare le aree di indebolimento funzionale che dipendono dall’avanzare dell’età e, forti di tali conoscenze, di ideare iniziative, strategie e politiche che rafforzino la partecipazione al lavoro. Non si tratta di una semplice raccolta di dati: sorge la necessità di un nuovo, importante e radicale orientamento concettuale.
La relazione tra le capacità lavorative di un individuo — la capacità di lavorare in sé e per sé — e l’ambiente di lavoro con le sue esigenze risulta sia interattiva che negoziabile. In genere pensiamo che le persone debbano essere “abili al lavoro”, ma dovremmo anche pensare in termini di lavoro adatto alle persone. Anche se, tramite interventi medici o riabilitativi o grazie alla riqualificazione professionale, è possibile rallentare la diminuzione delle capacità lavorativa, fino al suo completo arresto, esistono limiti naturali oltre i quali è impossibile spingersi. L’alterazione e l’indebolimento delle capacità funzionali rappresenta un cambiamento biologico naturale che in gran parte sfugge al nostro controllo. Possiamo però controllare l’altro fattore dell’interazione: l’ambiente di lavoro e le sue esigenze. La chiave per prolungare la vita lavorativa comporterà sempre più uno sforzo coordinato volto sia a rafforzare le capacità funzionali individuali adatte allo svolgimento di un compito, sia a rendere l’ambiente di lavoro più consono a tali capacità.
In fin dei conti, le strategie necessarie per affrontare il problema economico del finanziamento delle pensioni si riducono al bisogno di informazioni attendibili, valide e utili circa gli effetti dell’invecchiamento sui lavoratori e sull’ambiente di lavoro, come pure di un modello più corretto per valutare l’interazione tra gli individui e i loro livelli di coinvolgimento nella forza lavoro. Nel presente articolo si sostiene che esiste uno strumento di classificazione, sviluppato, sperimentato e perfezionato sotto la guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che fornisce sia la base scientifica per raccogliere informazioni valide, sia un modello di interazione utile e funzionale.
2. L’ICF: funzionamento e disabilità
Sin dalla fondazione, l’Organizzazione mondiale della sanità ha ritenuto che la possibilità di avere tempestivamente informazioni attendibili sullo stato di salute della popolazione fosse un fattore essenziale per lo sviluppo e l’attuazione delle politiche pubbliche. A partire dal 1947, la costituzione dell’OMS ha chiesto ai governi di riferire le “cause di morte” o le statistiche sulla mortalità in base alla Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi correlati alla salute (ICD-10). Sebbene fossero utili per misurare la speranza di vita, questi dati non erano in grado di fornire una panoramica esauriente delle condizioni di salute delle varie popolazioni. Mancavano informazioni sulle lesioni non fatali, cioè sui livelli di funzionamento e disabilità in tutti i settori dell’esistenza.
Perché i dati su malattie e infermità, prevalenza e incidenza non sono sufficienti a comprendere lo stato di salute della popolazione? Perché le informazioni sulle disabilità devono far parte del quadro sanitario su cui basiamo le politiche da adottare? La risposta ci viene fornita dai fondamenti dell’epidemiologia. Grazie alle numerose ricerche, sappiamo che la sola diagnosi non basta a prevedere i bisogni in termini di servizi sanitari, tempi di degenza, o livelli di assistenza richiesti. Così, neppure la presenza di una malattia o un disturbo rappresenta un indicatore accurato per prevedere l’assegnazione di una pensione di invalidità, le prestazioni lavorative, il potenziale ritorno al lavoro o la probabilità di integrazione sociale. Ciò significa che di per sé la classificazione delle diagnosi non ci fornisce le informazioni necessarie a pianificare e gestire i servizi sanitari. Ci manca insomma un quadro d’insieme delle condizioni di salute, che includa funzionamento e disabilità.
Inoltre, i responsabili delle politiche sociali e gli enti assistenziali ritengono con sempre maggiore convinzione che sia possibile ridurre l’incidenza e l’entità della disabilità in seno alla popolazione tramite il rafforzamento delle capacità funzionali individuali e il miglioramento delle prestazioni, cui si perviene modificando le caratteristiche fisiche e sociali dell’ambiente in cui ciascuno si trova a vivere. Per analizzare l’impatto di tali diversi interventi, occorre trovare un modo per classificare quegli aspetti dell’esistenza e quei fattori ambientali che conducono a un miglioramento delle prestazioni.
Al fine di raccogliere queste importanti informazioni di carattere sanitario, nel 1980 l’OMS ha pubblicato uno strumento per la classificazione delle conseguenze delle malattie, ovvero la Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali (ICIDH). In risposta alla richiesta internazionale di una versione aggiornata, nel 1993 si è dato inizio a un processo di revisione. Nel corso del decennio successivo i centri internazionali che collaborano in seno all’OMS e le organizzazioni governative e non governative, ivi compresi le rappresentanze dei disabili, hanno partecipato allo sviluppo sistematico di una nuova versione rivista dell’ICIDH. Non è stato risparmiato alcuno sforzo affinché l’ICIDH-2 fosse adatto a cogliere un’ampia gamma di ambiti di funzionamento associati alle condizioni sia fisiche che mentali. Per usare il gergo degli sviluppatori di programmi informatici, a partire dal 1996 sono state approntate versioni “alfa” e “beta”. Dopo aver approntato i prototipi iniziali, una batteria di prove sul campo si è concentrata sull’applicabilità linguistica e interculturale del modello, oltre che sulla struttura classificatoria e sul linguaggio dell’ICIDH-2. Sono stati poi pubblicati i principi cui soggiace la metodologia e un’analisi delle prove sul campo in 15 Paesi (Üstün et al., 2000).
Dopo la presentazione alla Direzione generale dell’OMS nel dicembre 2000, questo strumento, ribattezzato Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) è stato inserito all’ordine del giorno delle LIV Assemblea mondiale della sanità. La nuova denominazione rifletteva il desiderio di superare l’approccio basato selle “conseguenze della malattia” e di sottolineare il funzionamento quale componente della condizione di buona salute. Nel maggio 2001 l’ICF è stato adottato all’unanimità e gli Stati membri sono stati invitati a utilizzarlo “nelle ricerche, nei controlli e nelle relazioni in base alle effettive necessità”.
Dopo la sua approvazione, l’ICF è entrato a far parte della famiglia delle classificazioni internazionali dell’OMS. Se l’ICD-10 fornisce i codici di mortalità e morbilità, l’ICF fornisce i codici per descrivere la gamma completa delle condizioni di salute e quindi offe un quadro completo della situazione. I due strumenti sono complementari e l’OMS ne incoraggia l’uso congiunto ogni qual volta sia possibile. In questo modo si ottiene una rappresentazione più esauriente delle condizioni di salute di singoli individui e intere popolazioni.
Oggi l’OMS utilizza l’ICF come griglia di valutazione dello stato di salute e delle disabilità, offrendo le basi concettuali per definire e misurare tutti gli aspetti della disabilità, oltre che per formulare politiche in proposito. Come indicato dal nome, l’ICF pone l’accento sulle condizioni di salute e sui livelli di funzionamento, mentre in passato la disabilità iniziava laddove cessava lo stato di salute: una volta classificati come disabili, si entrava a far parte di una categoria a sé stante; la disabilità era una questione di “o tutto o niente”. L’ICF, invece, la presenta come un continuum che abbraccia l’intera esistenza di ciascuno a livelli diversi e in momenti diversi. Si tratta di un cambiamento radicale. La disabilità non è qualcosa che riguarda solo una minoranza del genere umano; si tratta invece di un tratto comune (o addirittura naturale) della condizione umana. L’ICF riguarda tutti, non solo coloro i quali venivano tradizionalmente identificati come “disabili” e, di conseguenza, erano relegati in un gruppo distinto.
L’ICF rende “politicamente corretta” l’esperienza della disabilità e la riconosce in quanto condizione umana universale. Spostando l’accento dalla causa all’intera gamma delle esperienze vissute, pone sullo stesso piano tutte le condizioni di salute e ne permette il confronto in base a un sistema di misurazione condiviso — il metro della salute e della disabilità. Invece di sottolineare le disabilità, etichettando le persone come “disabili”, ora ci concentriamo sul livello di salute e sulle abilità funzionali di tutti.
Il modello che soggiace all’ICF configura la disabilità come un’interazione dinamica tra condizioni di salute (malattie, disturbi e lesioni) e fattori contestuali. Il contesto comprende i fattori ambientali, ovvero tutti gli aspetti legati all’ambiente fisico e sociale, frutto delle azioni e degli atteggiamenti umani, i quali contribuiscono a definire l’esperienza vissuta della disabilità. Anche se non vengono definiti in seno all’ICF, i fattori contestuali comprendono anche aspetti personali come il genere, l’età, le modalità di interazione, l’estrazione sociale, il livello di istruzione e i modelli comportamentali in genere che possono influenzare il modo in cui l’individuo vive la disabilità.
Il modello interattivo fornito dall’ICF identifica tre livelli di funzionamento: funzioni a livello corporeo o delle parti del corpo, della persona nella sua interezza, e della persona considerata in toto nel suo ambiente. A loro volta, tali livelli individuano tre dimensioni funzionali: funzioni e strutture corporee, attività e partecipazione. La disabilità si configura come una sorta di espressione polisemica che indica la diminuzione del funzionamento a uno o più di questi livelli, cioè una menomazione, una limitazione delle attività o una restrizione della partecipazione. Di seguito, si riportano le definizioni formali di questi componenti:
• le funzioni corporee sono funzioni fisiologiche del sistemi corporei (comprese le funzioni psicologiche);
• le strutture corporee sono parti anatomiche del corpo come organi, arti e relativi componenti;
• le menomazioni sono problemi che riguardano il funzionamento o la struttura del corpo, come per es. una deviazione o una perdita di grave entità;
• un’attività è data dall’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo.
• la partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita;
• le restrizioni alla partecipazione sono i problemi sperimentati dall’individuo nel coinvolgimento in una situazione di vita.
Questa struttura concettuale si trova alla base dell’ICF in quanto strumento classificatorio volto alla descrizione sistematica del funzionamento umano e delle sue restrizioni. Questo complesso di informazioni viene strutturato dall’ICF per mezzo di un sistema di codifica gerarchico che, tra l’altro, dà vita a una terminologia internazionale condivisa per il funzionamento e la disabilità. L’ICF organizza tali informazioni secondo tre classificazioni: la prima basata su funzioni e strutture corporee, la seconda su attività e partecipazione, la terza sui fattori ambientali. Le prime due classificazioni identificano tutti gli ambiti di funzionamento, dalle funzioni fisiologiche e strutture corporee di base alle azioni, ai compiti, alle attività sociali e alle relazioni sia semplici che complesse. La classificazione dei fattori ambientali fornisce uno strumento per identificare i tratti distintivi dell’ambiente inteso in senso fisico, sociale, dei comportamenti e degli interventi umani, i quali, interagendo con gli ambiti di funzionamento, costituiscono la completa esperienza esistenziale in termini di funzionamento e disabilità.
Jerome E. Bickenbach: Queen’s University, Kingston, Canada.
Somnath Chatterji, Nenad Kostanjseke T. Bedirhan Üstün: Classification Assessments and Surveys, World Health Organization, Geneva, Switzerland.
Tag:classificazione OMS, funzionamento e salute, invecchiamento e disabilità